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Ex

Cosa (non) succede all’ex Ilva-ArcelorMittal

L'intervento di Guglielmo Gambardella (coordinatore nazionale Uilm per il settore siderurgico)

Mancano ormai 30 giorni dalla scadenza del 30 novembre 2020, data entro cui ArcelorMittal potrebbe avvalersi della facoltà di recedere dal contratto di affitto dell’ex Ilva previsto dall’accordo del 4 marzo fra la multinazionale franco-indiana dell’acciaio ed il governo italiano.

Un accordo raggiunto, dopo numerosi momenti di rottura e ripresa del confronto, soprattutto per superare un contenzioso legale aperto lo scorso anno fra i commissari dell’Amministrazione Straordinaria Ilva (affittuari degli stabilimenti di Taranto, Genova, Novi Ligure, Marghera e centri di servizio) e AM InvestCo e senza il quale, molto probabilmente, avremmo visto il disimpegno del primo produttore al mondo di acciaio sulla gestione dell’ex Italsider.

Decisione soltanto rinviata alla scadenza del 30 novembre?

È questa la domanda che si pongono i sindacati che sono alla ricerca di una risposta che dia una certezza al futuro ai 20.000 lavoratori di AM InvestCo, dell’Ilva in AS e della filiera dell’indotto.

Ma su una vicenda che assume carattere strategico per il Paese e che potrebbe comportare importanti ripercussioni sull’intero settore siderurgico italiano, e non solo (Taranto rappresenta la più grande acciaieria d’Europa con una capacità produttiva di oltre 8 milioni di tonnellate), si registra oramai da troppo tempo un preoccupante silenzio.

Tace il Governo che, attraverso i ministeri dello Sviluppo Economico e dell’Economia e Finanze ed Invitalia, sta conducendo, dal 4 marzo scorso, la trattativa con il colosso dell’acciaio per verificare le condizioni per la sottoscrizione di un nuovo accordo sulla governance Ilva, con l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale, che scongiuri un disimpegno di AM InvestCo a fronte del pagamento di una penale di 500 milioni di euro.

Le uniche notizie, tutte da verificare, trapelano (o vengono fatte trapelare strumentalmente per la trattativa) solo dai giornali: sembrerebbe che l’ingresso dello Stato nell’ex Ilva, attraverso Invitalia, potrebbe concretizzarsi con una partecipazione oscillante tra il 40% ed il 45% ma con una governance paritetica con ArcelorMittal; non risulta ancora nessuna certezza sul nuovo “fantomatico” piano industriale basato sull’utilizzo della tecnologia ad idrogeno per la produzione dell’acciaio.

Tace anche Arcelor Mittal che oltre ad essere impegnata sulla partita italiana risulta essere occupata su scala globale ad affrontare una crisi di mercato dominato dalla concorrenza sleale dei produttori cinesi che, complessivamente, rappresentano ormai oltre la metà dell’intera produzione mondiale.

I sindacati, d’altra parte, ribadiscono la validità dell’accordo del 6 settembre 2018, sottoscritto in sede ministero dello Sviluppo Economico, che prevede il vincolo della piena occupazione da parte di Mittal nel rispetto di un piano industriale che indicava la messa in marcia di tutti gli impianti e la risalita dei volumi fino alla piena capacità produttiva di acciaio colato.

Nel frattempo, invece, in tutti gli stabilimenti ex Ilva si assiste al ricorso massiccio alla cassa integrazione, ad attuare un insufficiente livello di investimenti per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti, con seri rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, e procedere con discontinuità nei pagamenti alle imprese dell’indotto.

Le organizzazioni sindacali dei metalmeccanici di Fim-CISL Fiom-CGIL e Uilm-Uil hanno provato, anche nell’ultimo incontro dello scorso 1 ottobre tenutosi presso il MiSE, a sfondare il muro di gomma innalzato dalle istituzioni e Invitalia che continuano a rifiutare un confronto trasparente celandosi dietro il pretesto della riservatezza della trattativa in corso con Mittal.

Per Fim Fiom Uilm questa assurda situazione è diventata ormai insostenibile: i lavoratori non possono continuare a vivere e lavorare con questa perenne incertezza sul futuro dei loro posti di lavoro.

I sindacati hanno già annunciato di voler mettere in campo, nei prossimi giorni, iniziative di mobilitazione, informazione e sensibilizzazione verso l’opinione pubblica e le istituzioni locali e nazionali e per ribadire la richiesta di avere le risposte sullo stato dell’arte ed i contenuti del confronto in corso tra Arcelor Mittal e Governo ed in particolare sull’annunciato nuovo piano industriale ed ambientale.

Lo sciopero generale del settore indetto da Fim Fiom Uilm il prossimo 5 novembre per il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei metalmeccanici, si caratterizzerà anche per chiedere:

  • iniziative di politica industriale che garantiscano un solido futuro alla siderurgia ed alla manifattura in generale, per salvaguardare le produzioni e le attività di trasformazione dell’acciaio in tutti gli stabilimenti ex Ilva e delle imprese dell’indotto
  • la sostenibilità ambientale delle produzioni e misure che assicurino la prevenzione e la sicurezza della salute all’interno dei luoghi di lavoro
  • la destinazione per il settore siderurgico di adeguate risorse pubbliche, con fondi europei e nazionali, contestuali a investimenti privati
  • la garanzia di una transizione energetica ed ambientale che tenga prioritariamente in considerazione la salvaguardia occupazionale ed il reddito dei lavoratori

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