Il DPR 13/06/2023 n.° 81 – ‘Codice di comportamento dei dipendenti pubblici’ – pubblicato sulla G.U. 150 del 29/6/2023 è rimasto lungamente dormiente nei cassetti delle scrivanie degli interessati fino a diventare – ‘improvvisamente’, direbbe Dostoevskij – una delle letture più praticate nella P.A. Ad esempio per le scuole, a cui è stato solo recentemente trasmesso a cura dei Dirigenti di Istituto, potrebbe significare la necessità di un richiamo ai doveri deontologici di docenti e personale ATA, data la delicatezza dei dati trattati: non sempre la legiferazione ordinaria recente tiene in debito conto e attribuisce il dovuto risalto alla tutela dei dati personali, che deve rispettare le linee di indirizzo, i ruoli, le responsabilità stabilite da Regolamento Europeo n.° 679/2016.
Firmato dal Ministro Zangrillo, dalla Presidente Meloni e dal Capo dello Stato Mattarella, il testo normativo elenca con puntuale e lodevole descrizione alcune norme essenziali di comportamento per un ‘corretto utilizzo delle tecnologie informatiche e dei mezzi di informazione e social media da parte dei dipendenti pubblici, anche al fine di tutelare l’immagine della pubblica amministrazione’. Un atto regolamentare necessario ed utile, considerato il diffuso ed esponenzialmente crescente utilizzo delle nuove tecnologie che – di fatto – costituiscono un potenziale canale di esternalizzazione di atti, documenti e procedure che inglobano “l’ubi consistam” dell’attività lavorativa dei dipendenti fino a integrare la fattispecie della tutela del segreto d’ufficio. Per questo motivo il DPR 81/2023 specifica in modo dettagliato come le dotazioni tecnologiche d’ufficio non possano essere utilizzate per motivi personali (salvo casi eccezionali che non costituiscano pregiudizio per i compiti istituzionali). L’uso di hardware e software, di password e username e del protocollo delle procedure prassiche deve garantire la necessaria riservatezza, un requisito che è consustanziale ai doveri d’ufficio di ogni dipendente.
Risulta perciò legittimo e doveroso un monitoraggio della correttezza dei comportamenti professionali – specie in relazione alla gestione dei mezzi tecnologici – in modo tale che il loro utilizzo non possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale. La P.A. troppo spesso assimilata nell’immaginario collettivo ad una sorta di caravanserraglio caratterizzato da approssimazione, confusione, lentezza, burocrazia ostativa, lungaggine delle pratiche e incompetenza degli addetti ai lavori deve recuperare un’immagine di efficienza-efficacia che renda soddisfazione alle necessità dell’utenza e ad un livello qualitativamente elevato nell’espletamento del pubblico servizio.
Un comportamento esemplare si sostanzia di alcune doti imprescindibili: integrità, imparzialità, buona fede e correttezza, parità di trattamento, equità, inclusione e ragionevolezza.
Qualcuno potrebbe forse eccepire su queste indicazioni che qualificano il dipendente e l’ufficio di cui fa parte? Certamente no, tuttavia alcuni passaggi del DPR adombrano una sorta di vincoli restrittivi imposti al lavoratore. Ad es. l’art. 11/ter raccomanda che “nell’utilizzo dei propri account di social media, il dipendente utilizza ogni cautela affinché le proprie opinioni o i propri giudizi su eventi, cose o persone, non siano in alcun modo attribuibili direttamente alla pubblica amministrazione di appartenenza… In ogni caso il dipendente è tenuto ad astenersi da qualsiasi intervento o commento che possa nuocere al prestigio, al decoro o all’immagine dell’amministrazione di appartenenza o della pubblica amministrazione in generale”.
Qui siamo in una sfera che riguarda l’utilizzo di account personali. L’espressione di sentimenti o di riserve su trattamenti ricevuti dall’ amministrazione o ad essa riconducibili anche su un piano generale e non personale. Scrivere un articolo o una lettera ad un quotidiano è una libertà costituzionalmente garantita. Persino rivolgersi ad un Sindacato per essere tutelati in una procedura ritenuta ingiusta potrebbe essere considerato un esempio di esternalizzazione censurabile. Anche manifestazioni di dissenso pubblico rispetto a disparità di trattamento di cui si subisce l’ingiustizia sono lecite espressioni di autotutela. Non tutto può passare attraverso la gerarchia interna, specie se si chiedono lumi e applicazione di previsioni normative ma non si ottiene risposta. A chi deve rivolgersi chi ritiene di subire un danno? Proprio in questo periodo è montata la protesta dei docenti lavoratori fragili esclusi dallo smart working dalla legge di bilancio e per i quali non è stata applicata la tutela riparativa prevista dalla Direttiva Zangrillo del 29/12/2023. Non si può sempre stare zitti e far passare sotto silenzio ciò che – come in questo caso – appare una discriminazione persino di fronte alla Costituzione e all’uguaglianza di trattamento che cittadini e lavoratori devono pretendere, specie in tema di salute.
Stupisce il silenzio degli interpellati: inaccettabile.
IL DPR 81 e la Direttiva 29/12/2023 della P.A. sono firmati dal Ministro Zangrillo: lodevoli entrambi i provvedimenti ma a chi deve rivolgersi colui che dovendo ubbidire al primo, non riceve risposta alcuna dall’Amministrazione per la seconda? Possibile che tutto debba essere sempre fonte di contenzioso? Perché tutto tace di fronte a diritti che dovrebbero essere rispettati poiché previsti dalla Direttiva e dal senso di responsabilità? Tutto scivola non adempiuto in un silenzio assordante. Allora uno cosa fa: deve tacere e subire? Il rispetto è dovuto ma può essere anche reclamato.
Dunque a chi subisce un torto palese non è permesso di esprimere il proprio malessere? Un’Amministrazione che non dà risposte costringe i dipendenti ad azioni legali, a meno che non si vogliano cazziare come non ortodosse anche queste.