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Sabotaggio Nord Stream

Chi e perché in Germania inizia a mormorare sul Nord Stream 2

Tutti i dubbi che iniziano a serpeggiare nei partiti tedeschi (eccetto Spd e Linke) sul gasdotto Nord Stream 2. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

Quando lo Schalke 04 gioca nel suo stadio, i tabelloni luminosi rimandano di continuo una pubblicità per il Nord Stream 2, come se fosse un prodotto commerciale da acquistare in un qualsiasi negozio. “Energia sicura per l’Europa”, dice lo slogan, un messaggio che non raggiunge solo i 60 mila spettatori dell’Arena ma anche i milioni di tedeschi che in televisione seguono le vicende della Bundesliga. Lo sponsor dello Schalke 04 è Gazprom. Da anni il suo marchio si staglia sulle maglie blu reale di una delle squadre più ricche di tradizione della Germania.

Con i politici di Berlino, invece, Gazprom non ha bisogno di fare pubblicità. La realizzazione di Nord Stream 2, il progetto da 9,5 miliardi di euro che prevede con un secondo tubo di 1200 chilometri il raddoppio del già esistente gasdotto sotto il Mar Baltico che collega direttamente la Russia alla Germania, è puntualmente difesa da ogni governo tedesco contro qualsiasi critica proveniente dall’estero. E a criticare sono soprattutto gli alleati della Germania, quelli storici come Stati Uniti e Ue e quelli nuovi, che dopo la caduta del Muro avevano visto in Berlino un’ancora stabile alla quale agganciare la propria appartenenza europea: Polonia, Ucraina, Repubbliche baltiche e paesi scandinavi. Di fronte alle richieste sempre più pressanti di abbandonare il progetto che “darebbe a Putin le chiavi della sicurezza energetica europea”, Berlino ha sempre opposto una sola risposta: il progetto è squisitamente economico, portato avanti da consorzi privati e permetterà di migliorare i rifornimenti di gas in Europa. “Energia sicura per l’Europa”, appunto, come dice Gazprom.

Dopo l’incidente fra russi e ucraini nel Mare d’Azov, il granitico fronte di difesa tedesco di Nord Stream 2 comincia però a mostrare qualche crepa. Niente che possa al momento far immaginare un cambio di strategia da parte del governo, ma la questione è tornata al centro dell’attenzione proprio nei giorni in cui la Pioneering Spirit, il gigante d’acciaio che deposita i tubi del gas sul fondo del mare, ha oltrepassato lo stretto del Grande Belt danese ed è arrivato nelle acque baltiche, pronto a iniziare la sua missione.

La platealità con cui le imprese mostrano sicurezza nell’avanzamento dei lavori tradisce qualche nervosismo. Soprattutto da quando il potente e temuto ambasciatore di Trump a Berlino, Richard Grenell, ha ricominciato a tuonare contro il gasdotto: “In Germania e in Europa cresce la resistenza contro Nord Stream 2”, ha detto all’Handelsblatt, “d’altronde per quale motivo dovremmo dare a Putin ancora più potere contro l’Europa?”. E in Germania hanno ora ben chiara la forza contrattuale di Grenell, ambasciatore poco diplomatico che è riuscito a portare ai piedi di Trump il gotha automobilistico tedesco (i ceo di Daimler, Volkswagen e Bmw) nell’impotenza del governo di Berlino costretto ad abbozzare: di fatto un’umiliazione subito spazzata sotto il tappeto.

