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Emissioni

Green New Deal, perché servono tanti fondi pubblici per decarbonizzare l’industria Ue

Obiettivi, risorse e incognite del Green New Deal progettato dalla Commissione europea. L'approfondimento di Nicolò Sartori, responsabile di ricerca del Programma Energia, Clima e Risorse dello IAI

La presidente della Commissione europea Ursula von Der Leyen ha affidato al suo vice Frans Timmermans l’ambizioso compito di attuare il Green new deal, asse portante delle politiche proposte dall’Esecutivo di Bruxelles. Partendo dall’obiettivo di diventare il primo continente climate-neutral entro il 2050 (se non prima), l’azione del vice-presidente esecutivo – che ha recentemente presentato un suo primo schema programmatico – andrà a pervadere tutta una serie di settori dell’economia europea, dal commercio all’agricoltura, dai trasporti alla blue economy, con un impatto notevole sullo stile di vita e le abitudini dei cittadini Ue.

Elemento cardine di questa rivoluzione copernicana – stranamente assente dalla proposta di Timmermans (nonché dal dl Clima approvato dal governo italiano) – sarà giocoforza il settore industriale, comparto nel quale gli effetti di una riconversione green possono essere dirompenti, tanto in positivo quanto in negativo.

L’industria, infatti, non soltanto ha la necessità di migliorare le proprie performances produttive per rimanere competitiva, ma deve allinearsi – e in un certo sensi diventare strumentale – agli obiettivi di completa decarbonizzazione cui l’Ue punta per il 2050. Il comparto – che include processi industriali, manifatturiero e costruzioni – contribuisce infatti a circa il 20% delle emissioni totali di CO2 in Europa, alle spalle del settore energetico (27%) e e di quello dei trasporti (24%). E, insieme a quest’ultimo, presenta le maggiori criticità in termini di decarbonizzazione, laddove sul fronte energia la penetrazione delle rinnovabili rende l’abbattimento delle emissioni un obiettivo più facilmente realizzabile.

Per quanto riguarda l’industria, la trasformazione ‘sostenibile’ promessa da UvdL dovrà poggiare su cinque azioni chiave: efficientare, decarbonizzare, circolarizzare, digitalizzare e riconvertire.

Efficientare, ovvero rendere i processi industriali meno energy-intensive di quanto non lo siano già. Si tratta chiaramente di un processo già avviato, e nel quale l’Ue detiene una posizione si leadership: tuttavia, il margine d’azione – soprattutto per l’industria energivora – è ancora notevole e deve essere utilizzato appieno per ridurre consumi e costi, incrementando la competitività.

Questo aspetto è intrinsecamente legato alle necessità di decarbonizzazione. L’industria europea dovrà infatti intraprendere un percorso di abbattimento delle emissioni di CO2, incentrato principalmente sull’elettrificazione dei consumi. Tuttavia, laddove questo non sia comunque percorribile, è necessario immaginare alternative no-carbon per sostituire tanto il vettore elettrico quanto quello tradizionale fossile. In questo senso, l’espansione e l’utilizzo di gas ‘verdi’ come l’idrogeno e i biogas rappresenta una delle più promettenti opzioni per la politica industriale europea.

Circolarizzare – o meglio, riciclare – riutilizzare e trasformare quanto più possibile materiali di scarto, usati tanto nei processi industriali stessi quanto derivati da altre attività. La circolarità dei processi industriali ha anche una dimensione tutta energetica, poiché i combustibili bio già menzionati possono essere il risultato di attività di riciclo e trasformazione.

Come previsto dal concetto di Industria 4.0, la digitalizzazione rappresenta insieme all’automazione uno dei principali motori della trasformazione industriale che ci aspetta. Connettività e tecnologie innovative, tra cui l’intelligenza artificiale, rappresentano segmenti d’avanguardia sui quali l’industria europea dovrà concentrare i suoi sforzi per migliorare qualità e ridurre inefficienze dei suoi processi e prodotti.

Infine, poiché alla luce di queste trasformazioni – seppur virtuose – qualcosa andrà certamente perso, riconvertire diventa un obiettivo chiave per evitare che l’evoluzione dell’industria non generi sacche di povertà economica o di esclusione sociale, o che la paura che ciò avvenga contribuisca a rallentare la portata del cambiamento. In questo contesto, gli obiettivi di riconversione devono essere pianificati a monte e devono accompagnare passo passo la trasformazione nell’ottica di una transizione giusta ed equa.

La portata del cambiamento che l’industria europea dovrà affrontare nei prossimi anni per adeguarsi agli obiettivi Ue di decarbonizzazione senza perdere competitività sul piano internazionale è immensa. L’innovazione tecnologica, in questo contesto giocherà un ruolo fondamentale nel rendere processi, applicazioni e prodotti del comparto industriale adeguati alle sfide che li aspettano. E se gran parte della fase di attuazione di tali trasformazioni sarà necessariamente in capo al settore privato, oggi il decisore politico è chiamato a dare un impulso fondamentale a questa evoluzione. Per questo motivo, oltre alla guida strategica, il finanziamento pubblico giocherà un ruolo chiave per la riconversione industriale in Europa.

Dagli investimenti in Research and Development a meccanismi di finanziamento diretti (cioè incentivi) e indiretti (cioè sgravi e detrazioni), dal miglioramento dell’accesso al credito per le aziende virtuose allo snellimento dei processi autorizzativi per chi investe in applicazioni e processi industriali CO2-free, fino al rafforzamento di meccanismi di carbon-pricing (cioè carbon border tax), nelle fasi iniziali di questa trasformazione un serio impegno finanziario dovrà fare il paio con la visione politica della Commissione europea. In modo da mettere il settore privato nelle condizioni ottimali per investire e attuare un cambiamento ormai non più rimandabile.

(estratto di un articolo pubblicato su Affarinternazionali.it)

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