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Governo Scholz

Cosa succederà a Nord Stream 2?

Storie di fatti e non di improvvisazioni lungo le rotte del gas, dai giacimenti di shale degli Stati Uniti a quelli del permafrost russo, passando per l’immancabile Europa. L'approfondimento di Gianni Bessi

 

Guerra di spie sulle banchine tedesche di Mukran, Wismar e Rostok, tracciamento della posizione delle navi russe nell’area in un gioco di apparenze e finzioni, pressioni sui contrattisti affinché abbandonino il progetto Nord Stream 2 (NS2) nel nome della democrazia a stelle e strisce, minacce ai fornitori perché non consegnino i materiali e le attrezzature necessari all’ammodernamento di due piccole navi posatubi con le quali l’Orso Russo intende autarchicamente completare il più sanzionato e boicottato progetto della recente storia dell’energia.

Il passatempo di analisti, tecnici, politici e giornalisti consiste nel monitoraggio di ogni movimento delle navi posatubi nel tentativo di azzardare ipotesi sugli sviluppi della partita a risiko tra Stati Uniti, Germania e Russia a fronte delle scarne informazioni che filtrano da parte degli operatori ufficiali del progetto.

Le storie di House of zar, che sono alimentate da persone che amano il mondo dell’energia e che conoscono i grandi spazi del permafrost russo o le acque profonde del Mar Nero o del Caspio, guardano solo ai fatti.

La costruzione di Nord Stream 2 è quasi terminata. Il gasdotto si compone di due linee parallele da 48 pollici lunghe circa 1.200 chilometri con partenza a Ust Luga, sud-ovest di San Pietroburgo, e arrivo presso la città costiera tedesca di Lubmin, vicino a Greifswald: un progetto dal costo complessivo di 12 miliardi di dollari.

La ‘guerra fredda del gas’ tra Russia e Stati Uniti continua quindi, ci si passi la facile battuta, a tutto gas.

Il bisonte americano continua ad avere la necessità di confermare la sua dominance energetica mondiale che si basa sulla vendita di gas naturale liquefatto ai paesi europei: in questo modo, oltre a mettere dollari in cassa, gli Usa danno fiato alla produzione nazionale di gas di scisto e agli investimenti per la ricerca del gas con fracking nel Mare del nord.

Nell’ultimo giorno di mandato, il 19 gennaio, l’amministrazione Trump ha, tra l’altro, imposto sanzioni alla russa KVT-RUS, proprietaria della nave posatubi Fortuna, ai sensi del Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA). In questo modo ha ampliato la minaccia di sanzioni statunitensi nei confronti delle aziende che forniscono servizi alle navi che posano i tubi del progetto, così come di quelle che svolgono attività di test, ispezione o certificazione delle tubazioni.

Le minacce dell’amministrazione Trump non hanno saputo coinvolgere i partner europei, tra i quali hanno prevalso singoli interessi di bottega rispetto alla logica unitaria europeista. Ma, nonostante ciò, non ha funzionato il calcolo secondo cui il timore di sanzioni statunitensi avrebbe indotto il ritiro dal progetto da parte delle società occidentali specializzate nella posa di condotte offshore.

La storia dell’Orso Russo insegna quanto sia preparato a invasioni e assedi. È abituato alla resistenza, alla resilienza e alla pazienza per percorrere le lunghe vie nazionali della Madre Russia raccontate da Dostoevskij.

D’altro canto, Berlino afferma che Nord Stream 2 è un progetto che riveste importanza fondamentale per la Energiewende, la strategia con cui la Germania ambisce a raggiungere una costosa neutralità climatica entro il 2050, abbandonando il nucleare entro il 2022 e il carbone entro il 2038. In questo scenario il gas naturale diventerà, pertanto, la chiave per la produzione di energia elettrica da cui l’onnivora industria tedesca non può prescindere.

Ed è ben noto che nessun popolo come quello tedesco, come sentenziava Winston Churchill, è più preciso nella preparazione e nella pianificazione, ma che anche può risultare maggiormente sconvolto quando i piani falliscono. Perché non è in grado di improvvisare.

Ma di fatti e non di improvvisazioni è fatta questa storia.

Abbiamo visto lo scorso ottobre come gli attori principali attorno a cui ruotano le sue vicende sono certamente le due navi posatubi Fortuna e Akademik Chersky.

