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Che cosa (non) si dice dell’accordo Italia-Algeria sul gas

L'analisi di Giuseppe Liturri

 

C’è un gigantesco non detto relativamente al viaggio dell’11 aprile che ha portato il premier Mario Draghi in Algeria alla ricerca di volumi aggiuntivi di gas.

La stampa italiana si è concentrata sui miliardi di metri cubi (con gradualità, saranno 9 e poi 11, a regime tra 2023 e 2024) che l’azienda di stato algerina Sonatrach fornirà agli acquirenti italiani, Eni in testa. L’Algeria è già il secondo fornitore italiano e fornisce 21 miliardi di metri cubi all’anno, circa il 27% del consumo annuo.

Poco o nulla è trapelato su quanto hanno invece evidenziato, con grande clamore ed un pizzico di invidia, i quotidiani spagnoli (ABC ed El Pais, tra gli altri) nel commentare la visita di Draghi, di cui ABC ha scritto che “ha vinto la lotteria senza nemmeno comprare il biglietto”.

È bastato un avverbio comparativo di troppo (quella marocchina è la “base più seria, realistica e credibile”) da parte del premier spagnolo Pedro Sanchez, a proposito della proposta del governo marocchino per la sistemazione dello storico problema del Sahara occidentale e ad Algeri sono immediatamente saltati i nervi, arrivando addirittura al richiamo in patria dell’ambasciatore algerino a Madrid.

All’improvviso si sono spalancate le porte per l’Italia dopo settimane di anticamera e, secondo quanto riportato da ABC, il leader algerino Abdelmayid Teboun ha lasciato passare solo due giorni tra la rivelazione (avvenuta il 18 marzo) della lettera con cui Sanchez si piegava al piano marocchino ed il suo assenso all’incontro con Draghi, fissato poi per l’11 aprile.

Il governo algerino, con uno schiocco di dita, ci ha sostituito alla Spagna come partner privilegiato per la vendita del gas di cui dispongono in grande quantità. Un ruolo di primaria importanza è stato recitato anche dall’Eni che ha da tempo un rapporto di proficua collaborazione con gli algerini e, per mezzo del suo amministratore delegato Claudio Descalzi, si è subito dichiarata disposta ad eseguire quegli investimenti per la ricerca e lo sfruttamento dei giacimenti di cui Algeri ha enorme bisogno.

La vicenda del Sahara occidentale affonda le sue radici nel 1976, quando la Spagna decise di abbandonare la sua colonia, lasciando che il Marocco se ne impadronisse, senza consentire l’autodeterminazione del popolo saharawi, come richiesto dall’Onu. Da allora, il Fronte Polisario, sotto l’ala protettiva di Algeri che ospitò da subito i campi profughi dei saharawi in fuga dalla guerra, ha combattuto a lungo per l’indipendenza contro i militari marocchini, in un alternarsi di cessate il fuoco e ripresa delle ostilità.

Ora la lettera scambiata tra Sanchez ed il re marocchino Mohamed VI –  con cui sostanzialmente si accetta il piano marocchino per una relativa autonomia del territorio conteso e si ignorano le richieste di indipendenza dei saharawi – è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso nei rapporti con l’Algeria, dopo che nel 2021 da Rabat non avevano esitato nello scatenare una crisi migratoria nello stretto di Gibilterra, per rispondere alle cure fornite in un ospedale di Madrid al leader del Fronte Polisario. Per un ambasciatore (quello marocchino) che è tornato a Madrid, ce n’è un altro (quello algerino) che è tornato a casa.

La ruggine nel triangolo Rabat, Madrid, Algeri covava da tempo sotto la cenere. Da Algeri, pur di fare un dispetto ai marocchini, non hanno esitato ad ottobre a chiudere uno dei due gasdotti (Medgaz) che trasportava gas algerino in Spagna attraversando il Marocco e, di conseguenza, nei primi mesi dell’anno i volumi di gas sull’asse Spagna-Algeria si sono ridotti del 24% e sono aumentati di molto quelli importati dagli Stati Uniti a mezzo nave che però notoriamente ha un prezzo più elevato rispetto a quello trasportato con i gasdotti. Come ulteriore beffa, la Naturgy (acquirente spagnolo di gas) si è visto richiedere un aumento dal fornitore algerino. Un vero disastro diplomatico.

Non si conoscono i dettagli del costo che Eni ha spuntato, ma le notizie trapelate parlano di un costo inferiore del 20% a quello quotato alla borsa di Amsterdam, ma certamente superiore a quello che finora l’Eni pagava alla russa Gazprom, sfruttando contratti di lungo termine. Un altro segnale che, anche qualora il governo Draghi riuscisse a sostituire integralmente la fornitura di gas russo, ciò avverrebbe ad un costo significativamente superiore.

Le tensioni geopolitiche tra Marocco ed Algeria – che nel caso specifico abbiamo sfruttato a nostro favore, cogliendo al volo l’improvvida mossa spagnola – non possono però passare in secondo piano. Stiamo sostituendo il fornitore russo che non ha esitato a scatenare una guerra dietro la porta di casa, con un altro fornitore che non offre tutte le garanzie sotto il profilo dell’affidabilità.

E se domani l’Algeria, indispettita per la sostanziale annessione del Sahara occidentale da parte del Marocco e la sconfitta delle istanze del Fronte Polisario, attaccasse l’ingombrante vicino? Dovremmo ancora una volta ridisegnare tutti gli accordi di fornitura?

In tutta questa vicenda, esiste una impressionante sfasatura cronologica tra le decisioni di sanzionare la Russia ed isolarne l’economia, trovando al contempo fornitori alternativi di energia, ed i tempi molto lunghi in cui tali decisioni diventano efficaci.

Ribaltare gli assetti strategici di fornitura di importanti input dell’economia europea richiede infrastrutture ed investimenti. Farlo senza gradualità, sull’onda dell’emozione e dello sdegno derivante dall’uso delle armi perdipiù ai danni dei civili, è una scelta che potrebbe rivelarsi poco lungimirante ed addirittura controproducente.

Quando quelle decisioni andranno a regime, non sappiamo se la Russia sarà ancora sul banco dei cattivi e l’Algeria sul banco dei buoni.

 

 

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