Quattro volte sono troppe. E un motivo ci deve pur essere se – in materia di redditometro e indipendentemente dai governi di turno – nel corso di trent’anni si ripropone ciclicamente per l’ennesima volta lo stesso, medesimo film. Questo fa sospettare che il problema sia tecnico, prima ancora che politico.
Il decreto sul redditometro, d’altra parte, pubblicato il 20 maggio scorso nella gazzetta ufficiale, è un decreto-monstre elaborato da tecnici. Nato con le ore contate è stato giustamente fatto abortire a tempo di record, con la sospensione immediata decisa dalla premier. A parte un paio di modifiche formali il testo coincide con quello messo in consultazione il 10 giugno 2021 dal Governo Draghi (vedi qui), testo allora passato inosservato, ma alla fine confermato pari pari nei giorni scorsi.
L’obiettivo era sacrosanto: stanare chi spende più di quanto dichiara. La novità era nel fatto che il cervellone del Fisco pretendeva di calcolare con precisione certosina la spesa globale annua di ciascun cittadino, così da equipararla ai guadagni dell’anno, per poi tassare questi ultimi fino al centesimo, quando superavano il dichiarato.
Ma il decreto era sbagliato. Per quale motivo, a esempio, gli esborsi monetari di un anno debbono per forza collimare con i guadagni dichiarati nello stesso esercizio? E come gestire le conseguenti squadrature e il contraddittorio obbligatorio per centinaia di migliaia accertamenti massivi quantomeno dubbi? A esempio, il caso di chi mantiene la famiglia con soldi dichiarati in anni precedenti sarebbe stato tra quelli condannati ad affidarsi alla buona sorte del doppio contraddittorio preventivo.
Per calcolare la spesa globale presunta il Fisco intendeva rastrellare nell’anagrafe tributaria tutti gli acquisti associati al proprio codice fiscale, a cui andavano aggiunte (calcolate in base ai parametri Istat) le spese non tracciate: non solo gli immobili, quindi, ma anche l’universo mondo dei micro-acquisiti giornalieri, fra cui una gran mole di quisquilie fino a dare peso all’evanescente ticket bus (poche decine di euro per un intero anno!).
Inoltre, per chi non è proprietario, né affittuario di un’abitazione, ma risulti registrato nell’anagrafe dei residenti, oltre al calcolo a forfait di alimentari, bevande, abbigliamento etc., sarebbe stato conteggiato (con presunzione ‘a prezzi Istat’) il fitto figurativo per 75mq, insieme ai consumi per acqua, condominio, manutenzione ordinaria e simili. Il paniere della spesa era di un dettaglio così estremo che avrebbe prodotto solo problemi e nessuna soluzione.
Il rischio maggiore era di mettere pericolosamente nelle mani del Fisco la decisione di sanzionarne dieci, dopo averne pizzicati mille (i dieci magari da scegliere a caso, con criteri burocratici). È quanto accaduto tutte le volte dal 1993 in avanti, sbagliando, sempre e puntualmente, la selezione dei pochi sfigati da perseguire realmente. Tutte le volte è stata questa e solo questa, infatti, la distorsione che ha obbligato i governi di vario colore a precipitarsi d’urgenza con lo stop immediato al provvedimento.
E, invero, il primo redditometro del 1993 dopo qualche anno fu derubricato, con la circolare n. 101 del 1999, a “spunto di indagine”, poi nel 2011 fu frattanto varato il redditest, che poi, però, risultò cestinato quasi di nascosto, dopo 4-5 anni di inutili prove. Per arrivare, infine, prima del quarto stop di questi giorni, al blocco del 2018, disposto addirittura con decreto-legge (un provvedimento ancora una volta media-comandato: si veda l’articolo 10 del decreto Dignità).
Eppure una via praticabile c’è e c’è sempre stata, se si ritrovasse la capacità di buon senso. Una strada proficua, a esempio, sarebbe quella di selezionare, per l’accertamento, solo le maxi-spese sicurissime nel quantum, e che inoltre assicurano uno scarto sul dichiarato sufficientemente elevato da superare i dubbi di attendibilità insiti in qualsiasi calcolo presuntivo.
Mandare avanti questo modello di redditometro avrebbe comportato, inoltre, di vedere convogliate nella stessa affollatissima rete pesci grandi, pesci piccoli e, soprattutto, un numero spaventoso di pesci piccolissimi. In questo modo il sistema andava incontro a un intasamento, poiché nessuno aveva chiarito in partenza cosa fare di quella elefantiaca “massa critica” generata dal decreto, una volta tirate le reti con l’incrocio dei dati.