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concessioni idroelettriche

Cosa (non) ha fatto il governo sulle concessioni idroelettriche di Enel, A2a, Edison e Iren

Il decreto Energia non modifica la situazione delle concessioni idroelettriche di Enel, A2a, Edison e Iren: quelle in scadenza andranno messe a gara, come vuole l'Unione europea; il governo, però, preferirebbe favorire i gestori uscenti in cambio di un accordo sugli investimenti. Tutti i dettagli

Nel cosiddetto DL Energia, ovvero il decreto-legge approvato lunedì che contiene diverse misure per il settore energetico – come gli aiuti alle imprese energivore, le incentivazioni agli impianti rinnovabili e la promozione delle tecnologie di cattura della CO2 – non contiene invece novità sulle concessioni idroelettriche. Il tema è motivo di frizione tra il governo italiano e la Commissione europea: la seconda vuole che le concessioni vengano messe a gara, mentre il governo – scrive Il Sole 24 Ore – “vorrebbe favorire in qualche modo le aziende che gestiscono impianti da anni”, prorogando di vent’anni la scadenza dei loro permessi con l’obiettivo di favorire gli investimenti.

IL SOLE 24 ORE DIFENDE I GRANDI OPERATORI IDROELETTRICI

Nel DL Energia, dunque, l’esecutivo ha preferito non modificare il sistema vigente per non andare allo scontro con Bruxelles: la legge sulla concorrenza del 2022 prevede, per la fine del 2023, l’apertura di gare per le concessioni scadute.

Ma Il Sole 24 Ore, quotidiano di proprietà di Confindustria, da tempo difende la posizione dei grandi operatori idroelettrici come Enel, A2A, Iren o Edison (tutte aziende a partecipazione pubblica, tranne Edison: fa parte del gruppo francese EDF) sottolineando la mancanza di uniformità regolatoria sul mercato europeo.

Nell’Europa meridionale, inclusa l’Italia, prevale infatti lo strumento della concessione, mentre nell’Europa settentrionale il permesso. Anche la durata dei provvedimenti è estremamente varia: in Spagna è di settantacinque anni; in Austria si può arrivare a novant’anni; in Portogallo la norma è trentacinque anni; in Francia tra i trenta e i quaranta anni. In Italia le concessioni possono arrivare a trent’anni, ma in alcune regioni si scende anche a quindici.

LE CONCESSIONI IDROELETTRICHE SONO MATERIA STRATEGICA?

Di conseguenza, secondo il giornale confindustriale, mettere a gara i rinnovi delle concessioni potrebbe significare per l’Italia la perdita del controllo sulle proprie risorse idroelettriche – in particolare sulle cosiddette “grandi derivazioni”, ovvero le concessioni dalla potenziale nominale media di almeno 3 megawatt -, che finirebbero in mano straniera. Come spiegava il Copasir nel gennaio 2022, quando il comitato era guidato dall’attuale ministro delle Imprese Adolfo Urso, nell’Unione europea vige peraltro un “regime di non reciprocità poiché gli altri Paesi europei applicano un regime protezionistico” sulle concessioni idroelettriche.

Il governo preferirebbe, anziché metterle a gara, allungare di vent’anni la durata della concessione allo stesso operatore, in cambio di un accordo sugli investimenti. Le aziende del settore idroelettrico lamentano spesso la breve durata delle concessioni italiane, sostenendo che costituisca un disincentivo agli investimenti nell’ammodernamento degli impianti.

GLI OPERATORI SONO IN DEBITO CON LA REGIONE LOMBARDIA

In Italia la produzione idroelettrica si concentra nel nord, e più nello specifico in Lombardia (prima regione italiana per produzione, con oltre il 25 per cento del totale nazionale), Trentino Alto-Adige e  Piemonte.

Come ha scritto di recente Il Post, gli operatori idroelettrici della Lombardia hanno pagato alla Regione “solo una minima parte dei soldi dovuti” per l’utilizzo dell’acqua e per la compensazione sull’energia prodotta a seguito della scadenza delle loro concessioni, all’incirca una decina d’anni fa. I debiti accumulati in quest’arco di tempo superano i 100 milioni di euro, “che finora la Regione non ha mai chiesto”, sottolinea il giornale.

Gli operatori delle grandi derivazioni idroelettriche lombarde hanno presentato ricorso al tribunale amministrativo regionale contro la legge che li obbliga al pagamento di canoni per lo sfruttamento dell’acqua una volta scaduta la concessione.

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