Si sbloccano terza e quarta rata del PNRR ed è il giorno dei toni trionfanti e delle contestazioni. Toni comprensibili perché l’argomento è ad alta tensione e la corsa ad intestarsi successi o contestare insuccessi fa parte della normale vita politica.
Ciò che non è normale è la quasi totale mancanza di un’analisi più dettagliata e meno superficiale di quanto accaduto.
Tale analisi però conduce alla conclusione che lunedì non arriverà nessun bonifico da Bruxelles e sarà così per almeno 4 settimane, salvo complicazioni che potrebbero sorgere per strada e di cui qui vi daremo conto. Per cui sono fuori luogo sia i toni da vittoria (di Pirro) della maggioranza e sia i rilievi (infondati) dell’opposizione.
I fatti sono i seguenti. Il governo Meloni ha presentato la richiesta di pagamento della terza rata per 55 obiettivi e traguardi il 30 dicembre 2022. Da allora la Commissione si è presa ben 7 (dico sette!) mesi per quella che è ancora una positiva valutazione preliminare, giunta solo ieri. Di norma, la Commissione avrebbe dovuto concludere questa valutazione in due mesi. Ce ne solo voluti sette perché sono arrivati al pettine tutti i nodi irrisolti con cui è nato il PNRR. La discrezionalità di valutazione prima di tutto. Perché gli obiettivi ed i traguardi su cui la Commissione ha ora storto il naso ed ha tenuto bloccato tutto in un estenuante andirivieni di approfondimenti con Palazzo Chigi, erano tutti nero su bianco già nel piano iniziale approvato dalla Commissione ed adottato addirittura dal Consiglio Ecofin nel 2021 e poi erano stati per buona parte già conseguiti, almeno a parole, dal governo Draghi. Allora, delle due l’una, o l’hanno a suo tempo approvato senza leggerlo (cosa comprensibile, d’altronde era stato scritto dal Migliore), o ora hanno cambiato idea e ciò che gli andava bene allora non va più bene oggi. Il caso dei Piani Urbani Integrati contenenti, tra l’altro opere di ammodernamento degli stadi di Firenze e Venezia è emblematico.
Dopo 7 mesi, il compromesso a cui si è giunti è stato lo spostamento di un obiettivo della terza rata relativo alle residenze per studenti, in un traguardo della quarta che consiste nella stipula dei contratti di appalto per quei lavori. Di conseguenza la terza rata oggi valutata positivamente scende a 18,5 miliardi e la quarta rata salirà a 16,5 miliardi.
Questa modifica, unitamente ad altre, significa però che il piano è stato modificato e quindi deve ripassare per una decisione di esecuzione del Consiglio Ecofin, di norma attesa entro 4 settimane. Solo dopo questa decisione l’Italia potrà richiedere il pagamento della quarta rata ed allora ripartirà la stessa giostra che abbiamo visto in funzione per la terza rata (2 mesi per il la valutazione preliminare della Commissione…).
Ma la vera forca caudina attraverso cui dobbiamo ancora passare per ricevere il bonifico di 18,5 miliardi è il parere del Comitato economico finanziario (CEF). Vincolante per la Commissione, prima di poter adottare la decisione di pagamento a favore di Roma. Si tratta di un organo consultivo previsto dall’articolo 134 del TFUE composto da alti funzionari delle amministrazioni nazionali di tutti gli Stati membri, delle banche centrali, della BCE e della Commissione. Solo dopo questo parere la Commissione può adottare la decisione di pagamento. Alla luce di questo ulteriore importante ostacolo sulla via (crucis) che conduce all’esecuzione del bonifico, si giustifica il meticoloso scrutinio della Commissione durante questi lunghi 7 mesi. Infatti la Commissione teme come la peste eventuali rilievi (“gravi scostamenti dal soddisfacente conseguimento degli obiettivi”) da parte anche di uno solo dei membri del CEF – che deve deliberare all’unanimità – che la costringerebbe al blocco del pagamento ed all’attesa della valutazione della controversia a livello di Consiglio Europeo. Sarebbe un’umiliazione intollerabile per Ursula Von der Leyen e i suoi Commissari, oltre che un significativo danno per l’Italia. Tale eventuale procedimento dovrebbe concludersi, di norma, entro 3 mesi, ma certe cose si sa come iniziano e non si sa mai come finiscono perché si entrerebbe nella tonnara del tira e molla e delle complesse dinamiche negoziali che caratterizzano i rapporti intergovernativi a livello di Consiglio Europeo. Allora è possibile che “qualcuno” alzi il ditino e sussurri all’orecchio della Meloni che farebbe meglio a ratificare il Mes, se non vuole avere grane con il parere del CEF.
È questo l’ulteriore passaggio che nessuno ha il coraggio di ammettere e che, di fatto, ha condizionato l’operato della Commissione in questi mesi.
Potrebbe non accadere nulla e filare tutto liscio, ma è pur sempre una potenziale pistola poggiata sul tavolo, pronta all’uso in caso di bisogno.
Detto questo, risultano fuori luogo e malposti anche i rilievi dell’opposizione. Infatti è proprio la difficile esperienza di questi sette mesi che ha costretto il ministro Raffaele Fitto ad annunciare una corposa revisione del PNRR che dovrà partire per Bruxelles entro il 31 agosto. I tecnici di Roma hanno tagliato investimenti per 16 miliardi che, puramente e semplicemente, o non sarebbero stati completati entro il 30 giugno 2026 (cioè domani, trattandosi di opere pubbliche) o sarebbero stati considerati inammissibili dalla Commissione. Cade così miseramente un’altra affermazione di Mario Draghi che, di fronte, all’ipotesi di modifica del PNRR, disse che “ormai è tutto bandito, resta poco da rivedere”. 16 miliardi non sono esattamente pochi.
Quei 16 miliardi (oltre ai 3 aggiuntivi del RepowerEU) andranno a finanziare qualcosa di fattibile e forse economicamente più efficace, cioè gli investimenti delle imprese per l’efficientamento energetico i cui dettagli sono tutti ancora da scoprire.
Chi oggi si lamenta, a torto, dei presunti tagli del governo non vuole vedere che la longa manus di quei tagli parte da Bruxelles e, se certi investimenti sono esclusi, è colpa del Pnrr – infarcito in corsa di qualsiasi cosa presente nei cassetti delle amministrazioni pubbliche – e non del governo che ne prende solo atto.
Questi sono i fatti, per tabulas. Per tutto il resto, c’è la carta stampata.