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Borse

Vi spiego come le banche centrali influenzano le Borse. Il commento di Fugnoli (Kairos)

Non esiste più un nesso diretto tra andamento dell’economia e indici di borsa. Ecco perché. L'analisi di Alessandro Fugnoli, strategist dei fondi Kairos

Il 2019 è stato un anno difficile per l’Iran. Le sanzioni sono state inasprite. Il prezzo del petrolio è rimasto depresso. La produzione nazionale di greggio è scesa da 3.8 a 2.4 milioni di barili. Il Pil, sceso nel 2018 del 3 per cento, ha accelerato la sua caduta e ha perso altri 9.5 punti percentuali. Il rial, sul mercato libero, ha continuato a indebolirsi. Bastavano 40mila rial per comprare un dollaro all’inizio dell’anno, ne occorrevano 120mila alla fine.

Provate ora a pensare, in questo contesto, come può essersi comportata la borsa di Teheran. Bene, secondo il New York Times (Iran’s Economy Is Bleak. Its Stock Market Is Soaring, 13 febbraio), è stata nel 2019 la migliore del mondo ed è raddoppiata in dollari. Certo, partiva da valutazioni molto basse e d’altra parte le imprese iraniane sono state abili nell’adattarsi alla nuova realtà, ma una parte importante del rialzo è stata dovuta alla mancanza di alternative d’investimento in un mercato dei capitali sigillato verso l’estero e con un’inflazione rampante.

Prendiamo adesso il Giappone, che nei mesi scorsi ha nuovamente alzato la sales tax sui consumi. Il Pil giapponese, nel quarto trimestre, è crollato a una velocità annualizzata del 6.1 per cento (molto peggio di quanto fece durante la Grande Recessione del 2008-2009). Pensate forse che la borsa di Tokyo nel frattempo sia scesa? Assolutamente no, è anzi salita, nello stesso quarto
trimestre, dell’8.7 per cento ed è rimasta stabile in questo inizio d’anno.

Chiudiamo con la Germania, un paese con la produzione industriale in caduta continua, mese dopo mese, da un anno e mezzo e in questo momento, molto probabilmente, in recessione complessiva. E parliamo di un paese che storicamente ha puntato tutto su auto ed export, due temi su cui nessuno
vorrebbe oggi scommettere. Bene, dove si trova il Dax? Al massimo di tutti i tempi.

Che riflessioni possiamo trarre da questi tre esempi? La prima è che, ammesso ci sia mai stato, non esiste più un nesso diretto tra andamento dell’economia e indici di borsa. A parte il caso iraniano (la borsa come bene rifugio) il nesso tra economia e borsa passa ormai attraverso i tassi e la liquidità. I libri di testo di una volta spiegavano che un’economia che va bene permette utili in crescita che a loro volta giustificano una crescita delle quotazioni azionarie. Quelli di domani scriveranno che un’economia che va male stimola risposte monetarie e fiscali espansive, che a loro volta, almeno fino a un certo punto, stimolano e giustificano rialzi azionari.

Tutte cose ormai note, si dirà. E però la realtà è più complessa degli schemi, anche di quelli nuovi. Il Giappone, ad esempio, negli ultimi anni ha reso via via meno espansiva la sua politica fiscale (la sales tax ha continuato ad aumentare) e anche la politica monetaria è meno generosa di un tempo. Una volta c’era infatti il Quantitative easing con importi fissi, oggi c’è l’obiettivo di mantenere a zero la curva dei tassi, il che comporta per la banca centrale interventi molto più modesti.

Anche la Germania non rispetta lo schema generale. La sua politica fiscale è stata l’anno scorso restrittiva, i tassi di mercato negli ultimi mesi non sono scesi (sono anzi più alti di sei mesi fa) e il sostegno monetario della Bce, 20 miliardi al mese di Qe per tutta l’eurozona, è un quarto di quello che è stato a lungo negli anni passati. E se la profittabilità delle imprese in Giappone è se
non altro aumentata, lo stesso non si può dire nel caso tedesco.

E dunque?

Una prima considerazione è che, mentre è iniziata una certa deglobalizzazione produttiva (destinata ad accelerare con il coronavirus), la globalizzazione della liquidità è ben viva e spalma i suoi benefici su tutti gli asset di tutti i paesi. La correlazione tra le diverse borse si è fatta ancora più stretta e gli aggiustamenti relativi tra le economie avvengono attraverso i cambi e non attraverso
diverse performance delle borse nazionali. Il Dax e l’SP 500, in altre parole, sono sovrapponibili, ma questo è possibile solo perché l’euro (e ora anche lo yen) si svaluta contro il dollaro.

Una seconda considerazione è che da qui in avanti, dovesse il rialzo proseguire, le borse comincerebbero a essere autonome anche dalle politiche monetarie. Infatti, a meno che la pandemia non costringa a nuovi tagli dei tassi in estate (un’ipotesi su cui Clarida, la testa pensante della Fed, è stato oggi piuttosto tiepido), nei prossimi mesi la creazione di nuova base monetaria da parte della Fed si arresterà per tutto il resto del 2020 e non darà più supporto aggiuntivo ai mercati.

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