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Di Maio

Storia della spending review in Italia. Report Csc Confindustria

L'analisi del Centro Studi di Confindustria a firma di Piergiorgio Carapella, Alessandro Fontana e Andrea Montanino

La storia della spending review in Italia, anche se allora non veniva chiamata così, inizia nel 1981; i suoi successi sono stati limitati, nonostante le molte Commissioni e i molti Commissari che si sono succeduti nel tempo. Le esperienze principali sono le seguenti:

A. la Commissione Tecnica per la Spesa Pubblica (CTSP, 1981-2003) il cui mandato era quello di realizzare approfondimenti su singoli settori di spesa e suggerire interventi normativi, volti sia a migliorare i processi al fine di rendere più efficiente l’uso delle risorse, che a limitare la spesa. La CTSP operava come un corpo esterno alla pubblica amministrazione ed elaborava studi mirati, non sistematici, su singole aree di spesa pubblica definite dalla Commisione stessa, a seguito dei quali formulava raccomandazioni, non vincolanti, al Ministro di riferimento, senza avere alcun ruolo nell’eventuale fase applicativa. La Commissione è stata soppressa nel 2003 dal Governo Berlusconi;

B. la Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica (CTFP, 2007-2008), un organismo costituito nel 2007 da soggetti esterni al Ministero ma incardinato nel MEF, a cui, per la prima volta, fu affidato il compito di effettuare l’analisi sistemica della spesa. Il duplice obiettivo era quello di superare l’approccio “incrementale” nelle decisioni di bilancio (quello che dava per scontato il rifinanziamento della spesa storica, cioè delle politiche in essere, senza valutarne qualità ed efficienza) e le criticità connesse al ricorso a tagli “orizzontali” alle dotazioni di bilancio, che oltre a creare difficoltà operative alle amministrazioni, finivano per posporre la spesa medesima agli anni successivi, risultando poco efficaci. Tuttavia, la CTFP durò un solo anno prima di essere soppressa, e la sua analisi riguardò la spesa sostenuta da cinque Ministeri, circa un terzo della spesa complessiva delle amministrazioni centrali. La Commissione, col supporto del Servizio Studi della Ragioneria Generale dello Stato, istituito in quell’ambito, oltre ad alcuni studi su singole tematiche di spesa, produsse due rapporti, uno intermedio e uno finale, in cui furono indicate 90 raccomandazioni che riassumevano le proposte per rendere più efficiente la spesa;

C. l’attività della RGS (2009) a cui fu affidata la revisione della spesa dopo la soppressione della CTFP. Il programma di analisi della spesa, ancora limitato alle amministrazioni centrali, fu reso permanente ed esteso a tutti i Ministeri; inoltre, fu introdotto l’obbligo, ancora in vigore, per ciascun Ministro di redigere una Relazione sullo stato della spesa, sull’efficacia nell’allocazione delle risorse e sul grado di efficienza dell’azione amministrativa, da inviare annualmente al Parlamento. Il lavoro di RGS si è concentrato maggiormente su aspetti metodologici che, sebbene abbiano contributo al processo di riforma della Legge di contabilità e finanza pubblica, non sono da considerarsi una vera e propria revisione della spesa;

D. il Rapporto Giarda, presentato nell’aprile del 2012, forniva una utile analisi delle diverse tipologie di inefficienza e degli aspetti critici che caratterizzano la struttura della spesa pubblica, ma non prospettava suggerimenti o proposte per interventi specifici. Anche qui l’obiettivo, più che formulare proposte specifiche d’intervento, era quello di stimolare la dialettica tra le strutture di Governo competenti sulle procedure di spending review;

E. la spending del Commissario Enrico Bondi (2012). Il DL 52 del 2012 istituì un Comitato interministeriale per la revisione della spesa pubblica e un Commissario straordinario per la razionalizzazione della spesa per acquisti di beni e servizi. Il Commissario elaborò un’analisi della spesa per consumi intermedi di Regioni, Province, Comuni, Università ed Enti di ricerca. Il successivo DL 95 del 2012, recependo alcune analisi del Commissario, ha tagliato la spesa per consumi intermedi oltre che introdotto obblighi di riduzione delle spese per enti, agenzie e organismi relativi agli enti territoriali. Il decreto stimò una riduzione netta di spese pari a circa 3,9 miliardi di euro nel 2012, 6,6 miliardi nel 2013 e 9,9 miliardi nel 2014. Nonostante l’obiettivo del lavoro del Commissario fosse quello di recuperare risorse, utilizzando un metodo più fine dei tagli orizzontali, in realtà, i tagli applicati, alla fine, furono quasi-orizzontali;

