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Acciaio

Chi protesta (e perché) contro le regole Ue su acciaio e non solo

L'associazione dei produttori europei di acciaio teme ripercussioni importanti sul settore se non saranno annullate le ultime regole sulle emissioni. L'approfondimento di Sergio Giraldo

 

Mentre l’Unione europea si dibatte nel pantano delle sanzioni alla Russia su petrolio e gas, si apre per Bruxelles un pericoloso fronte interno sull’acciaio.

In una lettera aperta indirizzata al Parlamento europeo e agli stati membri, la European Steel Association – Eurofer (l’associazione che raggruppa i produttori di acciaio dell’Unione europea) ha infatti prospettato danni irreparabili al settore europeo dell’acciaio nel caso in cui le ultime deliberazioni della commissione ambiente del Parlamento Ue non vengano annullate dall’assemblea plenaria del 6-9 giugno prossimi.

La decisione della commissione parlamentare ambiente di Bruxelles del 17 maggio riguarda due punti fondamentali del sistema ETS, cioè lo scambio di quote di emissione di CO2. Il primo punto è la graduale eliminazione delle assegnazioni gratuite di quote a partire dal 2026 per arrivare al 2030 con la completa eliminazione della gratuità, anticipando di cinque anni il termine già fissato in precedenza dalla Commissione.

Il secondo punto è l’inizio del meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Carbon Border Adjustment Mechanism, CBAM) già dal 1° gennaio 2023, con un periodo transitorio fino alla fine del 2024, estendendolo anche alle emissioni indirette, ovvero le emissioni derivanti dall’elettricità utilizzata dai produttori.

Il meccanismo CBAM congegnato dalla Ue dovrebbe servire a prevenire il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, ovvero lo spostamento della produzione fuori dall’Ue in paesi con politiche climatiche più permissive, applicando ai beni importati un dazio parametrato alle emissioni.

Nella lettera (firmata tra gli altri anche dagli italiani Mario Caldonazzo di Arvedi, Giuseppe Pasini del Gruppo Feralpi, Alessandro Banzato di Acciaierie Venete, Michele Della Briotta di Tenaris, Claudio Riva, Antonio Marcegaglia e Giuseppe Lucchini) Eurofer, con toni allarmati, invita la plenaria del Parlamento europeo ad annullare il voto della commissione ambiente. Secondo l’associazione, la nuova normativa metterebbe in pericolo oltre 30 miliardi di euro di investimenti già decisi per 60 progetti a basse emissioni di carbonio che l’industria siderurgica europea ha previsto, oltre a 45 miliardi di euro in valore delle esportazioni e 30.000 posti di lavoro. Questo perché il sistema ETS europeo risulterebbe particolarmente costoso per le aziende europee, mentre i concorrenti extra-europei sarebbero avvantaggiati non dovendo sostenere costi paragonabili. Inoltre, le nuove regole di allocazione gratuita sarebbero più restrittive e fisserebbero un obiettivo di fatto irraggiungibile entro i tre anni previsti. Ciò provocherebbe un aumento del costo dei permessi di emissione, con conseguente aumento dei prezzi dell’energia elettrica.

L’Unione europea pare dunque contraddire sé stessa un’altra volta: dopo avere incentivato il settore dell’acciaio a rinnovarsi e a spostarsi verso metodi di produzione più leggeri per l’ambiente con determinate scadenze temporali, oggi impone un’accelerazione assai discutibile nei modi e nei contenuti che di fatto vanifica i piani e i progetti di chi aveva già iniziato ad adeguare la propria struttura produttiva.

Per quanto riguarda il nostro paese, la schizofrenia dell’Unione europea si somma alla già incerta linea del governo sull’acciaio nazionale. L’assenza di una politica industriale chiara sull’acciaio è il punto debole di un settore che, oltre ad essere strategico, in Italia ha anche un grande potenziale. Oggi, l’80% della produzione complessiva italiana, pari a 24 milioni di tonnellate all’anno, è con forno elettrico, dunque con un livello alto di decarbonizzazione. In più, ci sono progetti per sostituire il gas naturale con biometano, che abbatterebbe ulteriormente le emissioni, e più a lungo termine l’uso dell’idrogeno ricavato da elettrolizzatori a fonte rinnovabile.

Resta spinosa la questione Acciaierie d’Italia. Mentre il piano ambientale è stato completato al 90%, come confermato da Ispra, manca ancora l’investimento da 4 miliardi promesso a suo tempo dallo Stato e l’aumento di capitale da 600 milioni non si farà. Anche la governance dell’azienda è in panne. È di pochi giorni fa la notizia delle dimissioni dal consiglio di amministrazione di Acciaierie d’Italia holding del consigliere nominato da Invitalia, il professor Carlo Mapelli, uno dei massimi esperti di siderurgia del paese. In meno di un anno è cambiato il 50% del consiglio di amministrazione, ancora presieduto da Franco Bernabé.

(Estratto di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)

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