A2a, la società multiservizi partecipata dai comuni di Milano e Brescia, ha annunciato un investimento da 1,6 miliardi di euro in dieci anni nei data center, le infrastrutture fisiche che – semplificando – permettono il funzionamento delle tecnologie digitali, come i sistemi di cloud computing e di intelligenza artificiale, ma non solo.
Come ha ricordato Ferruccio de Bortoli su L’Economia del Corriere della Sera, la direzione generale di A2a ha sede a Milano e proprio il capoluogo lombardo “è tra le aree di maggior sviluppo al mondo per i data center“: particolarmente rilevante, in questo senso, fu l’annuncio di Microsoft nell’ottobre 2024 per una spesa di 4,3 miliardi nell’espansione dei suoi centri dati nel milanese, con l’obiettivo di farne un hub tecnologico di riferimento a livello europeo.
LO STUDIO DI AMBROSETTI SUI DATA CENTER IN ITALIA
Secondo uno studio realizzato da The European House – Ambrosetti assieme ad A2a, a Milano si concentra il 46 per cento della capacità italiana dei data center. Si legge infatti che:
Il numero di data center presenti nel nostro Paese è infatti in crescita: le 168 strutture rilevate nel 2024, per una potenza installata di 513 MW, posizionano l’Italia al 13° posto a livello mondiale. Milano, con una capacità installata di 238 MW, pari al 46% della capacità nazionale, supera quella di città come Madrid e Zurigo.
Secondo Ambrosetti, lo sviluppo di queste infrastrutture ha un impatto economico rilevante: nel 2024 la data economy italiana è valsa il 2,8 per cento del prodotto interno lordo, per oltre 60 miliardi; se l’Italia riuscisse a eguagliare i livelli di Estonia e Paesi Bassi, il valore potrebbe salire a 207 miliardi entro il 2030.
IL PROBLEMA ENERGETICO
Ma i data center non portano solo vantaggi: trattandosi di strutture energivore – che consumano, cioè, grandi quantità di energia – con un profilo della domanda particolare, possono creare problemi alla rete elettrica, ostacolare l’avanzamento degli obiettivi di decarbonizzazione e forse causare anche un aumento dei prezzi delle bollette.
Il problema energetico dei centri dati non sta solo nelle quantità di energia da fornirgli, ma nelle modalità di somministrazione: l’afflusso di elettricità verso queste strutture deve essere costante e continuo, a ogni ora del giorno e della notte, tutti i giorni della settimana. I parchi eolici e fotovoltaici, con la loro generazione variabile, non possono garantirlo; le centrali nucleari sì, ma in Italia non ce ne sono di attive. Di conseguenza, i data center potrebbero stimolare la costruzione di nuove centrali alimentate a combustibili fossili, in particolare il gas naturale.
IN CHE MODO I DATA CENTER POSSONO CAUSARE UN AUMENTO DELLE BOLLETTE?
La concentrazione di molti data center in un’area specifica – la città metropolitana di Milano o l’intera Lombardia, poniamo – potrebbe far salire i prezzi dell’elettricità a causa della maggiore domanda e della conseguente congestione della rete. Gli investimenti necessari ad ampliare la capacità di generazione e a potenziare le infrastrutture di trasformazione e distribuzione dell’energia elettrica potrebbero venire finanziati, almeno in parte, attraverso le bollette degli utenti, rientrando nei cosiddetti “oneri di sistema”.
Il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti, intervenuto all’assemblea degli industriali di Cremona, ha espresso il dubbio che l’aumento della domanda di elettricità creato dai data center possa farne salire i prezzi. A questo proposito, de Bortoli ha scritto sul Corriere che “il lento superamento del prezzo unico nazionale (Pun) — come dal decreto del 18 aprile 2024 — e l’arrivo dei cosiddetti prezzi zonali potrebbe rendere, teoricamente, più cara l’energia elettrica là dove la domanda — anche e soprattutto per i data center — è più elevata”.



