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Europa Germania

Vi racconto che cosa i giornaloni non dicono su bail-in, Germania e ricatti

Ricatti, ricattini e amnesie (in Italia) sul ruolo di Francoforte, Berlino e Bruxelles. L'approfondimento di Giuseppe Liturri

Mercoledì pomeriggio, il Ministro dell’Economia Tria era in audizione presso la Commissione Finanze del Senato. Non era un evento affatto casuale, infatti, il Presidente della Commissione Bagnai, aveva per la prima volta attivato l’art. 4 della Legge 234 del 2012, che prevede la consultazione ed informazione del Parlamento, da parte del Governo, in occasione delle riunioni del Consiglio Europeo. Un modo efficace e formale per collegare il nostro Parlamento ai decisivi incontri europei e non lasciare alle veline, opportunamente pilotate, il ruolo di protagoniste dell’informazione.

In quella sede, Tria ha detto, senza tanti giri di parole, ciò che è già, dal 21 dicembre 2017, agli atti ufficiali del Parlamento. L’approvazione del bail-in a fine dicembre 2013 avvenne in un clima di urgenza e sotto la minaccia che il fallimento di quei negoziati mettesse in difficoltà il nostro Paese sui mercati finanziari. Basta rileggersi il resoconto stenografico dell’audizione del Ministro dell’Economia dell’epoca, Saccomanni, per avere conferma che il termine usato da Tria (ricatto, peraltro attribuito ad una dichiarazione dello stesso Saccomanni) è del tutto coerente con quanto è agli atti.

Già in un’intervista apparsa sul Corriere del 10 giugno 2017, anche il Governatore Visco rimproverava sostanzialmente a Saccomanni (senza mai nominarlo) di essersi fatto fregare dai tedeschi che gli avevano promesso l’avvio contemporaneo di bail-in ed assicurazione comune sui depositi, senza poi attuarla.

Ma quanto aveva dichiarato da Saccomanni il 21 dicembre 2017 nel corso dell’audizione presso la Commissione d’inchiesta sul sistema bancario, sotto certi aspetti, è ancora più dirompente delle parole di Tria.

In quella sede, Saccomanni, pur non pronunciando mai la parola ‘ricatto’, affermò che il negoziato andava chiuso in fretta e l’Italia non disponeva di alcun appoggio negli altri Paesi per fare passare una versione del bail-in più morbida e, soprattutto, non retroattiva. La posizione della Germania era egemone e premeva verso l’adozione di una forma di bail-in estesa a tutte le passività bancarie. Saccomanni confermò che quella trattativa si svolse sotto la minaccia della reazione dei mercati verso un ritardo o, peggio, un fallimento dei negoziati. I difetti di quei provvedimenti erano noti e dettagliatamente esposti anche da Banca d’Italia ma il massimo che Saccomanni riuscì a raccogliere fu una pacca sulla spalla (“…sı`, in effetti voi avete ragione, questa situazione rischia di essere difficile da gestire, pero`… Lascio i puntini di sospensione per non dire cose piu` sgradevoli…”).

Ma c’è un altro, a suo modo ancora più clamoroso documento che rende plausibile il clima di ricatto in cui si svolse quel negoziato. In una lettera del 13 dicembre 2013 al Presidente dell’Ecofin, Saccomanni esprimeva molte perplessità e concludeva dicendo che non bisognava correre per creare un’unione bancaria imperfetta ma piuttosto prendersi il tempo necessario per averne una ben funzionante. Si sa com’è finita. Soli 5 giorni dopo, Saccomanni commentava trionfante su twitter “con l’Unione Bancaria risparmiatori meglio tutelati, possibilità più credito e costo denaro più basso”. Cosa gli ha fatto cambiare idea in soli 5 giorni? Accettando regole che tutti, Banca d’Italia in testa, sapevano essere letali per il nostro sistema bancario?

Ma ciò che stupisce è il trattamento riservato oggi dai media italiani alla dichiarazione di Tria che fa il paio con quello riservato a dicembre all’audizione di Saccomanni. Anziché valorizzare la situazione di permanente minaccia che caratterizza tutte le trattative italiane in Europa, a partire da quella famosa notte del novembre 1996 che portò alla definizione del cambio Lira/Marco Tedesco a 990 da cui scaturì il cambio Euro/Lira a 1936,27, tutti i media hanno derubricato la dichiarazione di Tria a mero incidente. In questo aiutati dal goffo comunicato serale del Mef che, su Twitter ha addirittura allegato al messaggio il Ministero delle Finanze tedesco ed il portavoce del Governo, quasi a blandire pietà.

Ai nostri media non interessa approfondire la situazione di strutturale divergenza di interessi tra il blocco tedesco e l’Italia in particolare, che si riscontra ad ogni riunione dell’Eurogruppo, dell’Ecofin o del Consiglio Europeo. Tale situazione finisce quasi sempre per risolversi in un’adesione incondizionata alle richieste tedesche o franco-tedesche, che impongono il loro potere contrattuale e fanno leva sul potere disciplinante dei mercati e della Bce. Se avessero avuto interesse, avrebbero enfatizzato a suo tempo quanto scritto da Varoufakis nel suo libro ‘Adulti nella stanza’. In circa 500 pagine di dettagliate descrizioni delle riunioni di Eurogruppo ed Ecofin da febbraio a luglio 2015 sono rivelati i metodi intimidatori usati in quelle riunioni dei quali, non a caso, poco o nulla è mai trapelato sulla grande stampa.

Uno dei passaggi di tale libro riguarda proprio l’Italia e Padoan. Quando questi chiese a Schauble cosa fosse possibile fare per attenuare la sua aggressività, si sentì suggerire la riforma del lavoro poi nota come jobs act. Quando quella legge passò in Parlamento, si sciolse il gelo tra i due. Padoan a quel punto suggerì a Varoufakis ‘perché non fai anche tu qualcosa del genere?’.

Di fronte a questi eventi decisivi per le sorti del nostro Paese, che avrebbero dovuto suscitare un dibattito a reti e giornali unificati, la desolante risposta arrivata dai nostri media è stata quella del conte zio di manzoniana memoria: “sopire, troncare, padre molto reverendo, troncare, sopire…”.

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