La Commissione europea ha pubblicato la nuova lista di progetti infrastrutturali di interesse comune (PCI) e tra questi, un po’ a sorpresa, figura ancora il gasdotto Eastmed. Tra i 166 progetti che fanno parte della lista, solo due si riferiscono al gas: un collegamento con Malta e, appunto, il gasdotto Eastmed. La revisione della lista dei progetti di interesse comune si era resa necessaria dopo che il regolamento REpowerEU aveva imposto di orientare i vantaggi ai soli progetti orientati alla decarbonizzazione, escludendo quindi tutto il mondo gas.
TUTTO SUL GASDOTTO EASTMED
Il gasdotto Eastmed è sopravvissuto al repulisti in chiave green grazie all’eccezione stabilita per le isole come Cipro, a cui Eastmed fornirebbe l’unica interconnessione alla rete di gasdotti europei. Grazie ad un escamotage, dunque, un’opera importante in termini di diversificazione delle fonti di gas resta tra le infrastrutture che l’Unione europea considera prioritarie. Ciò consente di accedere a finanziamenti e semplificazioni autorizzative importanti.
La lunghezza del gasdotto è di 1.900 kilometri (più altri 200 per il ramo che arriverà in Italia), con una capacità di trasporto tra i 12 e i 20 miliardi di metri cubi all’anno di gas. Il percorso parte dai campi di gas del bacino Levantino nel Mediterraneo tra Cipro e Israele e toccherà l’isola di Cipro, poi Creta e infine la penisola greca. Da lì partirà la diramazione verso l’Italia, a tutti gli effetti un altro gasdotto, denominato Poseidon. L’infrastruttura nasce già con la possibilità di trasportare idrogeno ed appartiene ad una joint venture, la IGI Poseidon SA, società di diritto greco con sede ad Atene partecipata in modo paritetico da Edison s.p.a. e dalla greca Depa International Projects, che rientra nell’orbita delle società possedute dal governo greco. L’infrastruttura ha un costo di circa 10 miliardi di euro complessivi e potrebbe entrare in funzione nel 2028. L’area di mare tra Israele, Cipro ed Egitto vede enormi risorse di gas, dunque il progetto è suscettibile di ulteriori sviluppi.
I SEGNALI POSITIVI
Alcuni segnali positivi c’erano in realtà già stati. Il 26 ottobre scorso l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) aveva emesso una delibera (la 488/2023) in cui adottava la decisione coordinata con i regolatori di Cipro e Grecia in merito alla ripartizione dei costi di investimento per il progetto. Con la delibera venivano anche forniti alcuni aggiornamenti sui piani di investimento e sui benefici attesi dalla realizzazione della infrastruttura. Complessivamente, si tratta di un vantaggio netto per l’Unione europea pari a poco più di 20 miliardi di euro, di cui 1,2 per l’Italia (3,7 miliardi di beneficio e 2,5 di costi delle infrastrutture). Il beneficio è calcolato con riferimento alla sicurezza delle forniture e il costo è relativo alle infrastrutture necessarie.
CHE FINE HA FATTO POSEIDON?
Nella lista dei PCI europei non figura più, invece, il ramo Poseidon, che rappresenta la connessione tra Grecia e Italia: 210 kilometri di tubo che perderanno lo status di PCI ma che dovrebbero comunque essere realizzati.
LO SCONTRO OPEC-IEA
La decarbonizzazione europea procede quindi a zig zag. Sul tema, si è registrato nei giorni scorsi una colorita polemica tra l’OPEC e l’Autorità internazionale per l’energia (IEA). Il segretario generale del cartello, Haitham al Ghais, diffonde una nota in cui stigmatizza un report dell’IEA (L’industria del petrolio nella transizione al Net Zero), nel quale l’autorità guidata da Fatih Birol afferma che l’industria petrolifera è arrivata al momento della verità e deve scegliere se alimentare la crisi climatica o abbracciare il green.
Il segretario OPEC risponde all’IEA tacciandola di faziosità e superficialità: “È ironico che l’IEA, un’agenzia che ha ripetutamente modificato le sue narrazioni e previsioni su base regolare negli ultimi anni, ora si rivolga all’industria del petrolio e del gas e affermi che questo è un momento di verità.”
Poi al Ghais afferma che la semplificazione dell’IEA sulle responsabilità del cambiamento climatico minimizza un problema complesso ed è diffamatoria nei confronti dell’industria petrolifera. Infine, lo schema proposto dall’IEA per valutare lo stato di avanzamento verso l’obiettivo Net Zero Emission al 2050 è, secondo il segretario dell’Opec, uno strumento contrario all’approccio dal basso stabilito dagli accordi di Parigi del 2015, limitando di fatto l’esercizio della sovranità nazionale nel raggiungimento degli obiettivi.