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Ddl Concorrenza

Vodafone, ecco il tapiro del Consiglio di Stato sulle bollette

Cosa sta succedendo sulla questione delle bollette a 28 giorni. La sentenza del Consiglio di Stato sul ricorso di Vodafone anti indennizzi, la sanzione dell'Antitrust e il diverso parere di Agcom e Agcm su Fastweb, Tim, Vodafone e Wind Tre

 

Ancora novità sulla questione delle bollette a 28 giorni. Dopo la decisione dell’Antitrust di irrogare una sanzione per un totale di 228 milioni di euro agli operatori Fastweb, Tim, Vodafone e Wind Tre, ora il Consiglio di Stato conferma l’obbligo di indennizzare gli utenti rigettando così il ricorso di Vodafone Italia contro la decisione – a favore dell’indennizzo – del Tar del Lazio che aveva pure annullato la sanzione decida dall’Agcom e pari a 1,1 milioni di euro.

LA VICENDA DELLE BOLLETTE DI TIM, VODAFONE E NON SOLO

La questione, iniziata nel 2015, riguarda il fatto che le quattro compagnie telefoniche hanno comunicato ai propri clienti – sia delle linee mobili sia di quelle fisse – l’emissione di bollette ogni 28 giorni e non ogni 30 giorni, in pratica con una mensilità in più l’anno e un aggravio dei costi per i consumatori di circa l’8,6%. Gli operatori telefonici in seguito sono stati costretti per legge a ritornare alla fatturazione precedente (con 12 mensilità annue) ma hanno mantenuto i rincari.

COS’HA STABILITO IL CONSIGLIO DI STATO

Il Consiglio di Stato ha confermato l’obbligo di indennizzare gli utenti e ha rigettato il ricorso di Vodafone Italia contro la decisione del Tar del Lazio. Il Tribunale amministrativo aveva annullato la sanzione complessiva da 1,1 milioni di euro decisa dall’Agcom a dicembre 2017 a carico di tutti gli operatori coinvolti, ritenendo si dovesse applicare invece un diverso sistema sanzionatorio, e aveva però ribadito che c’era obbligo di ristoro a favore degli utenti così come deciso dall’Autorithy allora guidata da Angelo Marcello Cardani. Nello stesso tempo il Consiglio di Stato ha respinto anche il ricorso dell’Agcom contro la decisione del Tar di dimezzare la sanzione da 1,1 milioni di euro.

Nella sentenza 00879/2020, in relazione alla fatturazione a 28 giorni, Palazzo Spada scrive: “Quel che qui rileva è che essa s’appalesa sleale, non solo perché indusse l’utente, grazie all’apparente piccolo scarto tra 28 giorni e mese intero, a sottovalutare tal sottile discrepanza e non cogliere fin da subito il predetto aumento. Invero la clausola sulla nuova cadenza di fatturazione sembra impedire o, comunque, rende più difficile all’utente rappresentare a se stesso e con la dovuta immediatezza come, attraverso la contrazione della periodicità di tariffazione, il gestore telefonico percepisce, nel corso di un anno, il corrispettivo per 13, anziché per 12 volte. Né basta: la scelta a 28 giorni limitò drasticamente la possibilità di reperire offerte basate su termini temporali mensili e rese difficoltoso, se non inutile, l’esercizio del diritto di recesso, non essendo più reperibili sul mercato alternative diverse da quella così adottata”.

Sempre nella sentenza pubblicata due giorni fa, il Consiglio di Stato nota che “l’indennizzo ha una funzione di corrispettività o di carattere sostitutivo del bene che è stato trasferito. Nel caso di specie, l’erogazione gratuita della prestazione (di natura lato sensu indennitaria) sostituisce la somma di danaro che è stata prelevata dalla generalità degli utenti con il sistema di fatturazione in esame. Da queste coordinate generali deriva l’individuazione dell’esatta natura del potere esercitato, che è un potere conformativo di natura lato sensu indennitaria e non certo un potere sanzionatorio”.

Dunque, secondo l’organo di rilievo costituzionale, l’Agcom “non ha esercitato un potere sanzionatorio vero e proprio, ma ha attivato il rimedio generale posto dalla legge (dunque, tutt’altro che privo di base normativa) sull’ordinamento delle Autorità di regolazione”. Facendo così l’Authority ha innescato “lo strumento della tutela indennitaria automatica di massa a favore di tutti a fronte di violazioni generalizzate che pregiudicarono una moltitudine di utenti mediante un’unica e identica condotta da parte dei più rilevanti operatori di telefonia”.

