Usa e Cina hanno annunciato “progressi significativi” dopo due giorni di colloqui a Ginevra tra il Segretario al Tesoro Scott Bessent e il vicepremier He Lifeng, definendoli un “primo passo importante” verso la risoluzione delle tensioni commerciali.
Nel comunicato congiunto di lunedì è stata annunciata una riduzione temporanea dei dazi: gli Stati Uniti li abbasseranno sulla maggior parte delle importazioni cinesi dal 145% al 30%, mentre la Cina porterà i propri dal 125% al 10%. L’intesa, che prevede tre mesi di ulteriori negoziati, istituisce un meccanismo permanente di dialogo. Resta però incerto se esista un obiettivo condiviso, soprattutto dopo le richieste cinesi di eliminare tutti i dazi introdotti quest’anno.
La Fed, come da attese, ha lasciato invariati i tassi e attende chiarezza sulla politica tariffaria prima di decidere eventuali tagli. Intanto, l’economia mostra segnali misti: fiducia di imprese e consumatori in calo, occupazione solida, ma timori di recessione in aumento. I mercati continuano a prezzare tagli dei tassi da luglio, ma per ora la Fed resta prudente e reattiva, non proattiva.
L’umore del mercato azionario si è mantenuto discreto anche la scorsa settimana, con un ulteriore rientro della volatilità. L’attenzione resta concentrata sull’evoluzione della guerra tariffaria. Stati Uniti e Regno Unito hanno annunciato un accordo quadro, ma il segnale più rilevante è stata la de-escalation, almeno a parole, da parte di Trump, che ha ribadito la volontà della Cina di arrivare a un’intesa e ha dichiarato che i dazi al 145% verranno ridotti. Questo clima di distensione è stato il principale motore del recente rimbalzo degli asset rischiosi, sostenuto anche dal re-leveraging delle strategie sistematiche, dalla ripresa degli acquisti da parte degli investitori retail e dal ritorno dei buyback societari.
Nella seconda parte alcune considerazioni sulla curva dei rendimenti, sul dollaro, l’oro e l’azionario alla luce del sondaggio dell’Associazione Americana degli Investitori Individuali.
1) Nell’attesa dei colloqui del week end a Ginevra alcune notizie dalla Cina hanno contribuito a influenzare i mercati. Durante la festività del 1° maggio, la spesa turistica domestica è cresciuta dell’8% su base annua, confermando una buona tenuta dei consumi interni. Tuttavia, il PMI servizi Caixin è sceso a 50,7, minimo da 7 mesi e sotto le attese, segnalando un rallentamento dell’attività economica a causa dell’impatto delle tariffe americane. I nuovi ordini sono calati e le aziende stanno riducendo il personale. Alcuni analisti hanno tagliato le previsioni di crescita del PIL al 4,2%, sotto il target del 5%, interrogandosi sulla capacità del governo di stimolare i consumi per compensare la debolezza dell’export…
2) …ma subito le Autorità cinesi hanno accelerato sullo stimolo monetario in risposta alla guerra commerciale. La Banca centrale ha tagliato il tasso sui repo a 7 giorni all’1,4% e ridotto il coefficiente di riserva obbligatoria di 50 punti base, liberando circa 1.000 miliardi di yuan di liquidità. Previsti anche ulteriori tagli ai tassi su strumenti di rifinanziamento, incentivi al credito per tecnologia, consumi e assistenza agli anziani. Pechino punta a sostenere liquidità, consumi interni e settori strategici in vista di un possibile crollo dell’export.
3) Ad aprile le esportazioni cinesi sono cresciute dell’8,1% su base annua, oltre le attese ma in rallentamento rispetto a marzo. Il crollo delle spedizioni verso gli Stati Uniti (-21%), a causa dei nuovi dazi di Trump, è stato in parte compensato dal forte aumento dell’export verso India, sud-est asiatico (+20%) e Unione Europea (+8%). Le importazioni sono calate dello 0,2% per il secondo mese consecutivo, portando il surplus commerciale a 96 miliardi di dollari. In sintesi, il crollo dell’export verso gli Usa riflette solo l’impatto iniziale dei dazi, destinato ad aggravarsi se non si arrivasse ad un accordo ragionevole nei prossimi tre mesi. Con le tariffe eccessivamente elevate gli scambi tra le due economie rischierebbero un progressivo collasso, con forti ricadute su imprese e consumatori globali.
