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Perché l’Ue fa le pulci all’e-commerce di Amazon

La Commissione europea ha chiesto ad Amazon di fornire più informazioni sulle misure adottate per rispettare il Digital Services Act, la legge sulla sicurezza dei servizi digitali. La società avrà tempo fino al 26 luglio per rispondere. Tutti i dettagli.

La Commissione europea ha chiesto ad Amazon di fornire maggiori informazioni sulle misure adottate per rispettare gli obblighi del Digital Services Act, la normativa comunitaria sulla sicurezza e la trasparenza dei servizi digitali che – tra le altre cose – obbliga le piattaforme a contrastare la diffusione di contenuti illegali e dannosi e rispettare degli standard di chiarezza nella pubblicità online.

LA RICHIESTA DELLA COMMISSIONE EUROPEA

“In particolare”, hanno spiegato le autorità europee, “si chiede ad Amazon di fornire informazioni dettagliate sulla sua conformità alle disposizioni relative alla trasparenza dei sistemi di raccomandazione”: si chiamano così quei software, molto utilizzati sui siti di e-commerce, che forniscono agli utenti suggerimenti su prodotti che potrebbero interessargli sulla base dei loro acquisti precedenti o sulle ricerche che hanno effettuato.

LA RISPOSTA DI AMAZON

Nella sua risposta, Amazon ha detto di stare “esaminando questa richiesta e […] lavorando a stretto contatto con la Commissione europea”. La società ha aggiunto di condividere “l’obiettivo della Commissione europea di creare un ambiente di acquisto sicuro, prevedibile e affidabile. Riteniamo che questo sia importante per tutti i partecipanti al settore della vendita al dettaglio e investiamo in modo significativo nella protezione del nostro negozio da malintenzionati, contenuti illegali e nella creazione di un’esperienza di acquisto affidabile. Abbiamo costruito su queste solide basi la conformità alla DSA”.

LO SCONTRO LEGALE

L’anno scorso Amazon aveva cercato di aggirare il Digital Services Act – una delle due leggi europee per la regolazione del settore digitale, assieme al Digital Markets Act -, sostenendo che la richiesta di rendere pubblica la sua “libreria” delle inserzioni pubblicitarie avrebbe leso i diritti alla privacy e alla libertà d’impresa. A fine marzo, però, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha respinto la richiesta della società.

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