Si scaldano i motori e il governo aggiunge benzina: per i partecipanti al risiko bancario sono in vista novità interessanti sul fronte delle Dta, le perdite fiscali che si possono trasformare in credito d’imposta in caso di fusione. Una norma nella bozza del decreto Sostegni bis – che la prossima settimana dovrebbe arrivare in Cdm come detto dal ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti – potrebbe favorire in particolare Unicredit che, con il neo arrivato amministratore delegato Andrea Orcel, percorrerebbe con maggiore slancio la strada che porta a Siena. Del resto non è poi così lontana la fine dell’anno, data entro cui il ministero dell’Economia e delle Finanze, azionista di maggioranza di Montepaschi con il 64%, deve dismettere la propria quota.
COSA C’È NELLA BOZZA DEL DECRETO SOSTEGNI
Come informa Il Sole 24 Ore, nella bozza del Decreto Sostegni Bis è stata inserita una serie di modifiche alla normativa sulle Dta (Deferred tax asset) ossia le perdite fiscali che possono diventare credito d’imposta in caso di fusione con altre banche previo pagamento di commissioni, deducibili ai fini Ires e Irap, pari al 25% dell’importo. Stando ai bilanci di fine 2020, Deutsche Bank ha calcolato che le perdite fiscali interessate sarebbero pari a 11,6 miliardi per gli istituti italiani: il governo, con una norma nell’ultima legge di Bilancio, aveva consentito la trasformazione per fusioni entro l’anno in corso. Scadenza che però Palazzo Chigi ha rimandato al 30 giugno 2022, “modifica decisiva perché destinata a dare più spazio di manovra a tutti banchieri per mettere in piedi le fusioni, dal momento che di norma occorrono sempre 5-6 mesi di lavori preparatori prima dell’approvazione assembleare”. La seconda importante novità prevista dal decreto Sostegni bis riguarda invece la soglia delle Dta convertibili che passerebbe dal 2% al 3% del totale degli attivi della banca più piccola coinvolta nella fusione.
COSA SUCCEDEREBBE PER MPS
Si tratta di due cambiamenti non da poco per tutti gli istituti di credito ma che favorirebbe in particolare Mps, la preda più facilmente aggredibile e con il maggior numero di Dta in portafoglio, circa 3,8 miliardi. Secondo il quotidiano confindustriale, che cita gli analisti di Equita, in caso di fusione tra UniCredit e Mps il beneficio ammonterebbe a circa 3,4 miliardi, 1,1 miliardi in più rispetto alla norma vigente “con un impatto sul Cet1 della combined entity stimato in 90 punti base, rispetto a precedenti 60 punti base”. Occorre pure considerare che in tal modo aumenta l’appeal dell’operazione tra il gruppo guidato da Andrea Orcel e Rocca Salimbeni e si riduce la forchetta con l’appeal che deriverebbe dalla fusione Unicredit-BancoBpm: il beneficio stimato sarebbe di 4,1 miliardi, ma la componente principale arriverebbe dalle Dta di UniCredit (circa 4,35) e non da quelle di piazza Meda, pari a circa 1 miliardo. Senza impatti invece i benefici di una fusione tra Banco-Bper, pari a circa 1 miliardo.
COSA NE PENSA MEDIOBANCA SECURITIES
Gli analisti di Mediobanca Securities ritengono che queste novità possano rappresentare “un vantaggio in ottica M&A” per “le banche con Dta relativamente grandi come Unicredit, Mps e Carige”. In particolare “il pieno vantaggio di questo beneficio fiscale si concretizzerà nel corso del secondo anno e solo in un trimestre del primo, oltre al fatto che può essere utilizzato solo una volta”. Secondo Mediobanca Securities, nella maggior parte delle combinazioni che coinvolgono Carige e Rocca Salimbeni l’incentivo M&A “non colmerà tutte le perdite fiscali pregresse, con la conseguenza che una maggiore redditività post M&A consentirà ulteriori rivalutazioni delle Dta nei prossimi anni”. Di sicuro però le fusioni e le acquisizioni, sottolinea, “rimarranno fondamentali per le banche di medie dimensioni” e il dl Sostegni bis permetterà agli amministratori delegati di Unicredit e di Bper di studiare “la loro nuova strategia con un orizzonte più ragionevole, visti i consueti 5/6 mesi tecnici tra l’approvazione del cda e quella dell’assemblea, che deve avvenire prima di giugno 2022”.
DTA E CREDIT AGRICOLE
Il dl Sostegni bis potrebbe dare una mano anche nell’operazione che vede Crédit Agricole mettere le mani su Creval. Al 31 dicembre 2020 erano iscritte a bilancio del Credito Valtellinese Dta per 81 milioni e fuori bilancio altre per 180 milioni. Alla stessa data il Crédit Agricole aveva a bilancio 136 milioni di Dta. Dunque, come ha rimarcato Il Sole 24 Ore, “a fronte di un costo stimato in 66 milioni, complessivamente il gruppo si troverà a beneficiare di un asset fiscale di 331 milioni, a patto che si realizzi la fusione entro 12 mesi dal pagamento delle azioni consegnate in offerta: un bel ‘regalo’ considerato che a 12,50 euro (il prezzo massimo del rilancio) il Creval viene valutato 875 milioni”.
Per Agricole l’impegno complessivo è salito così da 737 a 855 milioni per il 100%, circa metà dei quali recuperabili attraverso i crediti fiscali (Dta) per circa 400 milioni di euro. Ma dal punto di vista industriale promette grande efficienza, non a caso l’integrazione è stata ben vista anche da Lovaglio e da Dumont. Con il Creval, il gruppo Crédit Agricole Italia si rafforza come sesta banca nel Paese e arriva a circa tre milioni di clienti distribuiti in gran parte del territorio italiano, anche al sud dove Creval ha una forte presenza, in particolare in Sicilia.