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Antitrust

Vi racconto forze, sfide e problemi della Grande distribuzione

Il punto sulla Grande distribuzione (Gdo) nell'approfondimento di Mario Sassi

 

Walter Veltroni indica nelle celebrazioni post covid, tra gli eroi silenziosi, le cassiere dei supermercati. Non è una novità ma, a mio parere, il rischio è che si replichi una retorica fine a se stessa in mancanza di una strategia (anche sindacale) sul lavoro e sull’impegno di chi si è trovato a reggere l’urto iniziale nel lockdown e quindi sul valore economico e professionale del personale di vendita nella Grande Distribuzione.

Il periodo che speriamo di aver messo alle spalle ci ha mostrato due aspetti del problema. Il primo riguarda la capacità delle imprese della GDO di reggere l’urto della pandemia. Hanno gestito l’assalto di clienti vecchi e nuovi preoccupati di costruirsi scorte spesso inutili, non hanno fatto trovare vuoti i propri scaffali e quindi hanno saputo regolare i flussi logistici pur in tempi difficili e hanno saputo affrontare tensioni e rischi per l’ordine pubblico anche fuori dal punto vendita. E ultimo ma non ultimo hanno potuto contare su di una organizzazione aziendale efficace pur tra costi imprevisti indotti da decisioni stravaganti esterne al comparto, aumento della morbilità del personale, tensioni con i clienti e insufficienze del contesto esterno.

Se non ci fosse stata questa impostazione, rigida ma chiara, in quel contesto, avremmo vissuto ben altre situazioni e tensioni. Soprattutto in aree critiche dal punto di vista sociale.

La domanda per chi opera nel settore non è però se le commesse sono state vere eroine o se lo hanno fatto “per non perdere il lavoro” come sostiene Veltroni. La domanda è semmai cosa ci ha insegnato, sul lavoro nella grande distribuzione, il lockdown. E cosa possiamo e dobbiamo fare per voltare pagina. Altrimenti è solo retorica che rischia di essere fastidiosa quanto inutile.

Cosa aspetta il settore della GDO.

Sul tavolo, nei prossimi mesi, ci sono ben quattro contratti nazionali scaduti per lo stesso comparto. Senza parlare dei contratti pirata. L’ultima tornata è stata caratterizzata da un inseguimento al ribasso con l’unico scopo di comprimere (o non aumentare) il costo del lavoro. Se a questo aggiungiamo il declino della contrattazione aziendale, l’incremento del part time involontario e dei tempi determinato,  il cerchio si chiude.

Se ci dovessimo fermare qui nell’analisi ne dovremmo dedurre che il personale di vendita, la cosiddetta “fanteria”, dovrà continuare a costare il meno possibile e quindi che non è affatto centrale il suo riconoscimento per le insegne della Grande Distribuzione. Una pacca sulle spalle, e via. Non potrà essere così. Almeno per le aziende più innovative e performanti.

Molte imprese, al loro interno, hanno cercato risposte innovative sulle loro risorse umane però i contratti nazionali sono stati costruiti in altra epoca e sono, contemporaneamente, causa ed effetto di quel taylorismo organizzativo che assegna mansioni semplici e ripetitive in un contesto temporale preciso.

Per il contratto nazionale poco importa il cliente e le sue esigenze, l’impegno dei singoli, il risultato del punto vendita. Uno vale uno. Certo c’è la formazione finanziata ma la sostanza  non cambia.

È chiaro che servirebbe un intervento strutturale sul cuneo fiscale ma, con questa tipologia di contratti nazionali resta l’ingessatura complessiva, l’elevato costo del lavoro e la necessità di tenerlo sotto controllo pena l’equilibrio economico dei diversi punti  vendita e quindi del settore. Soprattutto in previsione di possibili aumenti automatici (pur defiscalizzati) definiti e progettati dal Governo per favorire la sigla dei CCNL scaduti.

Il lockdown ha però confermato che i lavoratori non sono tutti uguali. Che il risultato può essere raggiunto anche sviluppando professionalità, differenziando e riconoscendo il contributo individuale, formando le persone e coinvolgendole sugli obiettivi aziendali puntando anche su quote variabili della retribuzione. Ecco perché l’intero strumento andrebbe riorientato radicalmente. Ai contratti  in scadenza si può rispondere negando l’evidenza o guardando con lungimiranza al futuro. Ma è solo intervenendo su questo punto che la retorica un po’ strumentale del “viva le cassiere” può trovare la sua concreta evoluzione. In altre parole occorrerebbe adeguare lo strumento del CCNL per continuare quel processo di cambiamento delle figure professionali nei punti vendita.

Obiettivo difficile da raggiungere se continua l’inutile competizione tra le sigle titolari dei diversi CCNL. Negli anni che hanno caratterizzato il rinnovo precedente il settore era alla ricerca e alla conferma di specifiche identità e di rappresentatività reale. Da allora è però cambiato tutto.

Oggi la GDO ha bisogno di unità e di visione. Per creare condizioni utili alle riorganizzazioni/concentrazioni e alle evoluzioni del comparto stesso, per sperimentare i cambiamenti necessari, per mettere in campo una formazione orientata al cambiamento del personale di vendita e per costruire utili politiche attive nel comparto che accompagnino questi cambiamenti. E ha infine bisogno di rappresentanti dei lavoratori  che possano crescere nell’interlocuzione con le imprese, cambiare loro stessi  partecipando al riorientamento dell’intero settore.

È ovvio che anche il sindacato di categoria deve accettare concretamente questa sfida. Rinchiudersi nelle rispettive sigle o insegne o seguire le proprie associazioni in una competizione infinita con presunti avversari che non esistono più in questo campo serve a poco.

Occorrerebbe ragionare sui punti di convergenza possibile mettendo in comune ciò che ha senso e lasciando le specificità di associazione, di territorio o di insegna all’interno di bilanciamenti che devono trovati proprio dentro  un contratto nazionale unitario che andrebbe ridisegnato insieme. Soprattutto pensando al welfare ma anche alle risorse economiche per le rispettive parti sociali messe a disposizione dai contratti nazionali stessi.

Per queste ragioni alla facile retorica preferisco suggerire una assunzione di responsabilità che, a partire dalle singole insegne e dai lavoratori coinvolti, raggiunga le rispettive associazioni e che dia vita ad un contratto nazionale innovativo che sappia riconoscere concretamente il valore del lavoro e dell’impresa.

 

Articolo pubblicato su mariosassi.it

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