skip to Main Content

Npl Dovalue

Unicredit, Deutsche Bank e Commerzbank. Tutti i tasselli del risiko bancario in Europa

L'articolo di Francesco Ninfole

Alcuni segnali fanno pensare che sia in arrivo una profonda trasformazione per il settore bancario europeo. I tempi non sono ancora del tutto maturi, perché per quest’anno e parte del prossimo le banche saranno impegnate a fare i compiti in casa propria: alcuni istituti continueranno lo smaltimento dei crediti deteriorati, altri la riduzione dei titoli illiquidi in portafoglio. Ma questi mesi saranno comunque importanti per capire come si posizioneranno le banche prima della stagione delle acquisizioni, che molti operatori immaginano per fine 2019-inizio 2020.

CHE COSA STA SUCCEDENDO FRA LE BANCHE IN EUROPA

Allora si potrebbe ripetere quanto visto nel 2007, subito prima della crisi, quando Santander, Fortis e Rbs si sono spartiti Abn Amro per oltre 70 miliardi di euro. Proprio in questi giorni uno dei banchieri d’affari protagonisti di quell’operazione per conto di Merrill Lynch, Andrea Orcel, è stato nominato al vertice di Santander. Perciò molti hanno pensato che anche la prima banca spagnola si stia preparando alle acquisizioni. Santander può farlo da una posizione di forza, visto che è uno dei gruppi oggi a maggiore capitalizzazione in Europa (70 miliardi di euro).

LE MOSSE E LE CONTROMOSSE DI DEUTSCHE BANK E COMMERZBANK

In tutti i Paesi però le banche stanno studiando le mosse future. La Germania si sta muovendo in una logica difensiva: sembra ormai vicina l’aggregazione tra i due big Deutsche Bank e Commerzbank: il primo alle prese con l’eredità della crisi finanziaria e i level2 e level3 asset, il secondo con una difficoltosa uscita dello Stato dal capitale. Su Commerzbank si erano fatte ipotesi di operazione con banche straniere (tra cui Unicredit), ma alla fine sembra prevalere il desiderio della politica tedesca di un campione nazionale.

LE AZIONI DI BNP PARIBAS E CREDIT AGRICOLE

Le banche francesi sono al momento alla finestra, ma tradizionalmente sono quelle più attente al mercato italiano, come hanno mostrato le operazioni di Bnp Paribas (su Bnl) e Crédit Agricole, in attesa di conoscere le mosse di SocGen, spesso accostata a Unicredit. Proprio la banca guidata da Jean Pierre Mustier è quella più chiacchierata in Italia in tema di fusioni.

IL RISCHIO SPREAD PER LE BANCHE ITALIANE

Per le banche del Paese la principale incognita è diventata il rischio spread che venerdì 28 settembre ha fatto precipitare i valori di tutti gli istituti. Intesa Sanpaolo ha toccato una capitalizzazione di 39 miliardi, Unicredit di 29. Se la turbolenza sull’Italia dovesse ulteriormente peggiorare, le banche del Paese sarebbero più esposte a offerte dall’estero. C’è anche la galassia Mediobanca in movimento.

I COLOSSI BANCARI AMERICANI

Il tutto mentre i colossi bancari americani diventano sempre più redditizi e più grandi (JpMorgan vale 380 miliardi): se un grande gruppo Usa volesse fare acquisti in Europa, avrebbe le risorse per farlo e il favore di molti fondi azionisti delle banche. Per tutte queste ragioni, anche se il punto d’arrivo è impossibile da prevedere oggi, è assai probabile che nel giro di un paio d’anni il volto del settore possa cambiare, creando vincitori e sconfitti, non solo tra le singole banche, ma anche tra Paesi.

IL COMMENTO DELL’ANALISTA

Alla base di ogni operazione dovrà esserci però una ragione industriale. «Una parte del consolidamento in Europa c’è già stata», ricorda Luigi Motti, analytical manager di S&P Global per le banche del Sud Europa. «Dal 2008 al 2018 le licenze bancarie sono diminuite del 25%. Tuttavia c’è spazio per altre operazioni».

LE AGGREGAZIONI PROSSIME VENTURE

Secondo Motti oggi ci sono motivazioni economiche per ulteriori aggregazioni: «Innanzitutto, meno di un terzo delle banche europee ha una redditività superiore al 10%, un livello che può essere stimato come costo medio del capitale. In alcuni Paesi, tra cui Italia e Germania, c’è un eccesso di capacità e i ricavi sono sotto pressione. Inoltre nei prossimi anni serviranno ingenti investimenti per la digitalizzazione e per affrontare i costi della regolamentazione. Infine le autorità europee hanno espresso auspici per un ulteriore consolidamento del settore».

IL REPORT DI S6P’S

Questo secondo S&P non vuol dire che sono imminenti fusioni transfrontaliere. «Non le aspettiamo nel breve termine, perché ci sono alcuni fattori che per ora ostacolano le aggregazioni», dice Motti. Innanzitutto, «l’Unione bancaria non è stata completata. Tra Paesi divergono le regolamentazioni, a cominciare da quelle sulla liquidità. In alcuni Stati, come la Germania, si chiede alle banche di operare con subsidiary con licenze bancarie locali che devono adeguarsi a requisiti nazionali. I principali 50 gruppi europei hanno in pancia 130 miliardi solo per permettere alle subsidiary di rispettare coefficienti di liquidità locali».

LE FUSIONI TRANSFRONTALIERE

In secondo luogo, «nelle grande fusioni tranfrontaliere vanno considerati i rischi di esecuzione, che sono più alti rispetto alle operazioni domestiche, nelle quali è più facile trovare sovrapposizioni, tagliare costi e realizzare sinergie. Perciò riteniamo che in una prima fase il consolidamento riguarderà banche medie in cerca di maggiore efficienza oppure istituti in difficoltà oppure con azionista pubblico in uscita dal capitale».

Per quanto riguarda i rating, ricorda Motti, nelle fusioni di solito il giudizio della banca acquirente «resta immutato, nella migliore delle ipotesi. In alcuni casi può peggiorare, se l’operazione peggiora capitale e valori di bilancio».

 

Articolo pubblicato su Mf/Milano finanza

Back To Top