Prosegue con grande affanno la corsa per fornire all’Ucraina un prestito di 50 miliardi di dollari, decisivo per le sorti del Paese nei prossimi mesi.
Parliamo sempre dei 50 miliardi annunciati in pompa magna durante il G7 pugliese di giugno e, da allora, scomparsi tra le nebbie delle difficoltà tecniche.
Tra ieri e oggi ci sono state due brusche accelerazioni che la dicono lunga sull’urgenza e sulla necessità di concludere l’operazione, prima che alla Casa Bianca cambi il vento e che Kiev resti davvero con le casse vuote e, di conseguenza, le difese indebolite rispetto alla perdurante aggressività delle forze armate russe.
Le difficoltà tecniche derivano dall’utilizzo dei proventi degli asset finanziari russi sequestrati (prevalentemente nella Ue per circa 200 miliardi di euro) per consentire a Kiev di ripagare il prestito ai Paesi del G7. Ue e Usa si erano impegnati per 20 miliardi ciascuno e UK, Canada e Giappone avrebbero dovuto versare gli altri 10.
Senonché gli Usa si sono chiamati fuori perché il rinnovo del sequestro dei beni russi ogni 6 mesi all’unanimità dei 27 Stati membri dell’UE, metteva a serio rischio la durata e la permanenza della garanzia e, di conseguenza, obbligava l’amministrazione Biden a passare dal Congresso per impegnare il denaro dei contribuenti Usa. La richiesta di estensione della garanzia, necessaria per partecipare al prestito concordato, è stata infatti bloccata, ancora mercoledì, dall’Ungheria che non intende saperne prima delle decisive elezioni USA del 5 novembre.
Allora è partita la fuga in avanti della Ue e di Ursula von der Leyen che, per non rischiare che l’Ucraina resti a secco, ha avviato la procedura per un prestito di 35 miliardi di euro (39 miliardi di dollari) che sostanzialmente mette a carico della Ue la quota Usa, al momento indisponibile.
Si tratta di uno strumento di bilancio della Ue (Mfa, Macro financial assistance) attivabile a maggioranza qualificata e proprio mercoledì gli ambasciatori degli Stati membri hanno dato il primo via libera per concludere la procedura passando dall’Europarlamento e infine dal Consiglio Ue.
Ma è di poche ore fa la notizia – rilanciata dal Financial Times – che gli Usa potrebbero comunque coprire la loro quota di 20 miliardi anche senza aver ottenuto la proroga per almeno 36 mesi del sequestro delle attività finanziarie russe. Di fronte al permanente veto dell’Ungheria alla proroga a così lungo termine, a Washington hanno prevalso le considerazioni circa l’urgenza degli aiuti («ci vuole tanto denaro e gli attacchi in Ucraina continuano. È un incubo», ha dichiarato un funzionario Ue al FT) e i timori che dopo il 5 novembre l’inquilino dello Studio Ovale della Casa Bianca possa cambiare e pensarla diversamente.
Allora, anche se non c’è nulla di ufficiale, le solite fonti ben informate hanno fatto trapelare al Ft che gli Usa intendono essere della partita e alleggerire il fardello dei $ 40 miliardi che, ad oggi, grava ancora tutto sulle casse di Bruxelles e, in ultima istanza, su quelle dei contribuenti Ue.
Non è detto che l’importo sia pari a $ 20 miliardi promessi a giugno, si partirebbe da $ 5 miliardi e si potrebbe salire in relazione alla possibilità di dribblare le regole di bilancio del Congresso.
Quindi la porta non è chiusa e un annuncio definitivo potrebbe essere fatto giusto prima delle elezioni presidenziali di novembre. Nel frattempo, Bruxelles pagherà il conto.