Tra problemi operativi e difficoltà nella selezione di un acquirente anche dopo due gare, il futuro di Acciaierie d’Italia – la società in amministrazione straordinaria che gestisce gli impianti dell’ex-Ilva, non solo a Taranto – è ancora incerto. Non soltanto nel nostro paese, comunque, ma in tutta Europa l’industria siderurgica sta vivendo un momento difficile: le ragioni sono diverse, e vanno dai costi di decarbonizzazione ai prezzi alti dell’energia, dalla fiacchezza della domanda interna di acciaio alla sovraccapacità sui mercati che deprime i prezzi di vendita.
I TAGLI DI THYSSENKRUPP IN GERMANIA
In Germania, ad esempio, il conglomerato tedesco Thyssenkrupp – il più grande produttore di acciaio nel paese – ha detto di voler procedere immediatamente con i licenziamenti e con la riduzione della capacità, nell’ottica di una possibile vendita della sua divisione siderurgica. Tra i potenziali acquirenti ci sono il gruppo indiano Jindal Steel e l’imprenditore ceco Daniel Kretinsky, proprietario della compagnia energetica Eph.
Più nel dettaglio, Thyssenkrupp intende rimuovere il 40 per cento della forza-lavoro nell’unità in questione e diminuire di un quarto la capacità produttiva annua, portandola a nove milioni di tonnellate o poco meno, in modo da trovare più facilmente un compratore. Non sarà facile, comunque: nei primi nove mesi dell’anno fiscale che si è concluso lo scorso giugno, la divisione siderurgica ha registrato un calo degli ordini di oltre il 10 per cento su base annua; il quadro generale – come detto – è sfidante per via della scarsità di domanda, dei prezzi elevati dell’energia e della concorrenza con le economiche importazioni dall’Asia.
LA FRANCIA NAZIONALIZZERÀ LE ACCIAIERIE DI ARCELORMITTAL?
Anche in Francia la situazione è complicata. Il 27 novembre, infatti, la camera bassa del parlamento ha approvato – con 127 voti a favore e 41 contrari – una mozione presentata dal partito di estrema sinistra La France insoumise per la nazionalizzazione delle acciaierie di ArcelorMittal. Il gruppo indiano-lussemburghese è il secondo maggiore produttore di acciaio al mondo e nel 2018 acquisì Ilva, salvo uscirne qualche anno dopo.
Nonostante il voto dell’Assemblea nazionale, il ministro delle Finanze Roland Lescure ha dichiarato che il governo è contrario alla nazionalizzazione.
Il presidente della divisione francese di ArcelorMittal, Alain Le Grix, ha spiegato che la società deve affrontare “una concorrenza sleale e la nazionalizzazione non risolve in alcun modo questo problema. I nostri siti sono ora esposti a un eccesso di capacità produttiva globale e a importazioni distruttive dai mercati europei”.
IL REGNO UNITO L’HA GIÀ FATTO: E L’ITALIA?
Tuttavia, già il Regno Unito ha proceduto alla nazionalizzazione, lo scorso aprile, di British Steel per evitare la chiusura degli altiforni di Scunthorpe da parte del proprietario, il gruppo cinese Jingye. Gli altiforni sono fondamentali per la produzione di acciaio primario, qualitativamente diverso da quello secondario da rottami.
Non è escluso che anche Acciaierie d’Italia, già in amministrazione straordinaria e sostenuta con soldi pubblici, venga nazionalizzata. Nonostante il ministro delle Imprese Adolfo Urso, che sta gestendo il dossier, abbia in passato criticato la partecipazione statale nell’ex Ilva, da tempo circola la possibilità di un ingresso nel capitale di Invitalia (l’agenzia per l’attrazione degli investimenti controllata dal ministero dell’Economia) con una quota del 10 per cento.