LA RECENTE SANZIONE DELL’ANTITRUST

Solo pochi giorni fa, l’Antitrust ha irrogato una sanzione per 228 milioni di euro a Fastweb, Tim, Vodafone e Wind Tre proprio per la stessa questione “accertando – si legge in una nota diffusa da Piazza Verdi – un’intesa anticoncorrenziale relativa al repricing effettuato nel ritorno alla fatturazione mensile”. In particolare, grazie alle indagini svolte, l’Agcm ha accertato “che i quattro operatori telefonici hanno coordinato le proprie strategie commerciali relative al passaggio dalla fatturazione quadrisettimanale (28 giorni) a quella mensile, con il mantenimento dell’aumento percentuale dell’8,6%”. Un coordinamento, secondo l’Authority presieduta da Roberto Rustichelli che “era sotteso a mantenere il prezzo incrementato, vanificando il confronto commerciale e la mobilità dei clienti”.

L’Antitrust aveva già adottato, a marzo 2018, alcune misure cautelari le quali, “grazie alle specifiche modalità e tempistiche, avevano effettivamente impedito l’attuazione dell’intesa. Infatti, a seguito dell’adozione di tali misure, gli operatori avevano dovuto riformulare le proprie strategie commerciali e ciò aveva determinato una diminuzione dei prezzi rispetto alla rimodulazione annunciata”.

Peraltro, ha assicurato l’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, nell’imporre le sanzioni si è bilanciata la necessità che abbiano efficacia deterrente rispetto a possibili future condotte concertate tra questi operatori e l’esigenza che non siano “ingiustificatamente afflittive”. Per questo si è tenuto conto del fatto che “gli effetti dell’intesa sono stati evitati applicando per la prima volta delle misure cautelari” e della “specificità delle condotte accertate nel contesto dei mercati delle telecomunicazioni fisse e mobili” e pure delle “condizioni di concorrenza del settore, sia in termini di prezzi che di investimenti tecnologici necessari per garantirne lo sviluppo”.

LA QUESTIONE “CARTELLO” CHE DIVIDE AGCOM E AGCM

Se il risultato è uguale – sanzionare le società telefoniche coinvolte – c’è però un elemento che divide Agcom e Agcm, ovvero l’idea dell’esistenza del cartello. Come scrive Carlotta Scozzari di Business Insider, l’Autorità per le comunicazioni aveva espresso in merito un parere contrario tramite una delibera del 15 gennaio scorso. A dimostrazione aveva citato “le evidenze sull’andamento delle portabilità” che “mostrano come il repricing comunicato e poi attuato – ma in realtà allineato al precedente aumento di ricavi generato dal repricing dalla periodicità mensile a quella di 28 giorni  a seguito del passaggio alla fatturazione mensile,ha avuto un effetto trascurabile sul normale andamento delle portabilità del numero nel corso dell’anno”.

Non così per Piazza Verdi a cui – ed è ancora Business Insider a rilevarlo – “il sospetto che le principali società telefoniche italiane avessero siglato un patto segreto era già venuto nel marzo del 2018 quando, con una mossa piuttosto irrituale perché a istruttoria ancora in corso, aveva deciso di bloccare gli aumenti delle bollette stabiliti da Tim, Vodafone, Fastweb e Wind-Tre. Già da una lettura attenta del provvedimento con cui era arrivato quel primo ‘stop’ emergevano quelle che secondo l’Antitrust erano le prove di un accordo di massima tra gli operatori.

Ora però l’Autorità per la concorrenza e il mercato, nel lungo documento di chiusura delle indagini, ha messo nero su bianco quello che a suo dire è accaduto: “Le risultanze istruttorie – si legge – dimostrano la sussistenza di un’intesa segreta, unica, complessa e continuata, restrittiva della concorrenza tra Fastweb, Tim, Vodafone e Wind Tre, finalizzata a mantenere il livello dei prezzi esistente e a ostacolare la mobilità delle rispettive basi clienti nel lasso temporale oggetto dell’istruttoria, impedendo il corretto svolgersi delle dinamiche concorrenziali tra operatori nei mercati dei servizi di telefonia fissa e dei servizi di telefonia mobile. (…) Le evidenze illustrate provano che il coordinamento tra gli operatori è stato finalizzato a preservare l’aumento dei prezzi delle tariffe determinato dalla iniziale modifica della periodicità del rinnovo delle offerte, limitando al contempo il rischio di fuoriuscita dei propri clienti verso i principali concorrenti, in  un momento in cui sono stati introdotti nuovi obblighi legislativi relativi alla periodicità della fatturazione”

Insomma “per raggiungere la suddetta finalità i quattro Operatori hanno posto in essere un coordinamento volto a preservare il livello dei prezzi esistente, a impedire l’esercizio da parte dei clienti del diritto di recesso senza penali in occasione della modifica della periodicità della fatturazione e quindi a preservare le loro posizioni di mercato”. Il tutto – come emerge dalle risultanze, secondo l’Agcm – tramite un “fronte composto volto a impedire il libero svolgersi del confronto concorrenziale in un contesto in cui alla differenziazione sarebbe stata, per stessa ammissione delle parti, suscettibile di determinare dei vantaggi competitivi, anche di tipo reputazionale, non trascurabile, innescando reazioni a catena di cui i consumatori avrebbero potuto senz’altro beneficiare”.

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