skip to Main Content

Eba Microsoft

Ecco gli effetti nefasti delle regole bancarie Eba sulle aziende

Perché imprenditori e aziende sono in allarme per il regolamento Eba sui requisiti di capitale.

Continuano le riflessioni (e le polemiche) in merito all’entrata in vigore del Regolamento Eba sui requisiti di capitale cui devono adeguarsi tutte le banche europee dal primo gennaio. In sostanza, rispetto a quanto accade ora in Italia, diventano più stringenti i criteri in base ai quali gli istituti di credito possono stabilire che un cliente non è in grado di ripagare il proprio debito con conseguenze problematiche soprattutto per i correntisti intestatari di addebiti automatici, i cosiddetti Rid.

A gettare acqua sul fuoco ci ha pensato prontamente la Banca d’Italia che in una nota diffusa a fine dicembre ha chiarito che le novità riguardano “esclusivamente il modo con cui le banche e gli intermediari finanziari devono classificare i clienti a fini prudenziali, ossia ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori per le banche e gli intermediari finanziari”. Certamente questa nuova definizione di default “può avere riflessi sulle relazioni creditizie fra gli intermediari e la loro clientela, la cui gestione, come in tutte le situazioni di default, può comportare l’adozione di iniziative per assicurare la regolarizzazione del rapporto creditizio. La nuova definizione di default non introduce un divieto a consentire sconfinamenti: come già ora, le banche, nel rispetto delle proprie policy, possono consentire ai clienti utilizzi del conto che comportino uno sconfinamento oltre la disponibilità presente sul conto ovvero, in caso di affidamento, oltre il limite di fido”.

Nonostante le rassicurazioni di Via Nazionale, però, sono in molti a preoccuparsi soprattutto per famiglie e piccole imprese e per chi sta scontando (e sconterà ancora per mesi, se non anni) le conseguenze della pandemia in corso.

LO STUDIO DI UNIMPRESA

Approfondite notazioni sulla questione sono arrivate da Unimpresa, l’associazione di categoria delle micro, piccole e medie aziende del Paese. Secondo un’analisi del suo centro studi le banche italiane sono le più penalizzate dalle nuove norme europee su sconfinamenti e sofferenze e i danni diventano “enormi” soprattutto per le pmi “per le quali la flessibilità in banca è essenziale”. Unimpresa evidenzia come cambi il significato di “rilevanza” del pagamento arretrato, in relazione al quale entrano in gioco anche altre due soglie: 100 euro per le famiglie e 500 euro per le imprese. Non solo: oltre all’abbattimento delle soglie, le nuove regole Eba “non ammettono spazi di manovra per gli istituti di credito, mentre le ‘vecchie’ regole consentivano alle stesse banche la possibilità di concedere, alla clientela, compensazioni tra linee di credito”. Inoltre ora il cliente resta in stato di default, dopo la regolarizzazione dei pagamenti, per altri 90 giorni mentre fino al 31 dicembre 2020 lo stato di default terminava saldando i debiti pregressi.

Andando a vedere cosa accade con la soglia degli arretrati, ad esempio su una linea di credito di 100 mila euro, la soglia rilevante degli arretrati scende da 5.000 euro a 1.000 euro. “Alla base delle scelte del regolatore europeo c’è la necessità di armonizzare gli ordinamenti bancari, in effetti assai diversi fra loro ma quella che, sulla carta, nasce come una misura di equità si trasforma in una punizione severa per il nostro Paese e arriva in un momento difficilissimo per la nostra economia” ha notato il vicepresidente di Unimpresa, Salvo Politino, che chiede un “intervento urgente da parte del governo affinché si faccia parte attiva, in sede europea, quantomeno per una sospensione temporanea delle nuove regole dell’Eba”.

