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ENERG

Perché sull’energia il Consiglio Ue ha deciso di non decidere

Durante il Consiglio europeo del 21-22 ottobre sono emerse tutte le grandi differenze di situazioni, interessi, posizioni dei paesi dell’Unione riguardo all’energia. L'analisi dell'economista Alberto Clò tratta da Rivista Energia

 

Finché si è trattato di assumere impegni nel lungo-lunghissimo termine (2030-2050), oltre l’orizzonte politico-elettorale di chi governa, come sul Green Deal, tutto è parso facile e fattibile. Ora che la ‘casa brucia’ per l’esplodere dell’inattesa eppur prevedibile crisi energetica emergono le grandi differenze di situazioni, interessi, posizioni dei paesi dell’Unione.

Il Consiglio Europeo che si è riunito il 21-22 ottobre ha palesato l’incapacità o mancanza di volontà dei 27 paesi a condividere responsabilità e costi.

Elevati sono i costi elettorali delle decisioni che si intraprendono così come i rischi di reazioni popolari (leggasi gilet gialli). Non c’è governo così che non sia intervenuto a lenire l’impatto dei maggiori prezzi per i consumatori impegnando molte risorse. Quello italiano sinora ha impegnato 4,5 miliardi, ma molti di più saranno necessari nei prossimi mesi.

Vale la pena scorrere il testo del Comunicato finale relativamente alla parte energetica: in tutto meno di una paginetta sulle nove totali. In sintesi, non si riporta alcuna decisione del Consiglio ma solo tre suoi inviti.

Il primo alla Commissione di “studiare il funzionamento dei mercati del gas e dell’energia elettrica, nonché del mercato EU dell’ETS” per verificare se sia opportuno regolamentare alcuni oscuri “comportamenti di negoziazione”. Paradossale considerando il profluvio di documenti, raccomandazioni, comunicazioni quotidianamente resi noti dalla Commissione su questi mercati. Che ora, nel pieno di un incendio, anziché spegnerlo la si inviti a studiare come stanno davvero le cose, appare surreale.

Il secondo è rivolto ai paesi membri e alla Commissione a “utilizzare urgentemente al meglio il pacchetto di misure per fornire aiuto a breve termine ai consumatori più vulnerabili e sostenere le imprese europee”. Quel che evidentemente ogni paese ha comunque già fatto anche considerando la non particolare originalità di quelle misure.

Il terzo invito è rivolto alla Commissione e a se stesso (un auto-invito) è quello di “prendere in considerazione in tempi brevi misure a medio e lungo termine volte a contribuire a un’energia a prezzi abbordabili per le famiglie e le imprese”.

In sintesi: decidere oggi cosa si potrà fare domani per contenere i prezzi dell’energia, quindi a babbo morto. Quasi che “sostenere la transizione verso la neutralità carbonica” non ne comportasse già di per sé un forte rialzo.

Fine del comunicato.

Nulla di nulla sulle cause lontane e vicine della crisi energetica; nulla di nulla sui gravi effetti anche economici che essa va già producendo (inflazione, chiusura fabbriche, etc); nulla di nulla sulle decisioni assunte da diversi paesi in direzione opposta alla transizione verso la neutralità carbonica, a iniziare dalla Germania (ma anche la Gran Bretagna) che ha spavaldamente aumentato i suoi consumi di carbone; nulla di nulla sugli errori che si sono prodotti in passato nella condanna dei contratti a lungo termine del metano così sacrificando la sicurezza, salvo oggi raccomandare di tornare indietro.

Nulla di nulla in sostanza su come intervenire sulla crisi per evitare che nei prossimi mesi essa possa ulteriormente aggravarsi. Pensare oggi di mettere in comune le scorte, come richiesto da alcuni paesi quando in passato, con le tensioni Russia-Ucraina che portarono all’interruzione delle forniture, nessun paese, dicasi nessuno, tranne l’Italia, andò in soccorso di quelli che più ne soffrivano, è la più amara constatazione di come la solidarietà sia estranea ai sentimenti comunitari.

Pensare poi, come da alcuni paesi auspicato, tra cui l’Italia, di accomunare gli acquisti metano (quasi fosse assimilabile ai vaccini) dimostra una scarsa conoscenza del mercato del gas, della formazione dei suoi prezzi, delle relazioni contrattuali, delle responsabilità che ne derivano.

Quanto ai prezzi, qualsiasi livello registrato sulla piattaforma TTF o PVS non è derivato da contrattazioni fisiche d’acquisto, ma ratifica quelli spot registrati sul mercato globalizzato. In altri termini, quel prezzo sarebbe valso anche se la centrale acquisti di Bruxelles avesse operato.

Qualora poi Bruxelles (chi?) arrivasse a concludere un contratto di acquisto, sulla base dei fabbisogni stagionali dei paesi che ne avessero fatto richiesta, chi pagherebbe qualora quello destinatario non fosse in grado di ritirare le quantità concordate? A non voler trattare con i burocrati di Bruxelles sarebbero comunque ancor prima i venditori di metano, come dichiarato da Gazprom.

Non lo si poteva allora chieder loro prima? Anche qui si è buttata la palla fuori dal campo, non sapendo cosa dire e fare. Dalle dichiarazioni dei partecipanti al Consiglio, dai resoconti dei media, dallo stesso comunicato è emersa in sostanza la percezione che nessuno avesse esatta contezza dell’effettiva gravità della situazione. Forse per il timore che, tutti intenti a provvedervi, essi trascurassero le azioni che la Commissione ritiene ancor più urgenti (Fit for 55).

(Estratto di un articolo pubblicato su Rivista Energia)

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