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Sabotaggio Nord Stream

Perché all’Europa serve accelerare sul Nord Stream 2. Report Iai

Tre consigli all’Europa in materia di energia. L’analisi di Marco Giuli, consigliere Iai e analista presso l'Epc, per Affari Internazionali

 

Negli ultimi anni, l’agenda energetica europea ha spostato la sua attenzione dalla sicurezza degli approvviggionamenti di gas – tema divenuto centrale in seguito alle interruzioni occorse nel 2006 e 2009 sul corridoio ucraino – al processo di decarbonizzazione. Il Green Deal europeo, finalizzato a mettere l’Unione sulla traiettoria della neutralità climatica, figura fra le iniziative politiche che definiscono maggiormente il mandato della Commissione di Ursula von der Leyen.  La percezione di una situazione di sicurezza energetica nettamente migliorata grazie a interventi regolatori, nuove infrastrutture, e una congiuntura di mercato favorevole ha contribuito a tale evoluzione delle priorità.

La crisi del gas fra mercato e rischio politico

Negli ultimi mesi, tuttavia, severe turbolenze nei mercati internazionali del gas hanno riportato questa risorsa al centro dell’attenzione dell’Ue. Nel corso del 2021, i prezzi del gas sugli indici europei e asiatici hanno quasi raggiunto i 40 dollari/Mmbtu, rispetto al decennio precendente in cui si sono generalmente attestati al di sotto dei 10 dollari/Mmbtu. Questa tendenza identifica uno squilibrio fra domanda e offerta di gas naturale liquefatto (gnl).

Alla crisi di offerta del gnl si è sovrapposta una crisi nell’offerta russa. Gazprom non sta offrendo al mercato europeo più di quanto previsto dagli obblighi contrattuali. Intanto, un anomalo sottoutilizzo delle strutture di stoccaggio della compagnia di stato russa in Germania, Austria e Olanda contribuisce a spiegare i livelli di scorte ai minimi storici in Europa. Difficile stabilire se le scelte russe siano motivate dalla volontà di mettere l’Europa sotto pressione, ad esempio per accelerare la certificazione del controverso gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2.

Da parte russa, una confusione comunicativa – che ha attribuito la responsabilità della scarsa offerta di volta in volta a incidenti tecnici, a necessità di approvvigionare le scorte domestiche, alle politiche climatiche europee, al passaggio dell’Europa dai contratti di fornitura di lungo periodo preferiti da Gazprom ai mercati spot e da ultimo ad una mancanza di domanda da parte delle compagnie europee – non ha aiutato a chiarire la posizione di Mosca, suggerendo un atteggiamento opportunista rispetto all’attuale congiuntura di mercato.

La geopolitica dei gasdotti

Sullo sfondo delle dinamiche del mercato, riemerge inoltre il rischio politico. La crescita della tensione fra Russia e Ucraina, come quella fra Bielorussia e Ue nel quadro della crisi dei migranti al confine polacco-bielorusso, non è passata inosservata agli operatori del mercato. Ripetutamente, il presidente bielorusso Lukashenka ha minacciato l’Europa di sospendere gli approvvigionamenti di gas attraverso il gasdotto Jamal’-Europa, che transita in territorio bielorusso. Intanto, Washington è tornata ad agitare lo spettro di sanzioni contro Nord Stream 2 in risposta a eventuali azioni russe in Ucraina.

Finora, l’Europa sta assicurando gli approvvigionamenti contendendosi il gnl con l’Asia a colpi di prezzi. Non è escluso tuttavia che la situazione degli stoccaggi possa nei prossimi mesi determinare rischi nella disponibilità materiale di gas. Mentre il caro-bollette sarà attenuato da interventi nazionali di sostegno ai consumatori vulnerabili, come da indicazioni della Commissione, corrono rischi maggiori i consumatori industriali, che potranno vedersi costretti a sospendere la produzione come già avvenuto in alcuni siti siderurgici e chimici. Tramontata la possibilità di una rapida attivazione di Nord Stream 2, l’Europa deve sperare in un inverno mite.

