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Visco

Vi racconto le ultime follie tassaiole di Vincenzo Visco

Secondo l'ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, "la lotta all'evasione resta al palo". Ma il suo intervento sul Sole 24 Ore è pieno di opinioni discutibili e affermazioni errate: ecco perché. Il commento di Giuseppe Liturri

Suscita non poche perplessità l’intervento del già ministro delle Finanze Vincenzo Visco sul Sole 24 Ore di oggi, secondo il quale “la lotta all’evasione resta al palo”. Si oscilla tra opinioni discutibili e affermazioni fattualmente errate che vorremmo commentare punto per punto, riportando integralmente il testo.

Si comincia con

Consideriamo il recente decreto delegato in tema di riscossione. La teoria economica e gli studi empirici indicano che la decisione di evadere di un contribuente razionale dipende da due fattori principali: il livello delle aliquote, e la probabilità di essere assoggettato ad accertamento e gravemente sanzionato. Ebbene, il decreto, pur non toccando le aliquote, incide fortemente sulle penalità applicabili, e quindi sui rischi collegati al mancato pagamento delle imposte. Infatti, i contribuenti che devono al fisco fino a 120mila euro potranno limitarsi a comunicare all’Agenzia delle entrate di non essere in grado di pagare per ottenere una rateizzazione del debito fino a 10 anni. Al di sopra dei 120mila euro, sarà necessario trasmettere qualche elemento di informazione circa la carenza di liquidità per ottenere una analoga rateizzazione. Si trascura completamente il fatto che ci si può trovare, o apparire, a corto di liquidità ed essere invece pienamente solvibili. In questo modo viene meno ogni effetto di deterrenza e il ricorso alla rateizzazione tenderà a diventare un metodo alternativo di finanziamento dei contribuenti rispetto ai normali canali creditizi. E va notato che questo “beneficio” si applica ad una sola categoria di contribuenti, e certamente non a dipendenti e pensionati.

Premesso che non si tratta di evasione in senso stretto, ma di soggetti che hanno un debito col fisco alla luce del sole ma non possono pagarlo, Visco contesta che tale modalità di riscossione “agevolata” sia riservata anche a chi è solo in crisi di liquidità. Il quale utilizzerebbe quindi questo canale di finanziamento, anziché andare in banca e ipotecare la casa per un F24 o una cartella. Secondo Visco è troppo. Per lui è normale e ammissibile che un cittadino debba ipotecarsi la casa, a meno che non sia talmente coperto di debiti da non farcela nemmeno con quella e quindi, solo essendo insolvente, possa accedere al beneficio. Invece è proprio il contribuente in crisi di liquidità – da provare oltre 120mila euro – che bisogna indurre e incentivare al pagamento. Senza l’incentivo semplicemente non pagherebbe, non potendo disporre di altre fonti di finanziamento prontamente liquidabili. Forse, per Visco l’unico contribuente buono è quello fallito.

Ma questo è solo il cocktail di benvenuto. Perché…

Secondo i dati ufficiali, l’evasione complessiva supera gli 80 miliardi di euro. In verità, anche per le ragioni più sopra ricordate, essa è superiore e rimane prossima ai 100 miliardi, ed è attribuibile pressoché esclusivamente ai lavoratori indipendenti e alle imprese minori che, sempre secondo i dati ufficiali, evadono in media il 70% dei loro fatturati e redditi. Ma sono proprio questi contribuenti ai quali il governo ha riservato un concordato preventivo biennale, ad adesione volontaria, molto vantaggioso e che li escluderà dalla possibilità di accertamento. Agli stessi contribuenti è riservato un regime forfettario per fatturati dichiarati fino a 85mila euro i quali, previo un abbattimento variabile a seconda dell’attività svolta, possono pagare un 15% forfettario in sostituzione di Iva, Irpef, addizionali regionali e comunali. Essi sono inoltre esenti dall’Irap. In conseguenza non partecipano al finanziamento della sanità e dei servizi pubblici locali. Il vantaggio che ottengono in questo modo rispetto ai lavoratori dipendenti e ai pensionati è molto consistente e crescente col reddito (e col fatturato). Se poi si considera il fatto che si tratta di contribuenti che in media evadono il 70%, limitandosi a dichiarare il 30% dei loro introiti effettivi, si può verificare facilmente che il limite di 85mila euro corrisponde in realtà ad un fatturato effettivo di oltre 283mila euro, per cui un professionista evasore e forfettario con quel reddito risparmierebbe, rispetto ad un lavoratore dipendente qualcosa come 78mila euro l’anno!

