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Energia

Come il Sud può fare scintille sull’energia. Report Srm (Intesa Sanpaolo)

Sfruttando la sua posizione geografica, la sua rete infrastrutturale e un solido know how, l’Italia, ed il Mezzogiorno in particolare, può assumere il ruolo di ‘ponte infrastrutturale’ nel settore energia tra l’Europa e il continente africano. Report Srm di Intesa Sanpaolo

 

Sarà la risposta alla pandemia a rimodellare il futuro dell’energia a livello globale. E “se alla fine gli effetti della pandemia ostacoleranno o favoriranno gli sforzi per accelerare la transizione energetica, consentendo di raggiungere gli obiettivi energetici e climatici internazionali, dipenderà molto dal modo in cui i governi risponderanno alle sfide attuali”. È quanto emerge dal report Srm, il centro studi controllato da Intesa Sanpaolo, presentato in occasione della Conferenza digitale di Aspen Institute Italia dal titolo “Il Mezzogiorno d’Italia chiave di rilancio per l’economia italiana?”.

L’IMPATTO DELLA PANDEMIA SUL SISTEMA ENERGETICO

“La diminuzione della domanda di energia è stata la prima conseguenza del rallentamento dell’economia a livello mondiale – sottolinea il report -. Con i viaggi, il commercio e la mobilità limitati dalle varie misure di blocco, si è resa evidente la flessione della domanda di combustibili fossili e allo stesso tempo lo spostamento verso fonti di elettricità a basse emissioni di carbonio (eolico, fotovoltaico, idroelettrico e nucleare), ora destinate ad estendere il loro vantaggio come le principali fonti di generazione globale di elettricità”.

Conseguenza di questa situazione “in netto contrasto con tutti gli altri combustibili, le energie rinnovabili utilizzate per la generazione di elettricità sono destinate a crescere di quasi il 7% nel 2020.2 Anche gli investimenti di capitale nel settore energetico sono previsti in diminuzione (-18,3%), con il calo maggiore della spesa nel comparto oil&gas”. E visto che i combustibili a più alta intensità di carbonio, carbone e petrolio, “sono i più colpiti dalla riduzione della domanda mentre le rinnovabili lo sono di meno, le emissioni di CO2 dovrebbero calare del 6,6% (-2,4 Gt) con un ritorno dei valori annuali di anidride carbonica ai livelli di dieci anni fa”.

Tuttavia, avverte Srm, si tratta pur sempre di dati derivanti da una recessione economica temporanea: “La domanda globale di energia potrebbe tornare ai livelli pre-Covid all’inizio del 2023,sebbene le tendenze e i tempi previsti varino da paese a paese; tuttavia, nel caso di una pandemia prolungata e di un maggiore crollo del mercato, il riallineamento ai livelli del 2019 potrebbe avvenire solo nel 2025”.

L’IMPORTANZA DI FORNITURE AFFIDABILI, ECONOMICHE E SICURE

Quello che è sicuro, sottolinea il report, è che “gli effetti della pandemia hanno evidenziato l’importanza di una fornitura di energia elettrica affidabile, economica e sicura, in grado di accogliere cambiamenti repentini nelle attività economiche, fermo restando il supporto ai servizi sanitari ed a quelli informativi. Il settore elettrico – destinato ad evolversi in un sistema con minori emissioni di CO2, una base infrastrutturale più forte e una maggiore flessibilità – può ricoprire infatti un ruolo chiave nel sostenere la ripresa economica, soprattutto con il peso sempre più rilevante assunto dalle fonti rinnovabili”.

GLI INVESTIMENTI DA FARE

“Le fonti green potrebbero arrivare a soddisfare l’80% della crescita della domanda globale di elettricità nel prossimo decennio, superando entro il 2025 il carbone come fonte principale per produrre energia elettrica. Entro il 2030, l’idroelettrico, l’eolico, il fotovoltaico, le bioenergie, la geotermia, il solare a concentrazione e l’energia marina potrebbero coprire quasi il 40% della fornitura di elettricità. Per sostenere la forte crescita delle rinnovabili occorrerebbero rilevanti investimenti nelle reti elettriche. La modernizzazione, l’ampliamento e la digitalizzazione delle reti comporterebbero una spesa di 460 miliardi di dollari entro il 2030, due terzi in più rispetto al 2019”.

IL SISTEMA ELETTRICO DELL’ITALIA

“Nel 2019 in Italia la domanda di energia elettrica ha raggiunto i 319,6 TWh (-0,6% rispetto all’anno precedente). A copertura di tale fabbisogno è stato confermato il primato della fonte termoelettrica tradizionale; in forte calo è invece risultata la fonte idroelettrica, influenzata da una scarsa piovosità, mentre si è avuto un boom di incremento per la produzione eolica. La domanda è stata soddisfatta per l’88,1% dalla produzione nazionale7 (281,5 TWh, +1,4% sul 2018). La quota restante del fabbisogno è stata coperta dalle importazioni dall’estero per un ammontare di circa 44 TWh, in diminuzione del 6,8% rispetto all’anno precedente”, evidenzia il report Sanpaolo.

