Il Mes sta cercando con ogni mezzo di legittimarsi come strumento disponibile per gli Stati dell’eurozona al fine di mitigare gli effetti della crisi da Covid-19. Ci sono voluti ben 2 mesi per mettere a punto un nuovo assetto che consentisse di superare tutte le perplessità relative al suo utilizzo in una situazione totalmente diversa da quella per cui fu concepito nei mesi turbolenti della crisi 2011-2012. Tuttavia a circa un mese dal 15 maggio, giorno in cui il Consiglio dei governatori ha deliberato l’adozione della linea di credito Pandemic Crisis Support (PSC), nessun Paese, nemmeno la tanto bistrattata Grecia, ha fatto richiesta dei fondi ed i dubbi sulla torsione a cui è stato sottoposto per adattarlo all’attuale crisi permangono tutti.
I motivi che rendono poco conveniente sotto tutti i profili, non solo quello finanziario, questa linea di credito sono stati più volte illustrati su queste colonne e non è il caso di ripeterli. Si tratta di motivazioni giuridiche e finanziarie, che fanno da base alle motivazioni politiche. Per i dettagli, basta rileggersi i precedenti interventi.
La novità di questa settimana è stata costituita dall’approvazione del bilancio 2019 del Mes e le sorprese, nonostante lo sforzo propagandistico, non sono mancate.
Un fatto è certo, gli unici a cui conviene finora il Mes sono i suoi 186 dipendenti profumatamente pagati per un costo medio di circa €177.000 annui. I cui sforzi per esaltare le virtù dell’istituzione in cui lavorano non convincono affatto. A partire dal discutibile tentativo di costruire delle tabelle per dimostrare un ipotetico risparmio di interessi ottenuto dai Paesi finora finanziati dal Mes. In testa a tale tabella spiccano i 14 miliardi di risparmio realizzati dalla Grecia, rispetto ad un ipotetico ricorso al mercato. Peccato che tale mercato di fatto non esista e, quando c’è la Bce, i tassi li orienti lei e non ce n’è per nessuno. Ma questo è solo l’inizio. Il bilancio rivela un sostanziale immobilismo del Mes nel 2019:
- Non ha erogato nuovi prestiti, né ha ricevuto rimborsi. Ha solo emesso obbligazioni per rimborsare quelle in scadenza. Tutto questo al modico costo di 72 milioni l’anno di costi operativi (personale incluso).
- Detiene circa 99 miliardi tra liquidità e strumenti finanziari, per buona parte derivanti dagli 80 miliardi di capitale versati dagli Stati membri, e cerca di impiegarli al meglio sui mercati. E qui siamo in presenza di una distorsione che ha dell’incredibile. Poiché tra i diversi impieghi possibili c’è anche quello del deposito presso le banche centrali di Germania e Francia, che però applicano un tasso negativo pari al -0,50%, il Mes, con la scusa di preservare l’integrità del capitale, si fa rimborsare da quegli Stati, gli interessi che le banche centrali percepiscono per questi depositi. Francia e Germania, con una decisione dei rispettivi Parlamenti nazionali, hanno disposto il rimborso al Mes di complessivi 238 milioni. Ma tutto questo avrebbe avuto forse un senso se il bilancio fosse stato in perdita. Ma invece i 238 milioni si sommano ad ulteriori 52 per costituire l’utile totale di €290 milioni. Incredibilmente, l’Italia ha pensato bene di aderire a questo sistema di sovvenzione del Mes che, si ribadisce, serve solo per imbellettare il suo bilancio. Infatti, i commi 537-539 della Legge di bilancio 2020 dispongono che la Banca d’Italia, quando comunicherà al Tesoro gli utili del 2020, evidenzierà la quota (circa 77 milioni) riferibile ai depositi del Mes (15 miliardi) detenuti a via Nazionale. Il Tesoro quindi rinuncerà a quella quota e provvederà a girare la somma al Mes. Insomma, si rimedia ad una distorsione – un ente che ha raccolto del capitale, anziché meno costose garanzie, da tenere base per l’emissione di obbligazioni che ha emesso solo in minima parte – con un’altra distorsione – non fargli sostenere il costo che qualsiasi altra banca sosterrebbe per un’operazione simile. Il lato assurdo di tutta questa vicenda è che i 15 miliardi che il Mes ha depositato presso Bankitalia, sono all’incirca la stessa somma che l’Italia ha versato nel 2012 come propria quota del capitale del Mes. In un mondo normale quella somma, stante la sostanziale inutilità del Mes, dovrebbe tornare al nostro Paese. Invece, in questo ginepraio, quelle somme sono depositate presso Bankitalia solo previo espresso impegno dello Stato a rifondere il Mes degli interessi che inizialmente esso corrisponde a Bankitalia stessa. L’inefficienza di tenere del capitale accantonato viene scaricata sugli Stati che, in ogni caso, la sosterrebbero come azionisti del Mes. Un puro artificio contabile.
