I media sono attratti dal dibattito sulle grandi riforme (Giustizia, Regionalismo differenziato, Premierato). Questo porta a sottovalutare il fatto che la macchina istituzionale del nostro Paese soffre di varie criticità meno eclatanti, più interstiziali ma cruciali per il rendimento del sistema Italia. Pensiamo qui ai problemi legati al governo locale, all’ANAC, ai meccanismi di partecipazione nella fase di preparazione della legislazione UE e, last but not least, le nostre Pubbliche Amministrazioni.
Il problema della nostra macchina amministrativa è entrato nell’attenzione dei tecnici sostanzialmente solo a partire dal Next Generation EU e dal collegato PNRR. Sino ad allora il problema della Pubblica Amministrazione veniva visto o come un problema di decentramento (gli interventi del Ministro Giannini del 1976) o come un semplice problema relativo al rapporto di impiego (Dlgs 29 del 1993). Solo con il PNRR si comincia a far strada l’idea che il problema riguarda un po’ tutto il modello burocratico italiano, modello che è stato scarsamente studiato e di cui non si conoscono pregi e difetti. Anche l’introduzione dei processi non inizia affatto con la legge 241 del 1990, legge che introduce il concetto di responsabile di procedimento ma non definisce cosa sia un procedimento e introduce inopinatamente la distinzione tra responsabile di procedimento e responsabile di provvedimento. Il termine “processo” viene introdotto consapevolmente solo nel regolamento del PNRR nel 2021.
È dal 2021 che i Ministri Dadone, Brunetta e Zangrillo si trovano a far fronte alla necessità di cambiare il nostro modello burocratico. Tutti e tre hanno dato prova di buon senso ma anche di mancanza di metodo. L’esperienza maturata in più di 30 anni di assistenza ai paesi ex comunisti ha dimostrato che, per poter portare in porto delle riforme amministrative concrete, bisogna programmare un’azione in quattro fasi:
- descrizione della situazione esistente
- valutazione della situazione esistente
- progettazione del modello che si vuol realizzare
- individuazione delle tappe di passaggio dalla situazione esistente alla situazione ottimale verso cui si vuole andare.
Quelle che sono fin qui mancate sono le prime due fasi: la descrizione e valutazione della situazione esistente. Ne sono risultati interventi scoordinati, spesso concentrati sui sintomi disfunzionali e non sulle loro cause.
Per chi guarda la nostra amministrazione dall’esterno (per esempio da Bruxelles, ma anche da Francoforte, Amsterdam o New York) una cosa balza subito agli occhi: la confusione tra elemento personale e elemento istituzionale. Da noi strumenti come “la tabella dei rimpiazzi” sono sconosciuti. Ne risulta che la funzione è estremamente personalizzata. Quando il funzionario che segue una pratica si assenta, la pratica si blocca.
Questo meccanismo trova la sua origine nel sistema di reclutamento e inserimento nel lavoro. Il neoassunto (che ha superato un concorso basato in gran parte su prove che mirano a valutare la sua preparazione teorica) non sa concretamente che cosa deve fare. Sono i colleghi, con il metodo dell’affiancamento, che gli insegnano praticamente come realizzare un impegno di spesa, fare un computo metrico estimativo, verbalizzare una riunione, stendere una “determina” etc.
Questo modo di procedere ha diverse conseguenze negative. Innanzi tutto porta ad una parcellizzazione dell’amministrazione: la stessa operazione viene realizzata con modalità sostanzialmente diverse (tutte legali) dai diversi gruppi in cui i vari funzionari si articolano. La nostra amministrazione risulta in una congerie di botteghe artigiane che non comunicano tra di loro. Una ulteriore conseguenza negativa di questo metodo è il costo in termini temporali e monetari. Il costo temporale è rappresentato dal fatto che il neoassunto non è subito disponibile e diventa operativo parzialmente solo dopo vari mesi e completamente dopo più di un anno. Il costo monetario è rappresentato dal fatto che, nel mentre impara a operare concretamente, il neoassunto riceve un regolare stipendio come pure vengono pagati i colleghi che dedicano parte significativa del loro tempo lavorativo (per cui ricevono lo stipendio) non per fare il loro lavoro ma per insegnare ai neoassunti a lavorare.
Orbene questo meccanismo sta per deflagrare in una vera e propria bomba. Il nostro pubblico impiego ha avuto tradizionalmente un andamento sinusoidale: si restringe durante i periodi di vacche magre e si gonfia quando la situazione è meno critica. Dopo le ristrettezze riconducibili all’era del Governo Monti (si poteva rimpiazzare solo 1/6 del turn over) , si sta procedendo ad assunzioni di decine (o forse centinaia) di migliaia di nuovi pubblici dipendenti (DPCM del 14 maggio 2024). Se non si supera il meccanismo di inserimento nel lavoro di questa massa di reclutandi secondo il metodo dell’affiancamento ci troveremo ad avere per i prossimi 40 anni una amministrazione ingessata nel sistema delle botteghe artigiane che non dialogano tra loro!!!
Per superare questo handicap l’esperienza di altri Paesi ci indica diverse strade. La più radicale è quella germanica che si basa su un sistema formativo caratterizzato dall’alternanza aula/tirocini in modo che il neodiplomato e il neolaureato sono subito in grado di operare appena assunti (in questo modo la Germania supera il meccanismo del concorso). Un sistema meno radicale è quello francese dove i neoassunti, prima di prendere servizio, seguono dei “corsi di applicazione” organizzati dall’amministrazione che li ha assunti. Un sistema ancora meno radicale è il sistema belga introdotto meno di dieci anni fa basato su una sorta di tutoraggio remoto. Per chi volesse approfondire tutte queste soluzioni rinvio al mio libro Un Gatto che Si Morde la Coda Ovvero le Riforme della PA, Milano, Guerini e associati, in maniera particolare al capitolo 2.1.
L’appello qui è rivolto a tutte le amministrazioni che si apprestano ad assumere. È indispensabile affrontare urgentemente questo problema: organizzare l’inserimento al lavoro e l’apprendimento del “saper fare” subito dopo il reclutamento. Per far questo bisogna far riferimento ai funzionari e dirigenti esperienziati (non a docenti universitari o “formatori” generalisti che sono portatori di contenuti prevalentemente comportamentali) e chiedere loro di inventariare i “saper fare” concreti che i neoassunti devono acquisire. In un recente convegno organizzato dal Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Pisa è emerso che i neoassunti sono disorientati perché non sanno cosa fare e, spesso, rinunciano al lavoro proprio per questa mancanza di indicazioni concrete ed operative. Il lavoro è fattibile. L’appello è rivolto prevalentemente agli enti chiamati ad erogare i servizi (cioè gli enti locali e le ASL). Per uscire dal cul de sac in cui ci troviamo dobbiamo renderci conto che vanno cambiate molte abitudini e tutti dobbiamo rimboccarci le maniche.