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Carbone

Tutti gli schiaffi della Cina all’Europa su carbone ed emissioni

La Cina dice di proseguire nella transizione energetica, ma si dota di enormi quantità di nuova capacità a carbone. L'analisi di Sergio Giraldo.

La Cina prosegue nella sua transizione energetica e nel 2022 rilascia permessi per la costruzione di 106.000 megawatt di potenza di generazione elettrica a carbone, quattro volte di più rispetto al 2021 e il massimo dal 2015. Coerentemente, rispetto al disegno di arrivare ad emissioni zero nel 2060, Pechino amplierà di molto nei prossimi anni la propria capacità elettrica a carbone e nucleare. Il monte di potenza elettrica a carbone che inizierà a funzionare entro quest’anno lavorerà per trenta o trentacinque anni ed emetterà annualmente un quantitativo di CO2 pari ad 1,2 volte quello che l’Europa taglierebbe sostituendo tutti i 270 milioni di veicoli oggi in circolazione con auto elettriche.

Come evidenziato più volte su questo giornale, le disastrose politiche energetiche di Bruxelles puntano infatti a ridurre le poche emissioni di cui il continente è responsabile (il 7% del totale) imponendo obblighi, divieti e costi spropositati alla popolazione. Nel mentre, la Cina (che da sola è responsabile di più del 25% delle emissioni globali) prosegue per la sua strada, ignorando la COP26 come tutte le precedenti.

L’IMPORTANZA DEL CARBONE PER LA CINA

Del resto, la sicurezza dell’approvvigionamento per Pechino è una priorità, soprattutto dopo che nel 2021 il sistema elettrico cinese è risultato in affanno per l’aumento dei consumi e dopo che nel 2022 la siccità ha ridotto di molto l’apporto dell’idroelettrico, obbligando a razionamenti in intere province. Già 50.000 MW sono in costruzione, gli altri seguiranno entro il 2023, secondo il Global Energy Monitor, un’organizzazione che analizza i progetti energetici mondiali.

Il carbone è materia prima di cui la Cina dispone in abbondanza, per cui la sicurezza energetica derivante dalla filiera del carbone rappresenta per Pechino un punto di forza. È pur vero che lo scorso anno la Cina ha aggiunto 125.000 MW di nuova capacità rinnovabile, di cui due terzi fotovoltaica, con altri 160.000 MW tra eolico e solare previsti per il 2023. Ma a Pechino sanno bene che le rinnovabili non possono fornire produzione continua di base e, soprattutto, che ogni watt di potenza rinnovabile deve avere una corrispettiva riserva. Mentre la possibilità che siano enormi batterie a fornire tale riserva è ancora riservata a pochi progetti nel mondo, e mentre il nucleare è in fase di sviluppo, i cinesi non vogliono correre rischi e si impegnano per coprire il fabbisogno nell’immediato con gli strumenti più semplici a disposizione.

IL PIANO DELLA CINA SULLE EMISSIONI

Nel 2021, alle Nazioni Unite, la Cina ha annunciato in passato che le sue emissioni cresceranno almeno fino al 2030, per poi calare gradualmente con lo sviluppo delle rinnovabili e del nucleare, fino ad azzerarsi al 2060. È impossibile però sapere di quanto le emissioni cresceranno e quale sarà lo sviluppo effettivo del piano di sostituzione della capacità termoelettrica, contando che è previsto un drammatico aumento dei consumi elettrici.

È possibile che lo sviluppo così massiccio del carbone crei, in un futuro non troppo lontano, indotti locali radicati, con interessi convergenti dei governi provinciali e dei produttori, che un domani potrebbe essere difficile, per il governo di Pechino, smantellare. Dunque, potrebbe prolungarsi il periodo in cui il carbone sarà ancora in gioco. Anche la transizione cinese potrebbe insomma non essere così lineare come il Partito vorrebbe.

TRANSIZIONE ENERGETICA CON CARATTERISTICHE CINESI

Il fatto che anche la Cina si stia impegnando nella transizione ecologica significa due cose. La prima è che Pechino la farà a modo suo, con i propri tempi, con i propri metodi e senza trasparenza. La seconda è che l’Europa pagherà caro e salato tutto ciò che riguarda la transizione, sia perché è proprio la Cina ad avere in mano i tre quarti dell’offerta dei materiali necessari, sia perché la domanda cinese stessa farà concorrenza a quella occidentale. L’impero del pragmatismo, insomma, sviluppa la sua transizione, contrapposta al libro dei sogni che Commissione e pittoreschi parlamentari europei scrivono a Bruxelles. Sogni più proibitivi che proibiti.

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