In effetti, nelle ultime settimane le posizioni contrarie al secondo gasdotto dalla Russia sono diventate più visibili. Da tempo iscritto alla lista degli oppositori è l’intero gruppo dirigente dei Verdi, tanto è vero che nelle settimane in cui Angela Merkel aveva tentato di dar vita alla coalizione Giamaica (con ecologisti e liberali) erano trapelate voci – mai confermate – di un possibile ripensamento del progetto nel contratto di governo. Ma dopo la nuova crisi russo-ucraina, la presidente del partito Annalena Baerboch è tornata all’attacco chiedendo esplicitamente l’abbandono del raddoppio: “Il governo deve voltare le spalle a Nord Stream 2, dovrebbe essere chiaro a tutti dopo aver visto il modo d’agire russo nel Mare d’Azov”, ha detto. I capigruppo al Bundestag Katrin Göring-Eckardt e Anton Hofreiter hanno rilanciato il dibattito in parlamento mentre il deputato europeo Reinhard Bütikofer si è fatto promotore di una lettera aperta alla cancelliera, firmata da parlamentari ecologisti, del Ppe e dei liberali di Alda nella quale si chiede di desistere da un progetto “sbagliato dal punto di vista energetico, strategico, economico, ambientale, politico”.

Insomma una bocciatura su tutta la linea. Potrebbe apparire un’opposizione marginale quella dei verdi, se non fosse che il partito è in forte ascesa nei sondaggi politici, sia tedeschi che europei, e che ogni futuro governo federale potrebbe dover per forza passare dalla casella dei Grünen.
La breccia si allarga anche nella Grosse Koalition, più fra i parlamentari che fra i ministri, e naturalmente più tra le fila di Cdu e Csu che tra quelle dell’Spd. Se non sono una novità le critiche di Norbert Röttgen, presidente della Commissione affari esteri del Bundestag, e quelle degli eurodeputati Elmar Brok e Michael Gahler, ha fatto scalpore l’intervento del portavoce di politica estera del gruppo Cdu-Csu Jürgen Hardt, per il quale “gli investitori di Nord Stream 2 devono ora chiedersi se i soldi sono stati ben impegnati o se non sia il caso di tirarsi indietro”. Difendendo la tesi che il gasdotto è una semplice impresa di natura economica, i governi tedeschi hanno sempre evitato che la questione venisse politicizzata e hanno sempre respinto al mittente le critiche dei paesi alleati. “E invece oltre a prolungare le sanzioni alla Russia sarebbe il caso di approfondire il tema dell’approvvigionamento di gas”, ha aggiunto Hardt.

I socialdemocratici restano i più compatti, assieme all’estrema sinistra della Linke e ai nazionalisti di Afd, a difendere il progetto che ha nell’ex cancelliere Gerhard Schröder il suo sponsor principale. Il ministro degli Esteri Heiko Maas, dopo qualche libertà iniziale, è ritornato nel solco tracciato (e sorvegliato) da Schröder, così è rimasto quasi solo Nils Schmidt, che è tuttavia l’esperto di politica estera dell’Spd, a tracciare qualche distinguo: “Abbiamo reagito politicamente troppo tardi alle critiche che ci sono piovute”, ha detto all’Handelsblatt strizzando l’occhio ai timori est europei.

Ma la vera novità sul Nord Stream 2, una correzione di rotta non certo una ritirata, può venire dalla nuova presidente della Cdu, Annegret Kramp-Karrenbeuer. La donna che dopo aver sostituito Merkel alla guida del partito potrebbe un giorno succederle alla cancelleria ha mostrato attenzione ai malumori crescenti nella Cdu e, pur giudicando “troppo radicale” l’ipotesi di un abbandono del gasdotto non ha escluso la possibilità di poterne ancora influenzare la portata: si potrebbe discutere, ad esempio, “su quanto gas far transitare dai tubi”, ha detto.

Il governo resta per ora sulla linea ufficiale di sempre: sostegno assoluto al progetto, farsi assicurare da Mosca che il flusso di gas via Ucraina resterà aperto e insistenza sull’interesse nazionale tedesco (spacciandolo per europeo): il gas trasportato dal secondo gasdotto sotto il Baltico sostituirà il flusso oggi proveniente dall’Olanda (terzo rifornitore tedesco dopo Russia e Norvegia), che si ridurrà di un terzo dal 2022 e cesserà completamente nel 2030. All’orizzonte ci sono però le sanzioni americane e le minacce di Grenell, dietro le quali si agita lo spettro di Donald Trump. Anche perché, come è costretto a notare lo stesso Handelsblatt, “sul Nord Stream 2 è la Germania a essere isolata, non gli Stati Uniti”.

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