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Antitrust

Supermercati, che cosa sta succedendo e che cosa cambierà

Grande distribuzione e Coronavirus. Fatti, numeri e approfondimenti

Ci sono circa 800mila persone al lavoro in Italia per garantire il funzionamento dei negozi che possono restare aperti in Italia, ben mezzo milione di esercizi commerciali e dei servizi alla persona. Fra questi, più di 230mila riguardano il settore alimentare, secondo i dati raccolti da Unioncamere e InfoCamere sulla base del Registro delle imprese delle Camere di Commercio.

Il maggior numero di punti vendita di prodotti alimentari si trova in Campania (quasi 33mila con 37mila dipendenti), che vanta la maggior rete a livello nazionale di piccoli esercizi commerciali al dettaglio (oltre 19mila), di minimarket (quasi 11mila) e di negozi di prodotti surgelati (633).

Di “taglia” maggiore sono invece gli oltre 25mila esercizi alimentari della Lombardia, seconda per diffusione di punti vendita di questo settore, al cui interno lavorano oltre 82mila dipendenti. Non a caso questa regione vanta il maggior numero di ipermercati attivi nel Paese (212 con 23mila dipendenti), ai quali si affiancano 2.100 supermercati, in cui lavorano 38mila persone.

Sfiorano, invece, quota 47mila e i 96mila dipendenti le farmacie, parafarmacie e i punti vendita dedicati agli articoli sanitari e per l’igiene ai quali i provvedimenti di contrasto al coronavirus chiedono di restare aperti al pubblico. Eppure, nonostante siano considerate attività essenziali, i lavoratori lamentano scarse misure di prevenzione, mancanza di dispositivi di sicurezza e orari di apertura al pubblico troppo lunghi.

È successo ad esempio a Torino dove in un Carrefour aperto 24 ore, 35 dipendenti a inizio turno delle 6 sono rimasti fuori a protestare perché mancavano le mascherine, anche quelle senza filtro. “L’azienda ha il dovere di fornire dispositivi di protezione adeguati. Abbiamo protestato anche per la scarsa sanificazione degli ambienti di lavoro e perché l’azienda si ostina a tenere aperto h24”, spiega Ettore Cresto, delegato della Filcam Cgil di Torino.

Le associazioni sindacali hanno chiesto una apertura di massimo 12 ore al giorno e la chiusura domenicale, come avviene alla Coop e per altre catene di supermercati legati a Confcoperative, ma altre associazioni di settore non si sono adeguate. “Eppure si semplificherebbe molto anche il rifornimento degli scaffali, che potrebbe avvenire di notte senza l’affollamento dei clienti – sottolinea Cresto – invece ci troviamo solo con delle mascherine di carta che non bastano mai”.

Intanto, in attesa di provvedimenti del governo che potrebbero essere ancora più restrittivi, in alcune regioni il prossimo week end al supermercato si potranno acquistare carne, frutta e verdura, formaggi, pasta, latte ma non cancelleria, intimo, giocattoli, libri. La grande distribuzione si sta adeguando alla normativa che prevede la vendita solo di generi di prima necessità, quindi sta recintando con nastri adesivi le corsie vietate.

Ma è il caos. “L’emergenza sta avendo forti impatti sulle imprese della Dmo, sia alimentari che non alimentari. Le prime hanno dovuto gestire un’improvvisa impennata di acquisti che però è destinata ad essere seguita da una successiva e progressiva riduzione a compensazione; le seconde stanno registrando pesanti cali di fatturato per la poca frequentazione dei negozi da parte dei cittadini, situazione che non si sa per quanto tempo potrà durare – spiega Federdistribuzione – inoltre gli interventi delle amministrazioni locali, come la chiusura delle superfici non alimentari nei centri commerciali nel week end, sono destinate ad aggravare questo quadro”.

Il presidente dell’associazione, Claudio Gradara in un tweet sottolinea che nei supermarket “le persone trovano beni alimentari e della quotidianità. Bisogna che possano comprarli senza restrizioni: occorre maggiore chiarezza in un momento così delicato”.

Anche perché rendere non accessibili reparti di merci che costituiscono un acquisto abituale e indispensabile riduce gli spazi calpestabili utili per il mantenimento delle distanze previste. E anche i manager che gestiscono le grandi catene stanno lamentando problemi applicativi perché, dicono, che molto spesso non esistono aree riservate ai prodotti non food e questa normativa complica ancora di più il lavoro in un momento già molto difficile. In attesa di chiarimenti, ognuno sostanzialmente fa come vuole, soprattutto sugli orari di apertura e sui festivi, anche se comunque ormai sarà difficile trovare ipermercati aperti di domenica pomeriggio perché quasi tutti hanno limitato alla mattina.

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