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Transizione Energetica

Fini e incognite sulla transizione energetica

L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

«Ad essere onesti, al momento non abbiamo abbastanza gas naturale. Non immagazziniamo per l’inverno. Quindi ci sono serie preoccupazioni: se avremo un inverno freddo, ci saranno interruzioni di corrente diffuse in tutta l’Europa». Così Jeremy Weir, amministratore delegato della multinazionale svizzera Trafigura, uno dei colossi mondiali nel commercio delle materie prime, inclusi gas e petrolio, ha fotografato pochi giorni fa la situazione sul Financial Times.

Uno scenario allarmante, che ieri si è allargato dall’Europa agli Stati Uniti, dove il presidente Joe Biden ha annunciato che, per la prima volta nella storia, gli Usa rilasceranno 50 milioni di barili di greggio, attinti dalle riserve strategiche, per raffreddare i prezzi dell’energia. Questo rilascio, concordato con altri grandi consumatori di petrolio nel mondo (Cina, India, Corea del Sud, Giappone e Gran Bretagna), non ha però sortito l’effetto sperato: invece di scendere, il prezzo del Brent è salito da 79 a 81,5 dollari al barile (+2,3%). Il che, in vista delle elezioni di Midterm, è visto con terrore dal partito democratico e da Biden: il caro benzina (3,7 dollari a gallone) ha spinto l’inflazione al 6,2%, il livello più alto da 30 anni.

È sempre più evidente che la corsa all’economia verde si sta rivelando un autogoal pazzesco. Questa marcia forzata verso la neutralità climatica vede l’Europa e gli Usa procedere a velocità differenti. In testa c’è l’Unione europea, che con un Green Deal dogmatico ha imposto il 2030 come termine ultimo per i veicoli a combustione termica (benzina e gasolio) e il 2050 come traguardo per le emissioni zero di anidride carbonica.

Tappe «ambiziose» (Ursula Von der Leyen dixit), ma fuori dalla realtà, decise quando l’economia era nel pieno della recessione, causata dalla pandemia.

Più realistica la scelta degli Usa. Sconfessando Donald Trump, Biden ha sì riportato Washington nell’Accordo di Parigi sul clima del 2015, ma non andrà oltre, limitandosi a rispettare l’impegno di mantenere l’aumento del riscaldamento globale sotto entro 1,5 gradi, confermato dalla Cop26 di Glasgow, e a ridurre del 45% le emissioni di anidride carbonica entro il 2030.

Ma poiché Cina e India, i maggiori inquinatori mondiali, si sono rifiutati di accettare questi vincoli, e continueranno a usare tutti i combustibili fossili, compreso il carbone, la corsa all’economia green sta causando in Occidente più danni che benefici.

Basti ricordare che, in risposta alle strategie green, i paesi Opec, in testa Russia e Arabia Saudita, hanno ridotto la produzione di petrolio, di cui c’è però una richiesta crescente nel mondo a seguito della ripresa post-pandemia. Una stretta che è rimasta tale nonostante Biden abbia chiesto più volte di allentarla. Così il prezzo del petrolio è salito del 60% dall’inizio dell’anno, con ricadute su tutta la filiera economica: dal rincaro della benzina ai maggiori costi industriali e della logistica, quindi dei prezzi al consumo. Sul Financial Times, il ceo di Trasfigura, Weir, dice che la situazione sul mercato petrolifero «è molto, molto tesa» e prevede che «un prezzo del petrolio a tre cifre sia molto probabile». In soldoni, 100 dollari al barile. La prossima riunione dell’Opec è prevista per il 2 dicembre: forse si capirà se la stretta produttiva sarà allentata. Altrimenti, si salvi chi può.

Oltre che con il caro petrolio, l’Europa deve fare i conti anche con quello del gas. Sul Financial Times, il ceo di Trasfigura ricorda che da marzo il prezzo del gas è aumentato di circa sei volte, passando da 15 euro per megawattora agli attuali 85 euro. Ma potrebbe salire ancora se dovesse perdurare la riduzione delle forniture dalla Russia, decisa da Vladimir Putin per sollecitare l’approvazione del Nord Stream 2. Da qui la scarsità degli stoccaggi europei di gas e il rischio di blackout elettrici in pieno inverno, qualora le centrali a gas restassero a secco in uno o più paesi europei.

L’analisi di Weir rovescia come un guanto le tesi del Green Deal, tanto care a Greta Thunberg. Nonostante gli sforzi per eliminare i combustibili fossili, a suo avviso l’economia globale continuerà ad avere bisogno di petrolio e gas in futuro: «La strategia della decarbonizzazione del ciclo economico per tutelare il clima non può essere fatta semplicemente premendo un bottone. Sono assolutamente convinto che dobbiamo continuare a investire in queste industrie per poter fornire energia in futuro». In ogni caso, pur investendo molto già ora nelle fonti di energia alternative, Trasfigura continuerà a commerciare carbone finché ce ne sarà domanda nel mondo.

Con pessimismo, Roberto Ezio Pozzo ricorda su Atlantico che «in un mondo dove a una ragazzina ignorante e spocchiosa viene concesso di dettare le linee programmatiche ai potenti della Terra, è ormai tutto possibile». Tuttavia, c’è chi comincia ad aprire gli occhi sugli autogoal della svolta green di Bruxelles. Così, per un giorno, il Corriere della sera ha accantonato la retorica europeista e, grazie a un’inchiesta di Milena Gabanelli, ha scoperto che l’abolizione del motore endotermico entro il 2035 e l’obbligo dell’auto elettrica imposti dall’Ue rischiano di cancellare 60mila posti lavoro nell’automotive, che è un’eccellenza industriale italiana, dove oggi lavorano 161 mila persone.

E il governo? Al ministero dello Sviluppo economico, scrive Gabanelli, è stato allestito un tavolo sull’automotive, che ha tenuto finora una sola riunione, in luglio. «Il tutto si è esaurito in una lunga serie di audizioni, e poi arrivederci e grazie».
Articolo pubblicato su ItaliaOggi

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