Nonostante la nuova gara di vendita si sia conclusa già da parecchie settimane – il 26 settembre scorso -, non è ancora chiaro il futuro di Acciaierie d’Italia, la società in amministrazione straordinaria che gestisce l’ex Ilva di Taranto e altri impianti siderurgici.
L’INCONTRO A PALAZZO CHIGI: I SINDACATI CHIEDONO L’INTERVENTO DELLO STATO
Ieri si è svolto un nuovo incontro a Palazzo Chigi tra il governo e i sindacati che non ha prodotto alcun risultato. Anzi, i rappresentanti dei lavoratori hanno giudicato “inaccettabili” le proposte dell’esecutivo e chiesto – in forme diverse a seconda delle varie sigle: Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uil – un coinvolgimento diretto dello stato della società, anche per contenere i licenziamenti.
Il ministro delle Imprese Adolfo Urso, che sta gestendo il dossier, ha in passato criticato la partecipazione statale nell’ex Ilva. Tuttavia, da tempo circola la possibilità di un ingresso di Invitalia (l’agenzia per l’attrazione degli investimenti controllata dal ministero dell’Economia) nel capitale di Acciaierie d’Italia con una quota del 10 per cento.
IL PIANO DEL GOVERNO PER L’EX ILVA
Durante l’incontro, il governo ha presentato un piano a “ciclo corto” per l’ex Ilva, ovvero un modello basato sui forni elettrici e su una produzione di acciaio da rottami, anziché dal minerale ferroso utilizzando gli altiforni (si parla, in quest’ultimo caso, di “ciclo integrale”). L’orizzonte temporale per la decarbonizzazione verrebbe ridotto da otto a quattro anni, ma la rimodulazione delle attività data dal passaggio al ciclo corto causerebbe un aumento del numero degli addetti in cassa integrazione: da 4500 a 5700 unità fino a dicembre, e a 6000 unità da gennaio.
I POTENZIALI ACQUIRENTI
Stando al ministero delle Imprese, i soggetti potenzialmente interessati all’acquisizione di Acciaierie d’Italia sono quattro:
- il fondo statunitense Bedrock Industries, specializzato in metalli, minerali e materie prime;
- il fondo di private equity Flacks Group, americano anch’esso;
- l’azienda siderurgica qatariota Qatar Steel, che però potrebbe non avere capacità industriali sufficienti a gestire siti molto grandi come quello di Taranto;
- un quarto soggetto industriale straniero, con il quale “è stato firmato un accordo di riservatezza” e avviata “una prima ricognizione finalizzata ad eventuale manifestazione di interesse”, riporta Radiocor.
Ad oggi, le uniche offerte ricevute dal governo sono quelle di Bedrock e di Flacks Group: si limitano però al valore di magazzino, mentre gli asset di Acciaierie d’Italia sono stati valutati zero euro. Qatar Steel non avrebbe (ancora?) presentato una manifestazione di interesse formale, mentre del quarto soggetto interessato non si sa nulla.
IL PROBLEMA CON IL PREZZO DEL GAS: IL RUOLO DELL’ENI
La selezione di un acquirente non è l’unico problema di Acciaierie d’Italia, alle prese con una crisi di liquidità e con un problema di prezzi elevati del gas naturale – cioè dell’input energetico necessario all’alimentazione dei forni -, che ne comprimono ulteriormente la competitività.
Stando al Sole 24 Ore, il governo avrebbe discusso con Eni di un potenziale accordo di fornitura di gas a prezzi stabili all’ex Ilva. I consumi del sito di Taranto potrebbero infatti aumentare con l’installazione di un impianto di riduzione diretta del ferro che fornirà il preridotto, cioè il materiale ferroso da utilizzare nei forni elettrici (al posto dei rottami) per la produzione di acciaio primario. L’impianto di riduzione diretta (Dri, in gergo) dovrebbe venire realizzato entro quattro anni per opera di Dri d’Italia, società partecipata interamente da Invitalia.
INTANTO, BEDROCK…
Tra le offerte finora ricevute, quella di Bedrock è considerata la migliore dal governo, nonostante non preveda un’offerta economica per gli impianti (ma solo per il magazzino) e nonostante i corposi licenziamenti che vorrebbe effettuare (da circa 10.000 addetti a 5000). Il Sole 24 Ore ha scritto che Bedrock continua “a chiedere molti soldi pubblici. Anche sul tema energetico”.






