Con l’uscita di scena dell’azienda azera Baku Steel dal processo per l’acquisizione di Acciaierie d’Italia, nel nuovo bando di gara il governo sta puntando innanzitutto sul gruppo indiano Jindal Steel o sul fondo d’investimento statunitense Bedrock Industries, che in precedenza si erano mostrati interessati ad acquisire tutti gli asset dell’ex Ilva.
L’ANTEFATTO
Tra le loro offerte, lo scorso febbraio il governo preferì dirigersi su quella di Baku Steel perché più alta, sebbene non mancassero delle criticità: ci si chiedeva, infatti, se Baku Steel avesse le capacità industriali ed economiche per rilanciare Acciaierie d’Italia – anche considerato che il precedente proprietario era il colosso indiano-lussemburghese ArcelorMittal – e per realizzarne il piano di decarbonizzazione.
“Una proposta di acquisto forse più solida per l’Ilva”, scriveva Startmag a febbraio, “potrebbe essere quella di Jindal Steel. Nonostante la somma inferiore, la società indiana ha un più ampio progetto di investimento da 2 miliardi di euro che fa leva sul forno elettrico ad arco, una tecnologia a più basse emissioni rispetto all’altoforno”.
IL PRESENTE
Ritornando al presente, oggi le condizioni per la vendita di Acciaierie d’Italia sono ancora meno favorevoli rispetto a un anno fa: la situazione economica della società si è aggravata ulteriormente (c’entra l’incendio all’altoforno 1 di Taranto) e il governo avrà meno leve per negoziare da una posizione di forza con i potenziali acquirenti.
Guardando al contesto generale, poi, la domanda europea di acciaio è debole e l’industria siderurgica regionale è in difficoltà per via della sovraccapacità produttiva nel resto del mondo (in particolare in Cina), che fa scendere i prezzi di vendita dell’acciaio e abbatte i margini di profitto.
JINDAL STEEL PUNTA A THYSSENKRUPP
Jindal Steel, nonostante le “rassicurazioni” fornite al governo italiano – così scriveva Il Sole 24 Ore una settimana fa -, potrebbe però non essere davvero interessato all’ex Ilva. Il gruppo indiano, infatti, ha presentato un’offerta di acquisizione per l’unità siderurgica del conglomerato tedesco Thyssenkrupp, il maggiore produttore di acciaio in Germania.
Dell’offerta di Jindal Steel sappiamo che non è vincolante e che piace al sindacato tedesco Ig Metall, ma non ne conosciamo l’entità economica.
La divisione siderurgica di Thyssenkrupp, peraltro, è in pessime condizioni, fiaccata dagli alti prezzi dell’energia in Germania e dai bassi prezzi di vendita dell’acciaio (una conseguenza della sovraccapacità cinese che inonda i mercati). L’unità in questione, che conta all’incirca 26.000 dipendenti, ha registrato una perdita nel trimestre conclusosi il 30 giugno scorso e visto diminuire le sue vendite del 13 per cento a 2,4 miliardi di euro. Nei piani del conglomerato c’è la riduzione della sua capacità produttiva, da undici a nove milioni di tonnellate di acciaio all’anno, e il licenziamento di cinquemila lavoratori entro il 2030.
Jindal ha fatto sapere di poter fornire i capitali e le tecnologie necessarie alla decarbonizzazione dell’acciaio di Thyssenkrupp: ha promesso di completare l’impianto di Duisburg (dove si utilizzerà l’idrogeno, anziché il carbone, per produrre il ferro) e di costruire forni elettrici più moderni.
ALL’EX ILVA NON RIMANE CHE LO SPEZZATINO?
Anche il piano di decarbonizzazione di Acciaierie d’Italia poggia sul processo di riduzione diretta del ferro (con il gas naturale prima, ed eventualmente con l’idrogeno poi) e sui forni elettrici ad arco. Non è chiaro, però, come verrà realizzato e da chi, specialmente se Jindal Steel dovesse concludere l’affare con Thyssenkrupp.
Non è escluso che Acciaierie d’Italia venga venduta a blocchi: il bando di gara, infatti, permette sia l’acquisizione dell’intero complesso della società, sia l’acquisto dei soli asset al nord, di quelli al sud o di singoli rami. Una conclusione del genere, però, potrebbe ridurre le capacità industriali dell’ex Ilva e rendere ancora più difficoltosa la concorrenza con i grandi gruppi esteri.