La prima, varata nel 2010 secondo il registro internazionale russo delle navi (RMRS), è stata trasferita da una microimpresa russa a un’altra. Il nuovo proprietario della nave è dal 18 dicembre 2020 KBT-Rus LLC che l’ha acquistata da Universal Transport Group LLC, la quale a sua volta l’aveva acquistata dalla Hong Kong Strategic Mileage all’inizio di ottobre 2020.

La seconda, varata nel lontano 1970 con il nome di Jascon 18 sotto la bandiera di Gibilterra, ha cambiato nome ed registrazione nel febbraio 2017. Dalla fine del 2016 è di proprietà di Gazprom Fleet LLC mentre ora, secondo il registro internazionale delle navi, Akademik Chersky è diventata di proprietà di STIF (Samara Thermal Energy Property Fund) che fa parte del gruppo Gazprom.

A dicembre 2020 non è passato inosservato che la posatubi Fortuna iniziasse in silenzio la posa della restante sezione di 2,6 km del gasdotto nelle acque tedesche. L’enfasi per questo completamento non era banale perché, qualora entro il 31/12/2020 non fossero stati completati i lavori nella zona economica esclusiva della Germania, i soci privati europei finanziatori del Consorzio avrebbero potuto legalmente sfilarsi dal progetto con la possibilità di richiedere i danni per inadempimento al colosso dell’energia Gazprom. Il fatto che Fortuna e il suo armatore venissero puntualmente sanzionati da Washington a Mosca era considerato un tollerabilissimo effetto collaterale.

Il 15 gennaio 2021, Nord Stream 2 ha informato l’Agenzia danese per l’energia che il 6 febbraio 2021 avrebbe ripreso i lavori di posa nelle acque danesi di due segmenti paralleli incompiuti, rispettivamente di 49 e 68 chilometri dal confine marittimo tra Danimarca e Germania a sud-est dell’isola di Bornholm.

Il lavoro è attualmente svolto nel Mar Baltico con un gruppo di navi di supporto: il construction vessel Baltic Explorer, l’offshore supply ship Umka e la rompighiaccio supply vessel Yury Topchev unitamente ad una mezza dozzina di navi supporto con bandiera russa coinvolte a vario titolo nella costruzione e nella sorveglianza di NS2.

Fortuna sarebbe in grado di posare, nelle intenzioni dell’armatore, circa un chilometro di tubo al giorno (contro i quasi 5 km della nave Pioneer Spirit, il mammut dei mari degli svizzeri-olandesi Allseas, protagonista di diverse puntate di House of zar: è stata contrattualizzata fino all’entrata in vigore delle sanzioni USA) ma in realtà la sua capacità produttiva arriva a poco meno della metà (480 metri/giorno). Con quel ritmo la nave terminerebbe le operazioni in otto/nove mesi circa a seconda delle condizioni meteorologiche, schedula ritenuta inaccettabile da Aleksey Borisovic Miller, il cui cognome tedesco ricorda le origini e le leggende del rapporto tra le due grandi nazioni iniziato con la zarina Caterina la Grande, presidente di Gazprom da 25 anni e appena confermato dallo zar Putin alla guida dell’azienda energetica globale con sede nel grattacielo di Lachta-center di San Pietroburgo. Proprio Putin confida nel suo fedele silovik per il successo di questo progetto irrinunciabile per le strategie future del colosso energetico statale e della stessa madre Russia.

Ora le opzioni parrebbero ridursi a due: lasciare o raddoppiare. Annullare la costruzione del gasdotto a questo punto sarebbe complicatissimo e comporterebbe una precisa e irrevocabile ammissione di debolezza nelle relazioni internazionali. Per il governo della Russia, che è attualmente il più grande esportatore mondiale di energia e si affida alla vendita di petrolio e gas per riempire le casse dello Stato e costruire la propria influenza geopolitica, il progetto è imprescindibile anche alla luce delle possibili modifiche degli equilibri nel corridoio sud-europeo a seguito della messa in funzione del gasdotto TANAP/TAP alimentato dai ricchi giacimenti di Shah Deniz vicino a Baku, capitale dell’Azerbaijan.

(1. continua; la seconda parte domani)

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