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Francia e Germania bocciando il gasdotto Step rottamano la prospettiva di un’Energy Union

Il commento dell’economista Alberto Clò, direttore della rivista Energia

Mentre i più continuano a lodare una Energy Union che è ancora lettera morta, leggiamo la notizia del blocco alla costruzione del gasdotto South Transit East Pyrenees (Step) tra Francia e Spagna. Una notizia importante ma sorprendentemente taciuta da media e politica che infligge un duro colpo alla Energy Union dando riprova del fatto che in Europa la sicurezza energetica non è un ‘bene comune’.

Step è il tratto centrale del gasdotto franco-spagnolo Midi-Catalogna (MidCat) è un progetto sostenuto (anche finanziariamente) dall’Unione Europea che l’ha incluso tra quelli di interesse europeo per i suoi evidenti vantaggi di accrescere:

– le disponibilità di gas metano in Europa;
– il basso tasso di utilizzo delle infrastrutture esistenti, così riducendone il costo;
– la concorrenza all’interno del mercato europeo e tra i fornitori;
– la sicurezza energetica dell’intera Europa.

La Spagna dispone della più elevata capacità di rigassificazione in Europa (40% totale, seguita da Francia 21% e Olanda 10%) di 62 miliardi metri cubi articolata in 6 terminali, destinati ad aumentare di 2 entro il 2021, cui si aggiunge la pipeline dall’Algeria (Maghreb-Europe Gas Pipeline) di 12 miliardi metri cubi.

Con un consumo interno sui 32 miliardi metri cubi, l’utilizzo delle infrastrutture di trasporto in entrata è di appena il 43% con un enorme potenziale quindi di aumento degli approvvigionamenti di metano che solo in minima misura transita verso la Francia. Anziché costruire nuovi adduttori, sarebbe ben più razionale ed economico sfruttare quelli esistenti – anche altrove sottoutilizzati – iniziando a ‘sbottigliare’ quelli spagnoli.

No, il gasdotto Step – progettato da Enagas, società spagnola che controlla le infrastrutture di trasporto e da Terega, società francese controllata da Snam per un costo sui 440 milioni euro – non si farà per il parere negativo espresso dai regolatori francesi (NRA e CRE) e spagnoli (NRA e CNMC). Perché, a loro dire, non serve ed è troppo costoso, non superando l’analisi costi/benefici.

Il progetto, sempre a loro dire, aumenterebbe poi i prezzi del metano mentre non aumenterebbe la concorrenza e la sicurezza europea. Affermazioni del tutto opinabili: perché una maggior offerta, a parità di domanda, riduce e non aumenta i prezzi; perché aumentano fornitori, offerta, flessibilità e quindi sicurezza; perché sarà il mercato a decidere la dinamica dei prezzi; perché non vi sarà mai un’Europa dell’energia se i mercati restano chiusi in loro stessi.

Se negli anni del secondo dopoguerra si fosse ragionato in questi termini oggi non vi sarebbe la rete elettrica transfrontaliera europea realizzata dai famigerati monopoli pubblici. Probabilmente l’analisi costi/benefici sarebbe stata anche allora negativa.

No, le ragioni non possono essere queste. Sono altre.

Il fatto che i vantaggi sarebbero globali e i costi locali, al netto dei contributi europei, ma forse anche sul versante francese il timore di danneggiare l’incumbent pubblico nazionale Engie (ex-Gaz de France più Suez).

Più difficile è comprendere le ragioni sul versante spagnolo che avrebbe tutto da guadagnare, avvantaggiando però la Catalogna al punto che il quotidiano di Madrid Expansion commentando il veto lo ha definito “un golpe economico a la Cataluña”.

Lo stop a un progetto di indubbio interesse europeo è ulteriore conferma dell’enorme difficoltà, se non fallimento, della prospettiva di costruire un’effettiva Energy Union.

Non privo di interesse è poi il fatto che lo stop al progetto ha raccolto il plauso dei movimenti ambientalisti che lo considerano nemico delle politiche climatiche, similmente ai due regolatori che hanno dichiarato di aver prestato “special regard to the European strategy to reduce greenhouse gas emissions”. Parere opposto a quello del Commissario europeo al clima, lo spagnolo Miguel Arias Cañete, che ha ribadito l’interesse alla realizzazione dell’opera.

Amara la conclusione: lo stop a un progetto di indubbio interesse europeo è un’ulteriore conferma dell’enorme difficoltà se non fallimento, al di là della retorica nei mille documenti di Bruxelles, della prospettiva di costruire un’effettiva Energy Union.

Per la ragione politica che la generalità degli Stati membri dell’Unione Europea resta profondamente convinta che anche la sicurezza energetica non sia un ‘bene comune’ da conseguire insieme ma che la si possa meglio raggiungere agendo individualmente. Si guardi ai rapporti preferenziali della Germania con la Russia ovvero a quelli che i paesi dell’Est vanno intensificando con l’America.

Con l’inevitabile risultato di rafforzare la posizione negoziale dei paesi esterni all’Europa e di ridurre la forza di un’Europa disunita.

 

Articolo pubblicato su RivistaEnergia.it

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