Il gruppo siderurgico azero Baku Steel non sarebbe più interessato ad acquisire Acciaierie d’Italia, la società in amministrazione straordinaria che gestisce l’ex Ilva di Taranto. Stando alla ricostruzione de L’Espresso, il pretesto per il ritiro dell’offerta è stato fornito dall’incendio all’altoforno 1 dell’ex Ilva, avvenuto il 6 maggio scorso: non ci sono stati feriti. L’impianto è stato sequestrato dalla procura di Taranto.
IL DANNO ALL’ALTOFORNO DELL’EX ILVA COMMENTATO DA URSO
A questo proposito, il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha parlato di un “danno notevole che avrà inevitabilmente immediate ripercussioni sull’occupazione”, con il rischio “concreto” del ricorso alla cassa integrazione per migliaia di lavoratori. “Se non vi è la funzionalità”, ha aggiunto, il negoziato per la vendita di Acciaierie d’Italia “si interrompe e nessuno ovviamente mai scommetterà sulla riconversione industriale e tecnologica di quello che era l’impianto siderurgico più grande d’Europa”.
PERCHÉ BAKU STEEL SI RITIRA DA ACCIAIERIE D’ITALIA
Tuttavia, secondo L’Espresso, non sarebbe l’incendio dell’altoforno la causa principale del ripensamento di Baku Steel su Acciaierie d’Italia, o quantomeno del rallentamento dell’operazione di acquisizione. Pare che il gruppo abbia compreso le difficoltà di installazione di un rigassificatore galleggiante al largo di Taranto, uno dei punti principali – nonché più controversi – della sua proposta per l’ex Ilva. Il rigassificatore dovrebbe servire a rifornire di combustibile l’acciaieria, per aggirare il problema degli alti prezzi dell’energia nel nostro paese.
Al di là dell’opposizione locale, L’Espresso ha scritto che “qualcuno a Roma” sarebbe contrario alla possibilità che l’Azerbaigian, attraverso il terminale tarantino, accresca la sua influenza sul settore energetico nazionale: il paese è già uno dei nostri principali fornitori di gas naturale (che attraversa il Trans-Adriatic Pipeline, o Tap) e anche di petrolio greggio, oltre a essere in buoni rapporti politici ed economici con la Russia.
Il governo di Giorgia Meloni, peraltro, sta valutando di aumentare le importazioni di gas liquefatto dagli Stati Uniti per riequilibrare la bilancia degli scambi: attualmente l’Italia ha un surplus commerciale di circa 40 miliardi di euro con l’America.
Ricapitolando, considerate sia le difficoltà sul rigassificatore che l’incendio all’altoforno, Baku Steel si sarebbe ritirata dall’accordo di acquisizione e starebbe facendo leva sul sequestro dell’impianto per far saltare l’intesa.
E JINDAL?
Sembrerebbe essere uscita di scena anche l’azienda siderurgica indiana Jindal Steel, che pure aveva presentato un’offerta per Acciaierie d’Italia e che, nei piani del governo Meloni, avrebbe potuto avere una quota del 10 per cento, sempre con Baku Steel a detenere il controllo.
Jindal Steel, però, si è diretta su un’altra acciaieria europea – quella di Vitkovice Steel a Kosice, in Slovacchia: l’ha acquisita interamente – e quindi nn sarebbe più interessata al sito italiano.
ACCIAIERIE D’ITALIA ANDRÀ IN MANO ALLA CINA?
Secondo L’Espresso, il governo e i commissari di Acciaierie d’Italia “starebbero cercando di contattare il colosso cinese Baosteel che, tuttavia, potrebbe subentrare ma senza la copertura finanziaria degli azeri”: dunque una proposta meno ricca di quelle presentate da Baku Steel (circa 1,1 miliardi di euro) e da Jindal Steel (circa 600 milioni). Acciaierie d’Italia aveva ricevuto un’offerta anche dal fondo d’investimento statunitense Bedrock Industries da 500 milioni (solo per la valorizzazione del magazzino: la parte cash pari a zero).
Consegnare a Baosteel, dunque alla Cina, un asset critico come gli impianti di Acciaierie d’Italia potrebbe però essere problematico, anche alla luce del caso British Steel-Jingye nel Regno Unito, che ha spinto il governo britannico a intervenire per evitare la chiusura: British Steel gestisce gli ultimi due altoforni ancora attivi nel Regno Unito.