ITALIA TROPPO DIPENDENTE DALL’ESTERO

“L’elevata incidenza delle importazioni di energia elettrica offre l’occasione per introdurre il tema della dipendenza dall’estero del nostro Paese per il soddisfacimento delle esigenze di consumo”, ammette Srm. E infatti “si conferma la dipendenza del nostro Paese da fonti primarie di approvvigionamento estere: la quota di fabbisogno energetico nazionale soddisfatta da importazioni nette è del 74,7%, in aumento rispetto al 2018; incremento dovuto principalmente alla crescita delle importazioni di gas naturale. Infatti, ad incidere sulla elevata dipendenza dall’estero dell’Italia contribuiscono proprio le forti importazioni di prodotti fossili, il petrolio ma, soprattutto, il gas naturale, le cui forniture rivestono un carattere strategico evidente dato il peso che questo combustibile assume nella generazione di energia elettrica del nostro Paese”.

LA DOMANDA DI GAS E PETROLIO ITALIANA

Nel 2019 la domanda di gas naturale è stata pari a 74,5 miliardi di metri cubi, coperta per il 7% dalla produzione nazionale e per il rimanente 93% dall’importazione; con un incremento del 2,5% rispetto al 2018. La produzione nazionale, 4,85 miliardi di metri cubi, è risultata in riduzione del 10,9%, mentre l’importazione, 71,1 miliardi, è cresciuta del 4,7%. La produzione nazionale include anche il biometano, passato dai 29 milioni di metri cubi del 2018 ai 53 del 2019.

L’apporto del GNL nel 2019 è stato pari a circa 14,0 miliardi di metri cubi, il 20% del totale delle importazioni, con un incremento del 59,8% rispetto all’anno precedente, pari in termini assoluti a circa 5,2 miliardi di metri cubi.

Il 2019 ha registrato una flessione del consumo interno lordo di petrolio e di prodotti petroliferi del 2% rispetto all’anno precedente. La produzione nazionale ha contribuito per circa il 7,5%, mentre le importazioni nette (al netto delle scorte accumulate) hanno soddisfatto oltre il 90% della domanda. Nel corso del 2019 l’Italia ha importato poco oltre 63 milioni di tonnellate di petrolio (in aumento dell’1,8%), distribuite su un discreto numero di fornitori, con i primi sette (in testa l’Azerbaijan) che coprono circa l’80% delle importazioni.

L’IMPATTO DEL COVID-19 SULL’ENERGIA

Durante il periodo del lockdown “la composizione del mix di fonti primarie è cambiata, con una diminuzione marcata della produzione termoelettrica e la crescita del peso della produzione idroelettrica fra le fonti rinnovabili – evidenzia il report Srm -. Guardando ai primi cinque mesi dell’anno in corso, i consumi di gas hanno registrato una contrazione pari all’11% circa rispetto all’analogo periodo del 2019, con una riduzione in termini assoluti di circa 4,1 mld di metri cubi. Questa variazione è in parte giustificata dall’andamento climatico del periodo, più mite rispetto al 2019, che ha contribuito a contenere i consumi di riscaldamento; ma principalmente determinata dalla riduzione della domanda di gas dei settori termoelettrico e industriale, ed è concentrata nel trimestre marzo-maggio”.

“Nel mese di marzo le fonti rinnovabili hanno rappresentato il 41,9% della produzione italiana registrando così un aumento (+3,5%) rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Ad aprile 2020, la richiesta di energia elettrica è stata soddisfatta per il 48,5% da FER, dato in aumento (+7,5%) rispetto allo stesso mese del 2019, grazie ad un notevole aumento di produzione fotovoltaica. Nel mese di maggio la quota di domanda coperta da fonti rinnovabili ha superato il 50%; quella coperta solo da fonti non convenzionali (fotovoltaico ed eolico) il 20%. La copertura massima della domanda oraria da fonti rinnovabili ha raggiunto valori dell’ordine del 90% mentre la quota oraria massima di fonti intermittenti ha superato il 70%”, si legge ancora.

FONTI RINNOVABILI: IL RUOLO DEL MEZZOGIORNO

Dal punto di vista analitico “la produzione nazionale lorda di energia elettrica nel 2019 è stata pari a 293,8 TWh ed è stata coperta per il 67% dalla produzione termoelettrica non rinnovabile (+1,6% rispetto al 2018), per il 16% dalla fonte idrica (-4,7% rispetto al 2018), per il 7% dalla fonte eolica (+14% rispetto al 2018), per l’8% dalla fonte fotovoltaica (+4,6% rispetto al 2018), per il 2% dalla fonte geotermica (-0,5% rispetto al 2018). La quota delle rinnovabili (idroelettrico, fotovoltaico ed eolico) sulla produzione lorda di elettricità è dunque stata pari al 31%”, sottolinea il centro studi Srm controllato da Intesa Sanpaolo.

