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Vi racconto teoria e prassi del mio maestro Gino Giugni. Firmato: Cazzola

Il 4 ottobre 2009 moriva a Roma Gino Giugni, uno dei più grandi giuslavoristi del secondo dopoguerra. Il ricordo di Giuliano Cazzola

Il 4 ottobre 2009 moriva a Roma Gino Giugni, uno dei più grandi giuslavoristi del secondo dopoguerra. Socialista riformista (in quanto tale vittima di un attentato delle BR, che sarebbe potuto essergli mortale), per diverse legislature fu senatore, presidente della Commissione Lavoro di Palazzo Madama, poi ministro della Repubblica del Governo Ciampi e promotore del Protocollo del 1993 che tanta influenza ha avuto nel campo delle relazioni industriali e soprattutto nella definizione di una politica salariale in senso antinflazionistico che ha consentito, insieme ad altri fattori, all’Italia di entrare fin dall’inizio nel club della moneta unica.

Ha scritto in proposito Umberto Romagnoli nel suo saggio ‘’Giuristi del Novecento’’ (Ediesse 2019) che Giugni ‘’con l’attività che avrebbe svolto negli anni Novanta in qualità di ministro del Lavoro legherà il suo nome alla performance più lusinghiera della concertazione in Italia. Ma, da politico prestato al diritto, conosceva anche l’entità del rischio di una legittimazione della rappresentanza degli interessi più dall’alto che dal basso. Per questo, con la teoria dell’ordinamento sindacale aveva precostituito l’habitat culturale che permette tanto ai rappresentanti quanto ai rappresentati di sviluppare gli anticorpi’’.

In pratica, non c’è un solo evento importante nella politica del lavoro del secolo scorso che non abbia avuto Gino Giugni come ideatore e protagonista. Sarà lo stesso Giugni a riconoscere che «Il mio approdo alla scienza giuridica è passato per vie molto traverse». Ma egli viene ricordato come del 1970, anche se in quel tempo era soltanto capo dell’Ufficio legislativo prima del ministro Giacomo Brodolini, poi, dopo la sua morte, di Carlo Donat Cattin.

Ma quella legge fondamentale è legata per sempre al nome di Giugni perché sue furono le intuizioni (a partire dal suo contributo, dal ministero, al rinnovo del contratto dei metalmeccanici del 1969) che diedero a quel provvedimento un carattere fortemente innovativo per la cultura giuridica – e non solo – di quei tempi, grazie ad un’impostazione che affidava il riconoscimento dei diritti dei lavoratori ad un ruolo promozionale dell’azione del sindacato, introducendo nel tradizionale diritto positivo italiano modelli propri della common law e dell’esperienza americana che tanto aveva inciso sulla sua formazione, fin da quando, appena laureato, aveva avuto l’opportunità (grazie ad una borsa Fulbright), insieme a Federico Mancini e a Giorgio Bernini, di una permanenza di studio negli Usa.

Il viaggio sulla motonave Vulcania cementò per sempre la loro amicizia. ‘’Gino – scrive Umberto Romagnoli – tornerà dagli States diverso da quel che era quando partì. Il fatto è che durante il viaggio per e dagli States avvenne un incontro (con Mancini, ndr) per lui importante e, per certi aspetti, determinante’’. Un incontro che segnò una lunga amicizia, una collaborazione reciproca ed un sodalizio culturale tra la scuola di Bologna e quella di Bari, associando Giugni alla prestigiosa istituzione de Il Mulino che si stava affermando – come palestra di dibattito e di innovazione politica – in quegli anni di dura contrapposizione e sterile ideologica.

Di Giugni vanno ricordati, poi, altri contributi importanti, come ad esempio, l’aver diretto la commissione tecnica che elaborò la riforma del tfr all’inizio degli anni ’80, evitando il ricorso ad un referendum che avrebbe avuto effetti devastanti. Oppure l’ultimo impegno che assolse con la solita lucidità e l’infinita cultura giuridica, quando il primo Governo Prodi gli chiese di presiedere una commissione composta dai migliori giuristi italiani, tra cui Massimo D’Antona e Marco Biagi, che elaborò, all’inizio del 1997, una relazione sulla riforma della contrattazione collettiva colpevolmente ignorata dalle parti sociali, benché le proposte che vi erano contenute prefigurassero già il disegno tracciato (molti anni dopo) dagli accordi interconfederali più recenti.

Ma il merito principale del Maestro rimane – come ha ricordato Romagnoli – quello di aver fondato il moderno diritto sindacale, mediante un’operazione di carattere culturale che ebbe il senso di una vera e propria rivoluzione copernicana. Nel corso degli anni ’50 il diritto sindacale era un settore dominato da quelle che furono chiamate le “speranze deluse”. La Costituzione aveva risolto le questioni cruciali della rappresentanza e della rappresentatività sindacale e dell’efficacia erga omnes dei contratti di lavoro nel testo dell’articolo 39 che però giaceva, per tanti motivi, inattuato nonostante che ogni ministro del lavoro avesse cercato di sbloccare la situazione di stallo con un proprio disegno di legge.

Nel 1960, Gino Giugni – a soli 33 anni – diede alle stampe il libro da cui emersero, grazie alla applicazione della teoria degli ordinamenti giuridici al diritto sindacale, una nuova visione e una diversa interpretazione della materia che doveva essere accettata e studiata per quello che la realtà e l’esperienza avevano espresso e non più nella sterile ricerca di un ‘dover essere’ dimenticato ed impraticabile.

Scriveva Giugni a proposito dell’attività contrattuale parole destinate a cambiare la storia: “Un’attività che si è svolta nel precario contesto della legge comune dei contratti, è risultata viziata da mille insufficienze, ma è nondimeno costitutiva di un valido patrimonio di esperienze di “diritto vivente””.

Di Giugni si potrebbe parlare a lungo senza mai esaurire l’argomento. Mi limiterò soltanto a ricordare un ‘botta e risposta’ che il grande giurista (il quale mi fu maestro e mi onorò della sua amicizia) ebbe con uno studente, durante una conversazione sui temi del lavoro. Ad uno studente che gli chiedeva: “Lei sta dunque affermando che i fondamenti etici della Costituzione rimarranno invariati?”, Giugni rispose: “La sua domanda contiene in sé un’efficace risposta: i fondamenti etici non verranno variati. Fin tanto che la Costituzione repubblicana del 1948 rimarrà in vigore, noi avremo la certezza che i suoi principi etici funzionano e, soprattutto, che hanno un rilevante grado di effettività. Nel momento in cui tali fondamenti muteranno – insieme alle corrispondenti istituzioni – ci troveremo di fronte a fenomeni ai quali sarò contento di non assistere: mi auguro per voi che non accadano episodi di crisi delle istituzioni tali da mettere in dubbio questi principi etici”.

Purtroppo, ‘’episodi di crisi delle istituzioni’’ sono avvenuti. Per sua fortuna Gino ha potuto non assistervi, perché convocato dall’Onnipotente a ricoprire la cattedra di diritto del lavoro nell’Ateneo dei Campi Elisi.

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