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Ex Ilva, perché Urso seduce la Calabria

Urso dice che il "cuore" dell'ex Ilva, cioè il sito che produrrà acciaio primario tramite riduzione diretta del ferro, potrebbe spostarsi da Taranto a Gioia Tauro. La discussione verte sulla nave rigassificatrice. Manca però ancora un acquirente per Acciaierie d'Italia che ne realizzi il piano industriale.

Il ministro delle Imprese Adolfo Urso sta valutando la possibilità di installare a Gioia Tauro, anziché a Taranto, gli impianti per la riduzione diretta del ferro che dovrebbero permettere ad Acciaierie d’Italia – la società in amministrazione straordinaria, spesso indicata come ex Ilva – di mantenere una produzione di acciaio primario anche in assenza degli altiforni. Semplificando molto, la riduzione diretta del ferro (o Dri, da direct reduced iron) è un processo siderurgico dalle emissioni più basse rispetto al ciclo tradizionale in altoforno: utilizza il gas naturale – o l’idrogeno, potenzialmente – anziché il carbone coke, e prevede poi un passaggio all’interno di forni elettrici.

IL CUORE DELL’EX ILVA SI SPOSTERÀ IN CALABRIA?

Il ministro Urso, ieri in visita all’area portuale di Gioia Tauro, ha spiegato che questa “potrebbe essere il sito alternativo” a Taranto dove installare i quattro impianti di riduzione diretta previsti per Acciaierie d’Italia.

Urso ha specificato che alla città pugliese “spetta la prima scelta per motivi morali, storici, ma anche economici e sociali”. Se però – ha aggiunto – le autorità locali dovessero essere contrarie all’installazione nella zona di una nave rigassificatrice, utile per la fornitura di combustibile all’acciaieria, allora il polo del preridotto potrebbe venire posizionato in Calabria. A Gioia Tauro l’installazione di un terminale di rigassificazione del gas liquefatto è già stata autorizzata.

Secondo il presidente (dimissionario) della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, “il rigassificatore per noi è importante, strategico, e pur di attrarre investimenti a Gioia Tauro saremmo disponibili anche a partire con una nave rigassificatrice nella prima fase”. Al di là della siderurgia, Occhiuto ha collegato il rigassificatore anche alle necessità energetiche del settore agroalimentare, per “surgelare i prodotti dell’agricoltura”.

Il consiglio comunale di Taranto avrà tempo fino all’11 agosto per esprimere il suo parere sulla collocazione di un rigassificatore galleggiante. Il giorno successivo si terrà una riunione sul dossier ex Ilva al ministero delle Imprese. Intanto, i ministeri delle Imprese, delle Infrastrutture, dell’Ambiente e dell’Economia si occuperanno del coordinamento di un “comitato” che valuterà “l’ipotesi di realizzare qui [a Gioia Tauro, ndr] il polo nazionale del Dri”.

LE CIFRE, DRI D’ITALIA E IL NUOVO BANDO DI VENDITA DI ACCIAIERIE D’ITALIA

Urso ha fatto sapere che “l’ammontare degli investimenti necessari pubblici e poi, successivamente, privati, per realizzare i quattro Dri ipotizzati in otto anni è pari circa a 6-7 miliardi di euro, con un’occupazione nella fase di realizzazione di almeno 2500 occupati”.

A occuparsi della realizzazione degli impianti per la riduzione diretta sarà Dri d’Italia, società nata nel 2022 e partecipata interamente da Invitalia, dunque controllata dal ministero dell’Economia. Come spiegato da Urso, Dri d’Italia “ha già in dotazione 1 miliardo di euro del fondo di coesione nazionale, a cui si aggiungerebbero altre risorse private, perché la società si può allargare ai privati, e anche pubbliche nella successiva programmazione».

Per Acciaierie d’Italia, intanto, è previsto un nuovo bando di gara a seguito del deterioramento delle trattative con l’azienda azera Baku Steel, che aveva presentato un’offerta economica di circa 1,1 miliardi di euro e posto diverse condizioni, tra cui proprio l’installazione di una nave rigassificatrice a Taranto.

Nonostante l’assenza di un investitore, il mese scorso Urso ha comunque presentato il nuovo piano di decarbonizzazione di Acciaierie d’Italia. Non è chiaro, tuttavia, per quale motivo il futuro acquirente dovrebbe accettare di seguire il piano del governo anziché elaborarne uno proprio.

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