Ma il Mes, nell’ansia di farsi notare, è pure incappato in qualcosa che somiglia ad un clamoroso autogol. Infatti, il documento pubblicato a proposito della valutazione delle conseguenze dell’intervento in Grecia (“lezioni dall’assistenza finanziaria alla Grecia”), redatto dall’ex Commissario UE Joaquin Almunia, nella veste di valutatore “indipendente” (Oste! Com’è il vino?), ha accertato che l’intervento (tenere la Grecia nell’euro) è riuscito ma il paziente è morto (8 anni di riduzioni di bilancio hanno prodotto conseguenze sociali devastanti).
Il rapporto ammette il verificarsi di “conseguenze involontarie” determinate da “sottovalutazione dei problemi” e “ritardo nella recepimento delle informazioni”. Nel frattempo però la Grecia è finita in pezzi: crollo degli investimenti, crollo della domanda, crisi del debito pubblico che si è trasformata in crisi delle banche e razionamento del credito, fuga dei cervelli, aumento del sommerso. Voler frettolosamente conseguire ingenti avanzi primari di bilancio ha portato solo ad un’ulteriore contrazione dell’economia. Sono le stesse prescrizioni di politica economica (le famose riforme) che la Commissione cerca di imporci dal 2012 con alterne fortune.
Se l’obiettivo di Almunia era quello di offrire gli argomenti per la liquidazione volontaria del Mes, allora pare esserci riuscito perfettamente.
Per dimostrare comunque la sua utilità, allora il Mes ritorna a parlare della sua riforma. E lo fa puntando sul suo ruolo di “paracadute” del fondo comune di risoluzione delle crisi bancarie. Nel caso quest’ultimo avesse esaurito i fondi necessari per il salvataggio di una banca, il Mes farebbe un prestito a 3 anni fino a 68 miliardi per sostenerlo. Peccato che se saltasse una banca significativa quei soldi sarebbero noccioline e comunque dovrebbe intervenire lo Stato. Negli altri casi, ci sono già le procedure nazionali. Come si vede, è proprio complicato trovare un ruolo per il Mes.
Soprattutto quando la Bce viaggia al ritmo di 30/35 miliardi di acquisti settimanali di titoli pubblici, di cui circa il 20% italiani. E tutti i suoi principali esponenti, da Christine Lagarde ad Isabel Schnabel al suo capo economista Philip Lane, non fanno che riaffermare la necessità di continuare gli acquisti con la massima flessibilità e senza tenere conto di alcuno dei limiti precedentemente adottati. La presenza della Bce si misura anche con i risultati delle aste dei BTP: giovedì sono stati raccolti 9,5 miliardi sulle scadenze di 3, 7 e 15 anni con rendimenti rispettivamente pari a 0,46%, 1,10% e 1,91% in netta discesa di circa 40 punti base rispetto alle precedenti aste. Questi titoli poi acquistati a piene mani dalla Bce sul mercato secondario, che a questi ritmi, promette di acquistare titoli pari all’intero fabbisogno dello Stato per il 2020, generano interessi che poi tornano nella casse del Tesoro attraverso i dividendi pagati da Bankitalia. Lo stesso meccanismo dinanzi illustrato a proposito degli interessi del Mes e che rende del tutto privi di senso i calcoli di convenienza a favore del Mes rispetto al finanziamento del deficit tramite l’emissione di titoli di Stato. La Bce ha ribadito che non tollererà frammentazioni del mercato finanziario e quindi tensioni sui tassi, a partire da quelli del debito pubblico. Ed è noto che nessun investitore speculerebbe mai contro la Bce. Ecco perché il Mes è inutile e quei 15 miliardi non devono essere depositati presso Bankitalia, ma semplicemente essere restituiti allo Stato.