4) Più a lungo la Fed manterrà un atteggiamento incerto sulla direzione futura della politica monetaria, maggiori saranno le divergenze tra gli operatori su cosa aspettarsi. Questo richiede un approccio di trading più tattico, in vista della probabile continuazione dello steepening della curva, ovvero l’ampliamento dello spread tra tassi a lungo e a breve termine. L’ultima riunione della Fed ha visto una reazione contenuta sui Treasury a 2 anni e una volatilità in calo: l’indice MOVE è tornato sotto i livelli precedenti al 2 aprile, in apparente contrasto con uno scenario macro ancora incerto. Il mercato prezza ancora 100 punti base circa di tagli entro maggio 2026, ipotizzando un deterioramento più rapido del mercato del lavoro rispetto alla dinamica inflattiva. Tuttavia, Powell ha mostrato meno preoccupazione rispetto al comunicato ufficiale, suggerendo una Fed pronta a restare ferma più a lungo. Intanto, con la scadenza del suo mandato tra un anno, è iniziata di fatto la corsa alla sua successione: alcuni membri potrebbero assumere toni più dovish anche per ragioni politiche, favorendo un’inclinazione ancora più ripida della curva. Tuttavia, eventuali divergenze tra Powell e alcuni membri del board potrebbero far aumentare la volatilità sul tratto breve.
5) Il dollaro resta inserito in un trend di indebolimento di lungo periodo, ma dopo il forte calo iniziato a marzo, innescato dalle tensioni commerciali globali, ha recuperato parzialmente. Ora l’attenzione si sposta sui colloqui Usa-Cina: le divergenze restano profonde, ma se si ammorbidisse la situazione, il biglietto verde potrebbe beneficiarne, anche in virtù del posizionamento particolarmente corto degli operatori, soprattutto contro le valute emergenti. Si tratterebbe probabilmente di un semplice rimbalzo tecnico. Con l’adozione di dazi strutturalmente più elevati, è plausibile che nel medio termine il deficit commerciale americano si contragga, riducendo una delle principali fonti di domanda strutturale di dollari e confermando così la traiettoria ribassista di lungo periodo. Diverso il discorso per l’oro: pur restando inserito in un trend rialzista di fondo, potrebbe soffrire nel breve se il dollaro rimbalzasse, vista la configurazione tecnica attuale che lo rende vulnerabile a prese di profitto.
6) Il grafico dell’indice del dollaro conferma l’interruzione, almeno temporanea, del trend ribassista. Si osserva una violazione del canale discendente iniziato a febbraio, segnale tecnico rilevante che indica un possibile cambiamento di direzione. A rafforzare questa ipotesi, anche il superamento della media mobile a 21 giorni. Quella a 50 giorni resta distante e rimane inclinata negativamente, suggerendo che il recupero, per ora, è solo parziale e necessita di ulteriori conferme.
7) Conferme necessarie anche nel cambio contro euro, come evidenziato dal grafico. In questo caso, la media mobile a 50 giorni si trova poco sopra quota 1,10. Perché il movimento possa configurarsi come qualcosa di più di un semplice rimbalzo tecnico dovrebbe mostrare maggiore forza..
8) Passando all’azionario, colpisce il dato di sentiment rilevato dall’Associazione Americana degli Investitori Individuali: per undici settimane consecutive oltre il 50% degli intervistati si è dichiarato pessimista sull’andamento del mercato, una serie storicamente inedita. Questo livello di negatività così persistente, pur non garantendo un’inversione di tendenza imminente, suggerisce che il posizionamento ribassista sia ormai molto affollato. Quando il consenso è così estremo, anche solo l’assenza di cattive notizie può innescare un rimbalzo, come si è visto nelle ultime settimane. Perché il recupero prosegua, però, il mercato ha ora bisogno di segnali positivi e concreti sul fronte tariffario.