“Sì all’accordo, ma alle nostre condizioni”. È la posizione del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano (Pd), sulla bozza del piano di decarbonizzazione dell’ex Ilva, l’acciaieria di Taranto gestita da Acciaierie d’Italia, in amministrazione straordinaria.
COSA PREVEDE, IN BREVE, IL PIANO DEL GOVERNO PER L’EX ILVA
In sintesi, il piano elaborato dal ministero delle Imprese prevede la sostituzione di tre altiforni con altrettanti forni elettrici e impianti di riduzione diretta del ferro, un processo meno emissivo rispetto a quello basato sul carbone coke. Verranno inoltre installati in mare una nave rigassificatrice e una piattaforma di dissalazione che forniranno il gas naturale e l’acqua necessari alle attività dell’acciaieria.
LE CRITICHE DI EMILIANO E DEL SINDACO DI TARANTO
Il piano, però, non ha convinto del tutto le autorità locali pugliesi, per diversi motivi.
La transizione al processo di riduzione diretta, innanzitutto, è stata giudicata troppo lunga: dovrebbe concludersi nel 2039. Il sindaco di Taranto Pietro Bitetti, poi, ha detto che “non si può certamente andare contro il rispetto del territorio”, alludendo al rigassificatore galleggiante e al dissalatore.
Per il presidente Emiliano, “un rigassificatore attraccato al porto di Taranto rappresenterebbe un colpo durissimo per il porto stesso. Se proprio dovesse essere realizzato, non potrà essere ormeggiato in porto, ma dovrà essere posizionato al largo”. Quanto al dissalatore, pensa che “la salamoia [una soluzione acquosa ad alta concentrazione di sale, ndr] in mare non è una soluzione accettabile”.
Sui tempi della decarbonizzazione, invece, Emiliano ha spiegato che “nella massima ipotesi produttiva, i tre forni a ciclo integrale non supererebbero i 4,2 milioni di tonnellate. Ciò significa che la richiesta di […] 6 milioni appare sovradimensionata e ritarderebbe la decarbonizzazione fino al 2039. Noi proponiamo un approccio più razionale, con obiettivi produttivi meno ambiziosi, che permetterebbero di completare la decarbonizzazione entro sei anni”.
I PROSSIMI APPUNTAMENTI
L’8 luglio, presso la sede del ministero delle Imprese, si terrà un incontro tra i rappresentanti del governo e degli enti pugliesi per discutere del piano di decarbonizzazione dell’ex Ilva ed eventualmente raggiungere un accordo.
Oggi, giovedì 3 luglio, al ministero del Lavoro si discuterà invece della cassa integrazione per oltre 4000 lavoratori di Acciaierie d’Italia, di cui 3500 impiegati a Taranto.
TRATTARE L’EX ILVA COME UN ASSET MILITARE?
Negli ultimi giorni sta circolando l’ipotesi – evocata anche dal presidente di Federacciai Antonio Gozzi – di far rientrare la produzione di acciaio primario dell’ex Ilva nelle attività di interesse militare, dato che l’industria della difesa ha bisogno di questa lega per la realizzazione dei suoi sistemi.
Secondo Salvatore Toma, presidente di Confindustria Taranto, “se l’ex Ilva di Taranto rientrasse nelle strategie collegate all’aumento della spesa militare – già prevista al 5 per cento -, la fabbrica potrebbe beneficiare di deroghe alle norme europee sugli aiuti di stato, permettendo allo stato di sostenerla anche con bilanci in perdita nella fase iniziale. Questo garantirebbe una trattativa più solida sul mercato una volta che l’impianto sarà ammodernato e pienamente operativo”.
A proposito di trattative sul mercato, non è chiaro a che punto siano i negoziati con la società siderurgica azera Baku Steel, che aveva presentato un’offerta di acquisizione per Acciaierie d’Italia.
L’ACCIAIO PRIMARIO SI SPOSTERÀ DA TARANTO A GENOVA?
Secondo il Giornale, Baku Steel sarebbe “uscita di scena”, rinunciando cioè all’investimento. Il quotidiano diretto da Alessandro Sallusti ha scritto anche che “starebbe prendendo piede” un piano alternativo su Acciaierie d’Italia che, a seguito delle difficoltà negoziali con gli enti pugliesi, sposterebbe la produzione siderurgica da preridotto a Genova, anziché a Taranto.
In una nota recente del ministero delle Imprese si legge che “il ministro Urso ha illustrato i contenuti del nuovo Piano Siderurgico Nazionale, che traccia la transizione verso una siderurgia sostenibile attraverso l’adozione di forni elettrici e la realizzazione di impianti DRI (Direct Reduced Iron) al fine di ridurre le emissioni e rafforzare la competitività del comparto. Particolare attenzione è stata inoltre dedicata all’approfondimento delle potenzialità del sito ex Ilva di Genova-Cornigliano, così come di quelle dei vicini stabilimenti di Novi Ligure (Alessandria) e Racconigi (Cuneo)”.
Se questo piano alternativo per Acciaierie d’Italia dovesse venire seguito, la produzione di acciaio primario da preridotto verrebbe localizzata a Genova e Taranto ne resterebbe priva: con la chiusura degli altiforni e la loro sostituzioni con i forni elettrici – senza, però, gli impianti di riduzione diretta del ferro, da destinare appunto all’acciaieria ligure -, infatti, nell’ex Ilva di Taranto si produrrebbe solo acciaio secondario da rottami, che è diverso da quello primario per qualità e ambiti di applicazione.
“Per la città pugliese, a questo punto, si profila un forte ridimensionamento”, ha scritto il Giornale, perché l’Ilva priva di altiforni e di impianti di riduzione diretta “ovviamente non potrà produrre lo stesso acciaio, né mantenere i medesimi livelli occupazionali. Per cui si prevede un significativo ridimensionamento del numero di addetti e una produzione a forni elettrici (ma non Dri)”.