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Mes Europa

Vi spiego numeri e limiti del Recovery Fund

Numeri, potenzialità, sfide e incognite Recovery Fund o Next Generation Eu nell'approfondimento di Giuseppe Liturri

 

Il Recovery Fund o Next Generation EU (NgEu) che dir si voglia, somiglia sempre più ad un soufflé: appena si raffredda perde sia la forma che la consistenza. A poco vale la consolazione di aver cominciato a dirlo su queste colonne sin da fine maggio, quando la Commissione lo sfornò e Giuseppe Conte venne accostato al Signor Bonaventura con sottobraccio un assegno da 209 miliardi.

Martedì 15 ci ha pensato il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, in audizione presso le Commissioni parlamentari Finanze e Bilancio della Camera, a fornirci elementi sufficienti per poter affermare che il soufflé rischia anche di rovinarci lo stomaco.

Fuor di metafora, il titolare del Mef ha confermato i quattro pilastri chiaramente piantati nell’ultima slide delle linee guida del piano per la ripresa e la resilienza rese note il 9 settembre:

1) Il Programma dovrà essere compatibile con gli obiettivi di finanza pubblica del Governo.

2) In ogni caso, la riduzione del rapporto debito/PIL richiederà un significativo miglioramento del saldo primario di bilancio nei prossimi anni.

3) Da un punto di vista contabile, i sussidi previsti dalla RRF non dovrebbero costituire maggior deficit e debito lordo della PA.

4) I prestiti contribuiranno all’indebitamento netto e all’accumulo di debito lordo.

Affermando che “puntiamo a inserire nella Nota di aggiornamento al Def (NaDef) una significativa discesa nel rapporto debito/Pil non solo nel 2021 ma anche negli anni successivi, onde rientrare gradualmente e in modo sostenibile sui livelli pre pandemici e su un orizzonte di lungo termine ridurre il debito“, Gualtieri ha assestato un colpo micidiale a qualsiasi prospettiva di decente ripresa del nostro Paese nei prossimi anni. Chiunque verrà dopo avrà un sentiero definito davanti a sé, e pure relativamente stretto ed accidentato. Tutto origina dalla “analisi di sostenibilità del debito (Dsa) che la Commissione redige ogni anno e che, da ultimo, ha pubblicato a maggio, in previsione dell’accesso al prestito del Mes. A Bruxelles conoscono un solo strumento per far diminuire il rapporto debito/Pil: inanellare avanzi primari di bilancio non inferiori al 2% (meglio se 3-4%). Proprio la scelta di politica economica che, con il Presidente Mario Monti, ha fatto salire quel rapporto dal 116% del 2011 al 133% del 2014, affossando le speranze di ripresa del Paese.

Quindi Gualtieri non può che seguire quel sentiero tracciato nella Dsa e, per rassicurare Bruxelles, pur continuando la sospensione del Patto di Stabilità, è stato costretto a prendere atto che buona parte del NGEU (127 miliardi) sono prestiti che concorreranno alla crescita del debito pubblico che vanno quindi usati con accortezza e “se non compensati da riduzione di altre spese o aumento di entrate, richiederanno una programmazione di bilancio volta a riequilibrare i saldi di finanza pubblica”.

Insomma, avvieremo, forse, la svolta “green” e digitale ma taglieremo, ad esempio, le pensioni o aumenteremo le tasse. Ma nemmeno sul fronte dei sussidi a via XX Settembre dormono sonni tranquilli. Infatti Gualtieri ha sostenuto che “è ragionevole ritenere che sussidi non concorreranno all’indebitamento netto aggiuntivo” e quindi intende utilizzare in pieno i circa 63 miliardi del Rrf ma, non essendo sicuro, attende che si pronunci Eurostat che, nel 2011, decise di contabilizzare come debito italiano una quota dei bond emessi da EFSF, con la nostra garanzia, per effettuare prestiti alla Grecia. Altro che Eurobond, qui ognuno risponde per la sua quota, senza alcun vincolo di solidarietà.

Secondo Gualtieri, questi fondi dovrebbero generare “svariati punti percentuali di aumento del PIL”. C’è da sperare che la previsione sia più accurata di quella fatta a marzo, relativa a “qualche punto percentuale, grave ma gestibile e recuperabile” di calo del PIL.

Incalzato da una puntuale domanda del deputato Renato Brunetta, Gualtieri ha dovuto ammettere che l’invio formale del piano, che sarà “composto da pochi e grandi progetti” (nonostante circolino bozze enciclopediche), dovrà attendere la pubblicazione delle norme del Ngeu in Gazzetta Ufficiale, prevista non prima di gennaio, salvo imprevisti. Allora, giocoforza, la legge di bilancio 2021, da approvarsi entro il 31/12, non potrà contenere alcuna spesa finanziata con uno strumento giuridicamente inesistente. Oppure potrà farlo, col rischio di trovarsi senza copertura, in caso di mancata approvazione di qualche progetto nei primi mesi del 2021 da parte di Commissione e Consiglio. C’è da considerare che solo ieri la Commissione ha fornito delle linee guida al fine di cominciare a selezionare l’elenco dei progetti ammissibili. Gualtieri spera di finanziare con i prestiti spese già previste a legislazione vigente, come ad esempio accaduto con il Sure (destinato a cassa integrazione ed altri sussidi come i 600 euro per gli autonomi), ma in questo modo lo stimolo all’economia dei 127 miliardi di prestiti sarebbe nullo. Se volesse finanziare altre spese dovrebbe aumentare il deficit, deviando dal sentiero di rientro.