Dai dati territorializzati sulla produzione dell’energia elettrica più recenti, risulta che i 293,8 miliardi di kWh prodotti provenivano per il 64% da impianti localizzati al Centro-Nord e per il 36% da impianti localizzati nel Mezzogiorno. Mentre se si guarda alla distribuzione territoriale delle fonti green “le informazioni risultano condizionate dalla presenza degli impianti idroelettrici nelle regioni del Nord (dove si colloca l’82% circa dei GWh prodotti). Anche per la produzione elettrica da bioenergie si distinguono le regioni dell’Italia settentrionale (65% dei GWh prodotti a livello nazionale). Il quadro del contributo relativo delle macroaree del Paese alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili si ribalta, invece, guardando ad eolico e solare: il Mezzogiorno concentra rispettivamente il 97% ed il 41% della produzione”.

IL RUOLO DEL MEZZOGIORNO COME HUB ENERGETICO NEL MEDITERRANEO

“Tra le aree strategiche, il Mediterraneo rappresenta la nuova sfida per l’Europa e l’Italia con il Mezzogiorno al centro. Gli investimenti in energia ed in infrastrutture di connessione costituiscono le leve su cui puntare per cogliere nuove opportunità di crescita e sviluppo – evidenzia il report -. Oggi il dialogo energetico all’interno dell’Area Med, tra il Nord Africa e l’Europa, si basa ancora sui combustibili fossili. Ma la crescita della domanda interna di energia dei paesi nordafricani unita alla necessità globale di una transizione verso la decarbonizzazione potrebbe favorire lo sfruttamento delle risorse rinnovabili, riducendo la rilevanza dei combustibili fossili. Nuovi scenari futuri potrebbero basarsi proprio sul rilevante potenziale rinnovabile del Nord Africa e sulla possibilità di realizzare uno sviluppo sinergico tra quest’area e l’Europa. Ipotizzando un tasso di elettrificazione da rinnovabili pari al 50% nei paesi nordafricani, sarebbe possibile coprire l’intero fabbisogno di tali paesi, con un surplus annuale di 423 Twh disponibile per l’esportazione verso l’Europa”.

“Attualmente, nell’area del Mediterraneo sono in funzione solo 10 interconnettori, con una capacità di circa 5 GW. Nei prossimi anni, ci si aspetta la realizzazione di 20 nuove interconnessioni (3 sono in costruzione, 9 in fase di concessione, 1 pianificata e 7 in fase di discussione), con una capacità addizionale di 20,8 GW e un investimento stimato di circa 21 miliardi di euro”, sottolinea Srm.

“Un’elevata penetrazione di FER porta a evidenziare il ruolo chiave svolto dai sistemi di stoccaggio, la cui capacità dovrà aumentare. Tra le diverse tecnologie con cui implementare lo stoccaggio, il Power-to-Gas può svolgere un ruolo importante nella gestione dell’eccesso di energia elettrica da fonti rinnovabili, utilizzando questo eccesso di energia elettrica per produrre idrogeno e gas naturale di sintesi”. In questo quadro il nostro Paese, e il Mezzogiorno in particolare, “possono collocarsi in un tale panorama come porta d’ingresso di questi nuovi flussi verso il continente europeo (…) Sfruttando la sua posizione geografica, la sua vasta rete infrastrutturale e un solido know how scientifico e progettuale, l’Italia, ed il nostro Mezzogiorno in particolare, può assumere il ruolo di ‘ponte infrastrutturale’ tra l’Europa e il continente africano, abilitando quindi una maggiore penetrazione dell’idrogeno anche negli altri Paesi europei”.

“La rete del gas italiana, una delle più estese e capillari d’Europa, può costituire la base per accogliere sempre maggiori percentuali di idrogeno in rete, attraverso una serie di investimenti mirati. Una delle key opportunities per lo sviluppo dell’idrogeno nel prossimo decennio è, infatti, proprio utilizzare per il trasporto i gasdotti esistenti, bypassando la necessità di nuovi importanti progetti di costruzione. (…) Lo sviluppo dell’idrogeno in Italia potrebbe attivare un valore della produzione complessivo compreso tra 14 e 24 miliardi € al 2030 e tra 64 e 111 miliardi € al 2050 (tra effetti diretti, indiretti e indotti). A ciò si aggiunge un potenziale rilevante anche in termini di contributo al PIL, con una stima compreso tra 5 e 7,5 miliardi € al 2030 e tra 22 e 37 miliardi € al 2050. Il contributo all’occupazione nazionale potrebbe concretizzarsi nell’attivazione di valore compreso tra 70.000 e 115.000 posti di lavoro al 2030, un numero che è compreso tra 320.000 e 540.000 posti di lavoro generati al 2050. Un’opportunità ambientale che potrebbe portare l’Italia a ridurre le proprie emissioni di CO2 di oltre 97 milioni di tonnellate, una quantità pari al 28% delle emissioni totali di oggi”, ha concluso Srm di Intesa Sanpaolo.

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