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Trivelle

Perché Croazia, Montenegro, Grecia e Albania brindano allo stop italiano sulle trivelle

Tutti gli effetti negativi per l'Italia con lo stop deciso dal governo Conte alle ricerche in mare di idrocarburi

Alla fine il compromesso è stato raggiunto sulle trivelle. Lo scontro tra Lega e M5S che aveva portato il ministro dell’Ambiente a minacciare addirittura le dimissioni, prevede in sintesi uno stop alle ricerche in mare di idrocarburi di 18 mesi e un aumento dei canoni di concessione pari a 25 volte (rispetto alle 35 previste in una bozza precedente di mediazione).

ECCO IL COMPROMESSO RAGGIUNTO TRA LEGA E M5S

A chiarire il senso dell’emendamento è stato il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, autore della mediazione interna alla maggioranza, in attesa dell’adozione del ‘Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee’ (PiTESAI), attualmente in discussione nelle Commissioni riunite Affari costituzionali e Lavori pubblici del Senato: “Si è convenuto di sospendere i procedimenti amministrativi relativi al conferimento di nuovi permessi di prospezione, di ricerca o di concessioni di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi. Sono altresì sospesi i permessi di prospezione e di ricerca in essere, mentre non vengono sospese le istanze di proroga delle concessioni di coltivazione in essere. La sospensione non si applica, inoltre, ai procedimenti relativi al conferimento di concessione di coltivazione pendenti. Si è anche deciso di aumentare l’ammontare dei canoni dovuti dai singoli operatori a titolo di corrispettivo sino a 25 volte il valore attualmente previsto”.

CROAZIA, MONTENEGRO, GRECIA E ALBANIA BRINDANO ALLO STOP ITALIANO. A PIANGERE LE CASSE DELLO STATO

A fronte di ciò, tuttavia, lo stop temporaneo dell’Italia rischia di essere determinante per altri paesi. E di essere dannoso per le casse dello Stato in caso di stop definitivo. Nel primo caso, come ricordava qualche giorno Jacopo Giliberto sul Sole 24 Ore, a brindare sono i nostri vicini visto che “le riserve italiane potranno essere estratte in tutta serenità da croati, greci, albanesi e montenegrini appena un metro di là dalla linea immaginaria di confine. Per usare una metafora, quei giacimenti sono come lo sciroppo sul fondo di un bicchiere di granita: lo sugge la cannuccia che vi arriva prima”.

GLI EFFETTI NEFASTI PER L’ITALIA

In sostanza, aggiungeva il quotidiano di Confindustria, “i giacimenti più grandi sotto l’Adriatico, per i quali l’Eni dovrebbe essere costretta a stoppare investimenti italiani per 2 miliardi, sono condivisi con la Croazia, e più a sud con il Montenegro e con l’Albania. Paesi che si stanno muovendo per estrarre al posto nostro gli stessi petrolio e metano”.

LA CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA

In secondo luogo è stata inserita una clausola di salvaguardia nel testo dell’emendamento come chiarisce la relazione illustrativa: l’attuazione del piano PiTESAI “potrebbe generare possibili richieste di risarcimento o indennizzo che gli operatori colpiti dagli effetti della moratoria potrebbero eventualmente chiedere” e che potrebbero andar da un minimo di 282,4 milioni a un massimo di 470,7 milioni di euro.

I NUMERI CONTENUTI NELLA RELAZIONE ILLUSTRATIVA

Per far fronte a tali oneri “il comma 11 istituisce un fondo presso lo stato di previsione del Ministero dello sviluppo economico, con una dotazione di 20 milioni di euro a decorrere dall’anno 2020 e prevede a tale fondo siano riassegnate le maggiori entrate derivanti dall’aumento dei canoni, come sopra quantificate, per gli importi eccedenti 1 milione per l’anno 2019, 21 milioni per l’anno 2020 e 20 milioni a decorrere dall’anno 2021. Pertanto, si ritiene che si disponga di risorse sufficienti per far fronte agli oneri previsti dalla norma, tenendo conto anche della possibilità di rateizzare gli indennizzi”, osserva la relazione.

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