Stanno pian piano emergendo tutti i difetti del Next Generation UE: pochi soldi veri, erogati lentamente, e soggetti a condizioni potenzialmente dannose per il nostro Paese. Ancor più evidenti dopo il Consiglio Europeo del 21 luglio che puntualmente facemmo notare, partendo dalla meticolosa lettura di atti e bozze dei regolamenti, senza pregiudizi. Oggi abbiamo la ben magra soddisfazione di trovare conferma dei nostri rilievi nell’atto ufficiale con cui, il 16 settembre, il Governo ha trasmesso al Parlamento le linee guida del piano per la ripresa e la resilienza, dichiarando la propria disponibilità a riferire alle Camere ed assicurando il loro pieno coinvolgimento nelle fasi successive di elaborazione ed approvazione dei singoli progetti.

Accanto al sogno della transizione ecologica e digitale, fa capolino un vecchio arnese della Commissione: le Raccomandazioni Paese, proposte a giugno ed adottate dal Consiglio a luglio 2019 per un Governo non proprio amico al quale quindi le regole andavano applicate, anziché interpretate, come accade oggi per i Governi amici. Sono le raccomandazioni che, secondo l’esecutivo, “la Commissione considera ancora rilevanti ai fini della risposta di policy agli squilibri macroeconomici dell’Italia”. Si tratta di 5 punti in cui spiccano la richiesta di assicurare una riduzione della spesa pubblica, di ridurre l’evasione fiscale vietando l’uso del contante (cosa c’entra il contante con gli 1,25 miliardi incassati nel 2019 da un solo accertamento fiscale ad un grande gruppo del lusso?), di utilizzare entrate straordinarie (condono e patrimoniale?) per ridurre il rapporto debito/PIL e diminuire il peso delle pensioni di vecchiaia. Non mancano gli investimenti in ricerca, la riduzione dei tempi della giustizia civile (per velocizzare gli espropri dei beni dati in garanzia alle banche da famiglie ed imprese piegate dalla crisi?) e l’invito alle banche a proseguire nella svendita di crediti deteriorati, avviata nel 2016.

Allora vien da chiedersi quale crescita sarà mai possibile in queste condizioni. Quale potrà mai essere il beneficio netto sul Pil delle maggiori spese sussidiate dal NgEU e delle misure recessive che ci vengono richieste? Lo sapremo a fine mese, quando sarà pubblicata la Nota di aggiornamento al Def che rischia di somigliare al passo del gambero per i due seguenti motivi:

1) La Nadef conterrà le previsioni per il 2021, tenendo conto del NgEU che però vedrà giuridicamente la luce solo ad inizio anno. Motivo per cui la legge di bilancio potrà contenere maggiori spese di cui non sarà ancora certa la fonte di finanziamento. Ammesso e non concesso che i piani siano approvati dalla Commissione entro aprile, arriverà subito un insignificante anticipo di 6,4 miliardi (10% dei 64 miliardi di sussidi del Rrf) ed i successivi pagamenti semestrali potrebbero subire il “freno di emergenza” del Consiglio per ulteriori 3 mesi. L’effetto macroeconomico potrebbe essere davvero modesto.

2) I 209 miliardi si stanno sciogliendo come neve al sole. Ci sono tempi relativamente certi, ma lunghi, solo per i 64 miliardi di sussidi del Rrf. I residui 17 dovrebbero provenire da altri strumenti (ReactEU in primis) i cui tempi sono indeterminati. Gli altri 127 miliardi sono prestiti ed il Governo è stato costretto ad ammettere che, per rispettare la traiettoria di rientro “raccomandata” da Bruxelles, potrebbero finanziare prevalentemente spese già comprese nel deficit attuale. È come se a casa avessimo deciso di mettere a bilancio la spesa per ripristinare gli intonaci e dalla Ue arrivassero prestiti per rifare gli infissi. A quel punto, o mettiamo a bilancio anche queste ultime spese, tagliando le prime (opzione preferita dal Governo), in modo da non far esplodere il deficit complessivo, o rinunciamo a rifare gli infissi. In ogni caso, l’effetto sulla crescita è pari a zero, in quanto non si genera deficit aggiuntivo.

Il NgEU promette di essere, per la gran parte, solo uno strumento di finanziamento (alternativo al Btp) di un bilancio, da un lato destinato necessariamente ad aumentare per sfruttare questo strumento di finanziamento e, dall’altro destinato a comprimersi per rispettare il sentiero di riduzione già tracciato a Bruxelles.

Le probabilità che, nel medio periodo, il nostro Paese riceva un beneficio netto da questa combinazione di misure, cominciano ad apparire davvero scarse.

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