Se qualcuno avesse ancora bisogno di una plastica dimostrazione che “quando l’Italia ha un problema è un problema italiano, mentre quando la Germania ha un problema, è un problema europeo”, potrebbe approfondire quanto accaduto al tavolo delle trattative tra rappresentanti degli Stati membri incaricato di definire il quattordicesimo (!) pacchetto di sanzioni contro la Russia.
Settimane di tira e molla e stallo, non perché c’era la solita Ungheria “amica di Putin” a frenare, ma perché era Berlino a mettersi di traverso e la notizia è che ha prevalso.
Infatti è stata approvata la norma che vieta ai Paesi della Ue di riesportare il gas naturale liquefatto (GNL) che arriva nei porti europei dalla Russia e poi viene riesportato verso i mercati asiatici. In pratica finora la Russia ci ha usato come piattaforma commerciale, per un fatturato stimato di 8 miliardi di dollari. Con questa restrizione dovrebbe essere colpito circa un quarto di questo giro d’affari.
Ma è stata rimandata l’adozione della cosiddetta “No Russia clause” che avrebbe costretto le imprese esportatrici ad assicurarsi che i loro clienti non rivendessero poi le merci europee a clienti russi, sfruttando complesse triangolazioni. Una norma che esiste già, ma solo per particolari merci ma l’allargamento avrebbe danneggiato molte imprese tedesche costrette, dal timore di sanzioni, a inseguire anche le rivendite dei loro clienti. Così Olaf Scholz ha bloccato tutto, con disappunto dei Verdi.
“Riguarda l’economia tedesca, sono molto preoccupati”, ha riferito una fonte diplomatica a Politico.Eu.
Semaforo rosso anche sulla proposta della Commissione di impedire le triangolazioni dei beni di lusso (il cui export è oggi vietato in Russia) attraverso la fedele (a Putin) Bielorussia. Qualche miliardo di euro di prezioso fatturato di Audi, Mercedes e Bmw che né Berlino né Parigi vogliono perdere.
“Tengo famiglia”, avranno detto i tedeschi ai colleghi attoniti.