La risposta europea: le ipotesi

Quali opzioni dunque per il breve-medio periodo? Se ne possono ipotizzare diverse. L’Europa potrebbe pensare ad un calmieramento dei prezzi delle emissioni – anch’esse in forte crescita – per ridurre i costi di un temporaneo maggiore impiego del carbone, come auspicato da Polonia e Ungheria. Una mossa che sarebbe tuttavia disastrosa dal punto di vista reputazionale di un leader climatico internazionale come la Ue, e decisamente avversata da molti paesi membri – Germania in testa. Non sembra dunque questa la strada.

Una seconda risposta, basata sul gas, potrebbe essere quella dell’acquisto congiunto per la costituzione di una riserva strategica europea, che possa intervenire sul mercato calmierando i prezzi nei momenti critici. L’idea è stata avanzata da un gruppo di stati guidati da Spagna e Francia, e ripresa, seppur annacquata, dalla Commissione – che ha proposto niente più che uno schema di acquisto congiunto volontario nel recente pacchetto gas di dicembre. La proposta appare tuttavia impraticabile nel breve termine e non priva di rischi – ad esempio la costituzione di un’istituzione costosa in termini amministrativi e materiali, che potrebbe rivelarsi ben presto ridondante man mano che il processo di decarbonizzazione avanza. Proprio il rischio che le politiche climatiche possano rendere presto inutile le infrastrutture per la diversificazione degli approvvigionamenti ha spinto sia la Banca Europea per gli Investimenti che la Commissione ad annunciare o proporre la fine del sostegno finanziario e politico a nuovi progetti fossili.

Una terza risposta, basata ancora sul gas, potrebbe orientarsi verso il dialogo con la Russia, preso ormai atto della ritrovata centralità di Mosca per i destini energetici europei. Questo implicherebbe un’accelerazione di Nord Stream 2, e la sottoscrizione di contratti di fornitura di lungo termine come suggerito dal presidente Putin. Tuttavia, da un punto di vista simbolico tale approccio significherebbe cedere a un ricatto in un momento di forte tensione politica con Mosca. Proprio la recrudescenza del rischio politico potrebbe rendere la riconciliazione energetica meno appetibile. E se l’amministrazione Biden sembra abbastanza conciliante sul fronte del gas russo, come evidenziato dal vertice Biden-Merkel dello scorso luglio, l’Ue rimane comunque esposta alle mosse di un Congresso particolarmente ostile alla partnership energetica euro-russa, nonché alle scelte delle prossime amministrazioni.  Quanto ai contratti di lungo termine, vi è al momento scarsa chiarezza rispetto alle preferenze dei compratori europei. La Commissione ha suggerito nel pacchetto gas di non estendere contratti di lungo termine oltre il 2049, lasciando tuttavia intendere che vi siano ampi margini per la loro sottoscrizione nonostante i piani di decarbonizzazione.

L’ultima opzione, invece, è un’accelerazione del processo di decarbonizzazione, che rispetti la tabella di marcia della neutralità climatica. Tale approccio, che sembra essere quello preferito dalla Commissione quando menziona per la prima volta nell’ultimo pacchetto gas “il graduale phase out del gas naturale”, tende a rinconciliare sicurezza energetica e decarbonizzazione nel lungo periodo, puntando su efficienza, elettrificazione, e dispiegamento di fonti rinnovabili. Al prezzo, tuttavia, di lasciare qualche potenziale scopertura nella sicurezza energetica di breve periodo.

Con molta probabilità l’Europa si muoverà verso soluzioni miste per assicurare la sicurezza energetica nel percorso della transizione. Da un lato un’accelerazione della stessa, dall’altro una mitigazione dei rischi attraverso contratti di lungo termine – magari aspettando una congiuntura di mercato più favorevole alle negoziazioni.

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