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centrodestra

Tutti gli scazzi politici su Unicredit

Ecco le ultime tensioni politico-giornalistiche che solcano il dossier Unicredit-Banco Bpm

Nelle ultime 24 ore, il dossier del Golden Power imposto dal governo per l’ops di Unicredit su Banco Bpm è stato al centro di diversi battibecchi e messaggi al veleno del mondo politico. Soprattutto all’interno della maggioranza, ma anche con qualche attacco dalle opposizioni.

LA SPIEGAZIONE E LE ‘MINACCE’ DELLE DIMISSIONI DI GIORGETTI

Il primo che ha aperto le danze, ieri, è stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Il leghista, infatti, è stato sollecitato dai giornalisti in Senato e ha rilasciato dichiarazioni nette. “C’è un golden power che prevede una procedura di monitoraggio, questo monitoraggio è stato avviato. Nella procedura di monitoraggio Unicredit e Banco Bpm hanno fatto le loro osservazioni. Noi dovremo dare una risposta a queste osservazioni nell’ambito del monitoraggio. Nel frattempo – è un loro diritto – hanno deciso di andare in tribunale – vanno tutti in tribunale in questo Paese, la causa non si nega a nessuno – e la cosa si incasina. Noi andremo avanti nel monitoraggio e gli daremo le risposte che dovremo dare, in assoluto coordinamento tra Mef e Palazzo Chigi, assoluto”, ha detto Giorgetti.

Specificando: “Dall’inizio del primo giorno c’è coordinamento tra Palazzo Chigi e Mef, tra Giorgetti e Meloni. Se ci fosse un minimo di disallineamento, non troverete l’annuncio delle dimissioni, troverete le dimissioni, perché le dimissioni non si annunciano ma si danno, chiaro?”.

MESSAGGIO A SAVONA E ALLA CONSOB?

Il passaggio sulle dimissioni, secondo un’interpretazione data dal Giornale, potrebbe essere “una staffilata anche al presidente della Consob, Paola Savona, che con il suo voto aveva fatto propendere l’Authority per la sospensiva di 30 giorni all’ops di Unicredit su Bpm dicendosi pronto a dimettersi ‘se non gradito’”. Uno scenario ipotizzato nel suo intervento al Festival dell’Economia di una settimana fa.

LO SCONTRO INTERNO ALLA MAGGIORANZA GIORGETTI-TAJANI

L’allineamento che Giorgetti vanta è quello con la premier Giorgia Meloni. Ma con l’altro alleato di governo, Forza Italia, il clima non è serenissimo su questo tema. Già quando il governo aveva imposto il golden power sull’operazione di Unicredit, Forza Italia con una nota si era detta scettica sullo strumento (mentre le firme economiche dell’ex berlusconiano Giornale plaudivano alla mossa di Palazzo Chigi e Mef). Il leader forzista, nonché ministro degli Esteri, Antonio Tajani, anche ieri si è detto “assolutamente” favorevole a rivedere dei passaggi del dpcm in Senato. Quel dpcm che impone i nove mesi a Unicredit per abbandonare le sue attività in Russia, dettaglio chiesto proprio da Forza Italia. Nove mesi che in teoria dovrebbero partire dal 18 aprile, data del provvedimento, ma che FI vuole far slittare alla data di pronuncia del Tar dopo il ricorso di Unicredit. Così da concedere più tempo a Piazza Gae Aulenti per uscire dalla Russia.

IL RAPPORTO DELLA FARNESINA SU UNICREDIT IN RUSSIA

Per Tajani la priorità “è la difesa delle imprese”. Quelle imprese italiane che operano ancora in Russia, circa 250, e che per farlo si appoggiano anche su Unicredit. La Farnesina, infatti, ad aprile ha ricevuto una relazione da parte dell’ambasciatrice italiana a Mosca, Cecilia Piccioni, in cui si avverte dei rischi relativi a un addio della banca dalla Russia. Alcuni brani del rapporto sono veri assist sia a Tajani sia ad Andrea Orcel, a capo di Piazza Gae Aulenti. “Ove la presenza di Unicredit nel Paese venisse meno, gravi sarebbero le conseguenze per l’operatività del Sistema Italia nelle sue dimensioni pubblica e privata in primis e degli operato di paesi terzi che si avvalgono di questo istituto di credito”, si legge in un passaggio citato su Repubblica.

In più, nella relazione viene sottolineata il momento inopportuno di imporre l’uscita di Unicredit dalla Russia, “in una fase che vede moltiplicarsi le aspettative di apertura di una finestra di opportunità connessa agli sviluppi del dialogo russo-statunitense che lasciano intravedere possibilità, con tempi e modi tutti da definire, di rientro nella Federazione di investimenti occidentali”. Insomma, il conflitto in Ucraina potrebbe terminare presto e le sanzioni occidentali contro Mosca potrebbero essere tolte. Non ci sarebbe motivo ora per dare ultimatum alla banca che opera in Russia. Tanto più se poi rischia “seriamente” di compromettere la funzionalità dell’ambasciata e degli altri enti italiani, come si legge ancora nel documento svelato dal quotidiano del gruppo Gedi.

RENZI CONTRO GIORGETTI (E IL FATTO CI SGUAZZA)

Nonostante le palesi tensioni interne alla maggioranza, dalle opposizioni non sembrano levarsi particolari voci. Un sussulto è arrivato da Matteo Renzi, che da Bruxelles ha definito “vergognoso” l’utilizzo del golden power oltre che “uno scandalo assoluto”. Il leader di Italia Viva ha puntato il dito contro Giorgetti. Un golden power usato “per difendere le dinamiche di casa sua, della Bpm”. “Se qualche giornale finanziario internazionale inizia a mettere la testa su quello che sta facendo il governo italiano in questo settore, la Meloni perde qualsiasi tipo di credibilità e Giorgetti perde la faccia”, ha tuonato ancora Renzi.

Un intervento su cui si è fiondato il Fatto Quotidiano. In un articolo, il giornale di Marco Travaglio ha attaccato l’ex premier. “Renzi ha ragione”, ha scritto ironicamente il Fatto  in un corsivo odierno, “certo probabilmente per ragioni di tempo, l’ottimo senatore toscano non ha spiegato quando ha cambiato idea rispetto ai bei tempi di Palazzo Chigi, quando – dopo averlo distrutto col decreto su Etruria & C. – realizzava discutibili riforme del settore del credito a colpi di decreti, a volte avvisando degli amici investitori, altre lasciando scappatoie normative a certe banche toscane care al suo inner circle”.

“E nemmeno si è ricordato – ha rimarcato il Fatto Quotidiano – di quando il governo provava a organizzare sottobanco improbabili piani di salvataggio di altre banche di famiglia, per così dire, di quando si cacciava con una telefonata un manager di Mps perché la banca senese la doveva ‘salvare’ Jp Morgan, di quando le due popolari venete venivano regalate a Intesa Sanpaolo con cospicua dote pubblica e molte altre cosette”.

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