Qui – ammesso e non concesso che quel 70% di evasione in media di “fatturati e redditi” (come se fossero la stessa cosa…) sia un dato credibile – a Visco sfugge che dovrebbe essere proprio il concordato preventivo biennale lo strumento idoneo a portare alla luce, almeno in parte, quanto oggi viene nascosto. E solo aumentando il reddito dichiarato potranno evitare accertamenti analitici. Invece passa l’idea, palesemente distorta, che ci sarà un simil condono. Ancora più contestabile la tesi che i forfettari sotto 85mila euro di fatturato in realtà non dichiarino anch’essi il 70%. Ma è vero esattamente il contrario. Quella soglia, con aliquota ridotta, è servita proprio a far uscire dal sommerso tante piccole attività. Basta essere coinvolti in qualsiasi attività imprenditoriale per avere prova tangibile che i “piccoli” oggi hanno minore incentivo a evadere, considerata un’aliquota del 15% che si chiama “sostitutiva” proprio perché sostituisce TUTTE le imposte, IRAP inclusa, laddove ne ricorrano i presupposti soggettivi. L’accusa di non finanziare la sanità non regge.

Ma la progressione è inarrestabile…

Nel recente dibattito il governo ha molto enfatizzato presunti successi nella lotta all’evasione che nel 2023 avrebbe prodotto oltre 24 miliardi di maggiori entrate. Non è così. Le cifre indicate non sono altro che il risultato dell’attività ordinaria dell’amministrazione che rimane costante anno dopo anno intorno a 15-16 miliardi, che è crollato negli anni della pandemia, e ha mostrato un ovvio rimbalzo negli ultimi due anni. Si tratta in gran parte di versamenti diretti, tipo ricalcoli, errori materiali, ecc. che vengono corretti. Del resto, se di vero recupero di evasione si trattasse, gli 80 miliardi di evasione ufficiale, dovrebbero scomparire in pochi anni, anzi sarebbero già dovuti sparire da tempo.

È effettivamente vero che i dati di recupero del 2023, risentono di alcune componenti straordinarie e irripetibili, ma è comunque un beneficio per le casse dello Stato, niente affatto automatico. Invece difetta proprio di logica la contestazione della mancata riduzione dell’evasione, fondata sul fatto che i mitologici 80 miliardi sono sempre là, anno dopo anno. Anche qui – ammesso e non concesso che siano un ammanco realmente aggredibile e non una congettura su basi statistiche perlomeno discutibili – i 15-16 miliardi recuperati annualmente sono una quota dell’evasione che si registra ogni anno, che si ripropone l’anno dopo e che viene nuovamente aggredita dall’attività di recupero. L’attività di contrasto non si rivolge sempre agli stessi 80 miliardi, erodendoli anno dopo anno. Sono tutti flussi annuali.

Concludiamo in bellezza (si fa per dire…)

Concludendo, la situazione è inaccettabile e insostenibile.

E non sarebbe sorprendente se a livello politico o sindacale venisse prospettata una misura estrema, ma comprensibile e giustificabile nella situazione attuale, come la soppressione delle ritenute alla fonte per i redditi di lavoro e pensione.

Tratto direttamente dal manuale “Come si danneggia una modalità di riscossione delle imposte che funziona bene, solo perché ce n’è un’altra che potrebbe funzionare meglio”. Soluzione: peggioriamo l’una e l’altra.

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