In Lombardia continuano a esplodere i focolai di una crisi che pensavamo tutti di aver messo alle spalle ma che invece, rischia di riproporsi con un livello di aggressività inedito, che si ritaglia su una congiuntura internazionale aggravata dalla clamorosa miopia del Governo nelle scelte strategiche e nelle politiche industriali.
Il rilancio del lavoro è l’unica condizione per mantenere, in Italia imprese forti e lavoro stabile. Pensare di trattenere, per decreto le aziende, senza preoccuparsi di costruire le condizioni perché questo avvenga o nel peggiore dei casi rivedere le norme in corso d’opera è un insulto a chi, in questi giorni, anche nella nostra Regione, rischia di perdere il posto di lavoro e con esso, la possibilità di immaginare un futuro sereno. Una politica seria si occupa di garantire il futuro programmandolo e non guardando alla prossima scadenza elettorale e gestisce la quotidianità e i reali problemi dei lavoratori costruendo un contesto favorevole al lavoro e all’impresa.
La norma anti-delocalizzazione, contenuta nel Decreto Dignità, invece è una pezza propagandistica inutile, che potremmo apostrofare allo stesso modo in cui Paolo Villaggio, alias Fantozzi, giudicò la corazzata Potëmkin. Ecco perché occorre sbugiardare chi continua, ipocrita e incoerente, a blaterare “prima gli italiani” che, nei fatti, si traduce in chiusure aziendali e licenziamenti collettivi.
In Lombardia stiamo riscoprendo scioperi e presidi fuori dalle fabbriche da parte delle lavoratrici e dei lavoratori che protestano contro le decisioni aziendali di spostare e chiudere le produzioni. A questa emergenza lavoro si somma quella degli infortuni e incidenti sul lavoro che vede la nostra regione tra le prime in Italia per morti sul lavoro da inizio anno. Il tutto, mentre l’esecutivo ha pensato bene di ridurre i contributi Inail. Questo ritorno di crisi ci ripropone anche qui in Lombardia storie di cui non si sentiva la nostalgia, e che sono addolcite solo dall’umanità e la solidarietà che unisce le persone quando si condivide un destino comune, quello di chi discute su come tenere insieme la lotta, alla necessità dello stipendio per portare avanti la famiglia e di chi si commuove alla presenza, timida e potente, dei bambini che accompagnano i genitori nella protesta quasi a consolarli per il senso di colpa nel veder scivolar via la responsabilità di assicurare un futuro ai propri figli.
È ciò che accade nel lecchese, alle lavoratrici e ai lavoratori dell’Husqvarna di Valmadrera, produttrice di articoli da giardinaggio, in presidio permanente, giorno e notte, contro la decisione della propria azienda di cessare la produzione licenziando 81 dipendenti su un totale di 102.
Sempre nella provincia di Lecco, il futuro è molto incerto anche alla Maggi Catene, storica azienda di Olginate che produce catene sia per il settore navale che dell’auto, che ha letteralmente cacciato i propri 53 dipendenti dopo aver dichiarato, a inizio giugno, il fallimento.
A Terno d’Isola, in provincia di Bergamo, i dipendenti della Castfutura, azienda di 85 dipendenti che opera nella componentistica del settore dell’elettrodomestico e del riscaldamento, stanno organizzando scioperi contro l’annuncio dell’azienda di voler spostare, dal 1 ottobre 2019, la produzione in Bulgaria col probabile licenziamento di 23 persone a maggioranza donne.
In provincia di Monza Brianza, a Ronco Briantino, preoccupa molto la situazione della Frigel, azienda che produce refrigeratori per il settore oil & gas e che ha annunciato 29 licenziamenti a seguito di alcune difficoltà in termini di redditività.
Gli imprenditori devono tornare a investire e a esercitare la propria responsabilità sociale nei confronti dei dipendenti e delle comunità in cui le aziende si collocano. Ma ricordiamo ancora i balconi e i titoloni con cui il Governo aveva annunciato un nuovo boom economico e previsto un 2019 bellissimo. Immagini che si scontrano con la dura realtà fatta di troppe difficoltà che, in Lombardia, conta più di 2.000 lavoratrici e lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro e che fa salire il contatore della cassa integrazione arrivato, a livello nazionale, a registrare un pericoloso balzo in avanti del 78% rispetto ad aprile 2018 e del 79% rispetto al mese di marzo. Sul tavolo del Ministero ci sono 160 vertenze aperte, in forte aumento rispetto alle 138 di gennaio, che rischiano di trasformarsi nell’anticamera del licenziamento per una platea di persone che varia da 80.000 a 280.000, a seconda di come si sapranno gestire le diverse crisi.
Con la grande mobilitazione di Cgil, Cisl, Uil il 9 febbraio e quella di sabato scorso a Reggio Calabria e lo sciopero dei metalmeccanici dello scorso 14 giugno, abbiamo voluto dare dei segnali al Governo, serve imboccare subito la strada degli investimenti su industria e lavoro, l’unica in grado di dare prospettive al Paese per scongiurare il declino industriale e sociale. Bisogna dare segnali all’Italia sana che lavora e paga le tasse, non agli evasori e furbi. L’esecutivo invece continua a mortificare l’Italia del lavoro assistendo distratto, e con le braccia incrociate, dietro patetiche dirette Facebook e inutili cinguettii.