La novità più significativa delle nuove norme in vigore dal 1° gennaio riguarda però la gestione dei conti “in rosso” in quanto gli addebiti automatici non saranno più consentiti se i clienti non avranno sufficienti disponibilità liquide sui loro depositi bancari. Dunque si rischia un improvviso stop ai pagamenti di utenze, stipendi, contributi previdenziali, rate di finanziamenti. Senza dimenticare che da questo mese chi ha il conto corrente “scoperto” corre il rischio di risultare immediatamente “moroso” nei confronti di vari soggetti, dalle finanziarie all’Inps, dai dipendenti alle aziende cosiddette utility (energia, gas, acqua, telefono). Le stesse regole stabiliscono che per un mancato pagamento superiore a 100 euro, protratto per tre mesi, il cliente venga classificato come cattivo pagatore, tutta la sua esposizione verso la banca sia classificata come non performing loan e sia inviata la segnalazione alla centrale rischi. “Per milioni di piccole e medie imprese c’è dunque il rischio concreto non solo di una improvvisa mancanza di piccola liquidità, derivante dallo stop improvviso ai conti in rosso, ma anche di una significativa stretta al credito – si legge in una nota di Unimpresa -. Il quadro del settore bancario non è omogeneo e l’informazione è insufficiente: qualche banca, infatti, sembra orientata, almeno in una prima fase dell’applicazione delle nuove regole, a mantenere una linea più morbida, specie nei clienti conosciuti”.

L’ALLARME DEI SINDACATI

La questione nei giorni scorsi ha fatto registrare anche la dura presa di posizione dei sindacati dei bancari. È stata in particolare la Fabi, la prima organizzazione sindacale di settore, a farsi sentire con il segretario generale, Lando Maria Sileoni, che ne ha parlato in varie trasmissioni televisive. “I direttori di filiale sono sempre stati molto disponibili con l’elasticità relativa all’utilizzo dei conti correnti. Ma da domani i direttori non avranno più l’autonomia e questa flessibilità. Quindi prendersela con chi lavora in banca è una follia” ha chiarito intervistato al Tg5. Ospite di “Coffee Break”, su La7, ha invece evidenziato le possibili ricadute negative: “Con le nuove norme dell’Autorità bancaria europea (Eba) relative agli sconfinamenti di conto corrente e alla gestione delle sofferenze bancarie, le famiglie e le pmi saranno in difficoltà. Questo, invece, è il momento di stare al fianco della povera gente che campa proprio con quei 50 o 100 euro di scoperto che spesso è garantito dal direttore di filiale”.

Sileoni ha pure puntato il dito contro chi non si è mosso per tempo. “Il tema era conosciuto da quattro anni e mezzo: l’Eba aveva dettato le linee guida a giugno 2016, recepite a ottobre del 2017 dall’Unione europea e poi oggetto di consultazione pubblica della Banca d’Italia nel 2019: gli addetti ai lavori, insomma, sapevano tutto. Ma nessuna banca ha avuto il coraggio di dire che lo sconfinamento in rosso – peraltro non presente negli ordinamenti bancari del Nord Europa – comporterà automaticamente la segnalazione alla Centrale rischi. Questo vuol dire non poter ricevere, per ben 36 mesi ovvero 3 anni, né affidamenti né linee di credito” ha spiegato ancor il segretario generale Fabi. “Le regole Eba – ha aggiunto – spingono le banche a contenere le sofferenze, ma penalizzano soprattutto le pmi e le famiglie. Tutto questo, però, ignorando il fatto che in Italia il 63% del totale dei non performing loan è legato a finanziamenti superiori a 1 milione di euro”.

