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Pnrr, perché draghiani e Bruxelles fanno gli gnorri sullo stadio di Firenze?

Tutti i dettagli della vicenda che ora sta facendo storcere il naso alla Commissione europea - ossia tra gli altri la riqualificazione dello stadio di Firenze - erano noti, discussi ed approvati dagli organi nazionali sin dallo scorso aprile, visto il decreto firmato dai ministri Franco e Lamorgese... L'approfondimento di Giuseppe Liturri

 

Qualcuno ricorda i nomi del ministro dell’Economia e dell’Interno in carica lo scorso 22 aprile 2022?

Per chi avesse la memoria corta, ricordiamo che si tratta di Daniele Franco e di Luciana Lamorgese.

Ricordiamo questa data per entrare nei dettagli di un caso che promette di risultare emblematico per descrivere le difficoltà nell’attuazione degli investimenti finanziati dal PNRR, un marasma da fare invidia alla torre di Babele.

Perché, come vedremo, qui delle due, l’una: o la Commissione ci sta mettendo del suo nel pugnalare alle spalle il governo Meloni o la tanto decantata spedita e risoluta azione del governo Draghi nel conseguire obiettivi e traguardi del PNRR si sta rivelando una corsa frettolosa che ha partorito gattini ciechi.

Ci riferiamo alla richiesta di pagamento di 21,8 miliardi (terza rata del PNRR, 19 miliardi al netto dell’anticipo già incassato), avanzata a fine dicembre dal governo Meloni alla Commissione. 55 obiettivi e traguardi, di cui il ministro Raffaele Fitto annunciò orgogliosamente il conseguimento, dei quali 25 erano stati già conseguiti dal governo Draghi e 30 furono conseguiti in poche settimane dal governo sostenuto dalla maggioranza parlamentare neoeletta.

Però quello che avrebbe dovuto essere un esame tutto sommato routinario da parte della Commissione, si sta trasformando in un calvario senza fine. I due mesi previsti dalle norme per l’emissione della valutazione preliminare, sono diventati dapprima tre e, con l’ultimo rinvio, quattro.

Tre appaiono i punti di frizione tra Roma e Bruxelles: concessioni portuali, impianti di teleriscaldamento e piani urbani integrati. E proprio su quest’ultimo punto vogliamo soffermarci. Il traguardo che il governo italiano doveva superare era quello della presentazione, entro il 31 dicembre 2022, del piano degli investimenti per i progetti di rigenerazione urbana nelle aree metropolitane. Una misura che vale 2,5 miliardi, gestita dal ministero dell’Interno, che “prevede una progettazione urbanistica partecipata, con l’obiettivo di rigenerare, rivitalizzare e valorizzare grandi aree urbane degradate, con particolare attenzione alla creazione di nuovi servizi a disposizione della cittadinanza e alla riqualificazione dell’accessibilità dei servizi stessi e della dotazione infrastrutturale, trasformando così i territori più vulnerabili in smart cities e realtà sostenibili”, per il perseguimento delle seguenti finalità:

– favorire una migliore inclusione sociale riducendo l’emarginazione e le situazioni di degrado sociale;

– promuovere la rigenerazione urbana attraverso il recupero, la ristrutturazione e la rifunzionalizzazione ecosostenibile delle strutture edilizie e delle aree pubbliche, l’efficientamento energetico e idrico degli edifici e la riduzione del consumo di suolo anche attraverso operazioni di demolizione e ricostruzione finalizzate alla riduzione dell’impermeabilizzazione del suolo già consumato con modifica di sagome e impianti urbanistici;

– sostenere progetti legati alle smart cities, con particolare riferimento ai trasporti ed al consumo energetico.

Lo sforzo progettuale è stato notevole. Dal Viminale il 6 dicembre 2021 hanno emanato il decreto per l’individuazione dei progetti, le Città Metropolitane si sono messe al lavoro, hanno proposto i loro progetti, li hanno discussi, li hanno modificati in numerosi incontri con il Ministero e l’ANCI e li hanno presentati definitivamente entro la scadenza del 22 marzo. E così finalmente il 22 aprile Franco e Lamorgese hanno potuto firmare il decreto con cui sono stati selezionati i 31 progetti e sono state assegnate le risorse ai soggetti attuatori.

Il decreto dispone che il termine per l’aggiudicazione dei lavori sia il prossimo 31 luglio. Praticamente domani. Ma due mesi sono già stati persi per i “dubbi” della Commissione.

In quel decreto le maggiori quattordici Città Metropolitane del Paese si sono ingegnate al meglio per coniugare esigenze del territorio ed i parametri stringenti imposti dalla Commissione ed hanno accuratamente motivato le loro scelte. Tra questi, Firenze ha presentato un Piano (“Sport e Benessere – Next Re_Generation Firenze 2026”) per 71,6 milioni, tra cui spiccano 55 milioni per la sola città di Firenze.

Nel piano si legge testualmente che “progetto cardine è la riqualificazione dello stadio Artemio Franchi nel Comune di Firenze, intervento compreso nel più ampio disegno di rigenerazione dedicata allo sport nel quartiere Campo di Marte tramite il restyling dell’impianto sportivo e l’inserimento di nuove funzioni destinate ai cittadini anche nei giorni in cui non si disputano gare (pub, ristoranti, nido, auditorium, …).

Quindi tutti i dettagli della vicenda che ora sta facendo storcere il naso alla Commissione, erano noti, discussi ed approvati dagli organi nazionali sin dallo scorso aprile. Quei soldi erano per lo stadio ed allora andava bene a tutti. E non ci si venga a dire che, con tutte le cabine di regia, task force, segreterie tecniche, unità di missione, servizi centrali e non, qualcuno non abbia chiamato Bruxelles per comprendere preventivamente la coerenza dei progetti presentati con obiettivi e finalità del PNRR.

Una barzelletta a cui non possiamo credere.

Siccome crediamo che quel lavoro sia stato fatto a braccetto tra Roma e Bruxelles – a meno di non assegnare la patente di incompetenti e sprovveduti a Draghi ed ai suoi tecnici – allora l’attesa della Commissione nello sbloccare quei fondi avvalora le peggiori ipotesi circa la buona fede e l’eccesso di discrezionalità che si sono arrogati a Bruxelles nel valutare ogni rata del PNRR.

Questo è il disastroso ginepraio in cui ci siamo infilati per un piatto di lenticchie, prese pure a debito.

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