F. la spending del Commissario Carlo Cottarelli (2013). Nominato nel 2013 (con mandato triennale e poteri ampliati dal DL 69); l’anno successivo pubblica 72 slide con le principali indicazioni di revisione della spesa e, nell’aprile del 2015, le relazioni dei venti gruppi di lavoro partecipati dai Ministeri che, secondo una logica bottom-up, avevano lavorato in parallelo all’attività del Commissario. L’insieme delle proposte, pur contenendo elementi di analisi interessanti, risultano incomplete o poco fruibili dal punto di vista operativo. Ciononostante, alcune delle proposte effettuate dal Commissario sono rientrate del DL 66 del 2014, in particolare quelle riguardanti la centralizzazione degli acquisti di beni e servizi, la riduzione degli stipendi dei dirigenti pubblici e la riforma delle partecipate;

G. la spending del Governo Renzi (2015-2017). In parallelo al monitoraggio e alle comunicazioni dei Ministeri sul raggiungimento degli obiettivi di spesa (previsti dall’art. 22-bis della Legge 196/2009), l’attività di revisione della spesa è proseguita con l’incarico a Roberto Perotti e, da marzo 2015, la nomina di Yoram Gutgeld a Commissario straordinario. Il 20 giugno 2017 è stata presentata la prima Relazione sulla revisione della spesa per il triennio 2014-2016. L’attività del Commissario si è concentrata su 3 macroaree di spesa: sanità, enti locali e sicurezza, che in totale rappresentano circa i tre quarti della spesa corrente. Il totale di riduzione della spesa per il 2017 ammontava, secondo la relazione, a 29,9 miliardi di euro. Tali risparmi, secondo i risultati presentati, sarebbero andati ad ampliare le prestazioni previdenziali e assistenziali (per un totale di 12,7 miliardi), oltre a contribuire al risanamento dei conti pubblici e alla diminuzione della pressione fiscale.

L’esame delle esperienze presentate mostra che una vera analisi e revisione della spesa, in Italia, non è stata mai fatta, nonostante i molteplici riferimenti legislativi e la lunga serie di attività alle spalle. Le spending condotte internamente dalle amministrazioni, proprio perché “ordinarie”, cioè inserite nel processo di bilancio e nel sistema dei controlli interni hanno avuto obiettivi diversi dalle analisi “straordinarie” portate avanti con il contributo di soggetti esterni alle amministrazioni e con un mandato politico esplicito. Non sono state finalizzate a elaborare proposte di policy per modificare le modalità di produzione dei servizi pubblici, i confini del settore e l’allocazione delle risorse, ma si sono limitate al monitoraggio dei processi interni e a promuovere miglioramenti delle procedure interne al fine di efficientare l’azione pubblica. Nessuna delle esperienze riportate ha prodotto miglioramenti significativi dei servizi pubblici, a parte alcuni lavori della CTSP. Solo le revisioni di Bondi e di Gutgeld hanno prodotto importanti risparmi di spesa. Nel primo caso, però, nei fatti, sono stati ottenuti con tagli quasi-lineari su tutti gli enti territoriali; nel secondo, dai documenti pubblici, è difficile individuare un legame diretto tra l’attività svolta, le misure proposte, quelle adottate e i risparmi dichiarati. Nel caso della recente spending, realizzata singolarmente dai Ministeri, sono stati realizzati risparmi molto contenuti imponendo tagli lineari a tutti i Ministeri.

Si tratta, quindi, di esperienze complessivamente non soddisfacenti che non sono riuscite né a ridurre le risorse pubbliche a parità di servizi pubblici offerti, né a ridefinire il perimetro dell’azione pubblica, né ad aumentare l’efficienza. Diverse sono le ragioni di questi insuccessi. Quasi sempre è stata evidente la mancanza di obiettivi predefiniti condivisi con i vertici politici dei Ministeri e con le amministrazioni. Ciò ha limitato l’efficacia delle analisi e contribuito a rendere diffidente e poco collaborativa l’amministrazione. A ciò ha contribuito anche l’essersi affidati prevalentemente a esperti esterni senza coinvolgere pienamente i funzionari responsabili della spesa, gli unici ad avere una conoscenza capillare dei processi decisionali e delle norme sottostanti. In alcuni casi è mancato un adeguato supporto politico. Le proposte di risparmio del Commissario Cottarelli, ad esempio, non erano allineate con le priorità politiche del Governo; la Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica aveva un forte supporto del Ministro dell’Economia Padoa-Schioppa ma meno dei colleghi di Governo.

È poi mancato un sistema di incentivi per spingere singoli funzionari e amministrazioni a generare risparmi: la spending review veniva vissuta come tagli ai budget e quindi riceveva poca collaborazione; è mancata trasparenza nei confronti degli stakeholders, cittadini e imprese, che avrebbero potuto offrire un supporto al processo se avessero compreso i benefici in termini di efficienza nei servizi erogati. Infine, il tempo è stato sempre troppo poco per organizzare una spending che andasse oltre obiettivi di breve periodo.

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