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Eliminare Co2

Un respiro nello Spazio profondo

Tutte le tecnologie per eliminare CO2 e produrre ossigeno quando abiteremo molto distanti da casa. L'articolo di Luca Longo 

 

Ci restano pochi anni per cambiare il nostro modo di vivere, per imparare a produrre energia in modo sostenibile, contenere l’aumento di anidride carbonica e arrestare il cambiamento climatico. Se non ce la faremo, potremo e “semplicemente” cambiare pianeta.

Per poterci trasferire nei dintorni della Terra, dovremo tuttavia risolvere qualche piccolo problema: la Luna è priva di atmosfera; Mercurio pure, con temperature che arrivano a 450 °C. Anche Venere è un inferno con temperature di 380 °C, ha un’atmosfera composta al 97% da CO2 e una pressione 98 volte maggiore. Gli altri pianeti sono tutti veramente piuttosto fuori mano, tranne Marte. Su Marte però il 95% dell’atmosfera è costituito da CO2, le temperature medie sono circa sui -63 °C e la pressione è un decimo di quella terrestre. Con una tuta stagna e imbacuccati come Inuit siberiani potremmo anche farcela per qualche ora ma resta da risolvere il problema di come viverci più a lungo.

Se tenteremo di colonizzare Marte — o improbabilmente, almeno per i prossimi secoli, altri pianeti più lontani — non potremo sfruttare molte delle tecnologie che ci hanno permesso di viaggiare e lavorare nello spazio attorno alla Terra a bordo delle navicelle e delle stazioni spaziali.

In particolare, per produrre ossigeno ed eliminare anidride carbonica, non potremo usare le soluzioni che abbiamo già presentato qui. Tutte queste tecnologie, infatti, prevedono il consumo di reagenti e la loro trasformazione in scarti. Occorre una catena di rifornimento collegata con la Terra. Un viaggio fino a Marte, invece, richiede da un minimo di 150 giorni a 300 giorni (cinque-dieci mesi) e possiamo compierlo solo ogni due anni, quando le orbite di entrambi i pianeti li portano ad avvicinarsi. Il rover Curiosity ha impiegato per il viaggio circa 8 mesi — tra il 2011 e il 2012 — mentre Opportunity è stato più veloce e ha coperto il tragitto in poco più di 7 mesi – tra il 2003 e il 2004 – l’ultimo rover della Nasa — Perseverance — è ammartato dopo aver viaggiato per 203 giorni nel febbraio del 2021.

Per questo, le future colonie spaziali dovranno cavarsela da sole per anni interi. Saranno costrette ad organizzarsi secondo le regole di una rigorosa economia circolare in cui tutti i materiali di scarto prodotti vengono recuperati e riciclati sul posto in nuovi materiali utilizzabili grazie all’energia del Sole, di altre stelle o della fusione artificiale.

Per catturare la CO2 e eliminarla dall’habitat della colonia, non si potranno utilizzare i semplici scrubber (purificatori che rimuovono l’anidride carbonica) in uso sulla Stazione Spaziale Internazionale, perché un meccanismo ciclico di assorbimento dell’anidride carbonica interna seguita dal desorbimento nel vuoto spaziale non può funzionare nell’atmosfera marziana che è già satura di CO2. Si potranno tentare sistemi sperimentali come MOXIE, che converte l’anidride carbonica in prezioso ossigeno e monossido di carbonio, oppure un ciclo Sabatier che – grazie a un elettrolizzatore – consuma il vapore acqueo emesso con la respirazione trasformandolo in ossigeno e idrogeno. Quest’ultimo poi, reagisce con l’anidride carbonica per dare due molecole preziose: acqua e metano. Per eliminare la CO2, si stanno studiando altre tecnologie, come la reazione di Bosch, che porta ad acqua e carbonio solido, oppure la reazione inversa di scambio acqua-gas che produce acqua e monossido di carbonio o, infine, l’ elettrolisi ad alta temperatura, che la trasforma in ossigeno e monossido di carbonio. Un recentissimo studio propone l’uso di plasmi a bassa temperatura per trasformare la CO2 in altri prodotti.

In tutti questi casi, è necessaria una fonte di energia per far andare le reazioni chimiche “a rovescio” — cioè portare la CO2 — che è la forma di carbonio più ossidata, stabile e quindi priva di energia — ad altre forme dove è meno ossidata e più reattiva, ovvero contiene energia che può essere liberata e utilizzata.

Dovremo affrontare alcuni grossi problemi: prima di tutto, serviranno tanti pannelli solari, perché Marte è più lontano dal Sole rispetto alla Terra e l’energia luminosa che riesce ad arrivarvi non supera i 590 Watt per metro quadro invece dei 1000 W/m2 che arrivano sul nostro pianeta. Questi pannelli dovranno resistere alle frequenti tempeste di polvere, con raffiche di 100 km/h che si sollevano fino a 1000 km dalla superficie accompagnate da potenti scariche elettrostatiche provocate dall’assenza di umidità. In queste condizioni, qualsiasi apparato esposto alle condizioni esterne si usurerà molto rapidamente e i coloni dovranno ripararlo subito e col materiale disponibile per non rischiare di compromettere l’intero habitat.

Per questo, la ricerca si sta orientando verso una soluzione completamente diversa: per eliminare la CO2 e convertirla in ossigeno, perché non adottare la tecnologia più antica del mondo? Sono in corso diversi esperimenti per utilizzare sistemi di riciclo dell’aria basati sulla fotosintesi clorofilliana.

In Arizona il progetto Biosphere-2 ha visto 8 terranauti – trasformati in coloni/agricoltori — vivere per due anni in una enorme serra: un ecosistema artificiale sigillato di 180.000 m3.  Ma su Marte ci sarà luce a sufficienza? La Mars Society ha trovato la risposta: nella Stazione Artica Marziana realizzata sull’isola di Devon — fra il Canada e la Groenlandia a 75° di latitudine Nord e con insolazione e temperatura paragonabili a quelle medie marziane — un equipaggio di sei coloni ha verificato che si possono coltivare pomodori (ovviamente in serra!).

In Siberia, il progetto BIOS-3 ha scelto le alghe al posto delle piante terrestri ed ha dimostrato che sono sufficienti solo 315 m3 di bioreattori pieni di alghe Chlorella per bilanciare il rapporto O2/CO2 di un singolo colono cosmico. Impiegando luci led ottimizzate per la fotosintesi, sarebbero sufficienti solo 1,8 kW di potenza elettrica a testa: più o meno come il forno di casa.

Mentre progettiamo le astronavi che ci porteranno chissà dove, prosegue la ricerca sui bio-habitat che ospiteranno i futuri… coltivatori diretti spaziali.

(Una sintesi dell’articolo è stata pubblicata su eni.com)

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