Sulla stessa linea anche Riccardo Colombani, numero uno di First Cisl: “Con il Recovery Fund – ha detto in un’intervista all’AdnKronos – l’Unione Europea ha fatto un passo decisivo verso la condivisione, rafforzando la sua dimensione politica. È quindi importante che Eba e Bce non si muovano in senso inverso. Purtroppo le nuove regole sulla classificazione degli Npl, così come quelle del calendar provisioning, risentono ancora di un approccio tecnocratico che in questa fase, segnata dalla pandemia e da una fortissima recessione economica, rischia di penalizzare in modo pesante imprese e famiglie”. Secondo Colombani, infatti, “si tratta di un insieme di regole particolarmente penalizzante per un’economia come quella italiana, contraddistinta da una forte presenza di piccole e piccolissime imprese. First Cisl ha segnalato a più riprese negli ultimi anni i rischi connessi alla gestione dei crediti deteriorati, chiedendo che quest’ultima venga effettuata dalle banche in modo paziente ed evitando così fallimenti non necessari e drammi sociali”.

LE CRITICHE DELL’ABI

Palazzo Altieri però rivendica quanto fatto già negli anni passati. “Sin dal settembre del 2015, momento in cui sono state avviate da parte dell’Eba le attività dirette alla definizione delle nuove regole in materia di default, l’Abi ha evidenziato con forza nelle risposte alle consultazioni pubbliche l’eccessiva rigidità delle soglie indicate dall’Eba e le potenziali ricadute negative e i rischi connessi alle nuove regole” ha commentato il direttore generale, Giovanni Sabatini. “L’attenzione al tema, dal 2016 in poi, è sempre stata massima e alla attività volta a ottenere modifiche delle regole ha fatto seguito da parte dell’Abi anche una sistematica azione di concerto con le associazioni delle imprese e dei consumatori ai fini di una adeguata e tempestiva diffusione dell’informazione presso i clienti – ha proseguito -. Tale attività si è concretizzata, tra le altre cose, nella realizzazione di Guide esplicative come la Guida, rivolta alle imprese, su ‘Le nuove regole europee in materia di default’ – predisposta in collaborazione da Abi e le principali Associazioni di rappresentanza delle imprese – oppure la ‘Guida tecnica alle nuove regole europee in materia di definizione di default per le persone fisiche’ e altri strumenti come l’infografica “Prestiti più attenzione a scadenze e rimborsi”, realizzate con le Associazioni dei consumatori. Documenti pubblicati già a luglio del 2019 e disponibili sul sito web dell’Abi”.

Nel frattempo, insieme ad Alleanza delle Cooperative Italiane (AGCI, Confcooperative, Legacoop ), Casartigiani, CIAAgricoltori Italiani, CLAAI – Confederazione Libere Associazioni Artigiane Italiane, CNA – Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, Coldiretti, Confagricoltura, Confapi, Confartigianato, Confcommercio, Confedilizia, Confesercenti, Confetra, Confimi Industria, Confindustria, l’Abi ha inviato alle Istituzioni europee una lettera “in cui – come si legge in una nota congiunta – è contenuta una forte richiesta di intervenire urgentemente su alcune norme in materia bancaria che, pensate in un contesto completamente diverso da quello attuale e caratterizzate da un eccesso di automatismi, rischiano di compromettere irrimediabilmente le prospettive di recupero dell’economia italiana ed europea. Le Associazioni – si legge ancora – segnalano che di fronte ad una emergenza straordinaria come quella attuale, è indispensabile andare oltre gli schemi del passato e avere una capacità di visione che consenta di concentrare gli sforzi di tutti verso il comune obiettivo della ripresa”.

Essenziale, sottolineano, il ruolo che il credito ha assunto durante la crisi e il supporto che dovrà fornire nel post pandemia “per sostenere le imprese nel percorso di ripristino delle condizioni di economicità dei loro business, in condizioni di incertezza che rischiano di protrarsi per un lungo periodo”. Per questo “occorre che una serie di criticità nel quadro regolamentare bancario debbano essere superate per evitare che situazioni di temporanea difficoltà delle imprese si trasformino in crisi irreversibili per effetto degli automatismi incorporati in alcune norme di primo e secondo livello e in una restrizione dell’offerta di credito esiziale nel contesto attuale”. È urgente perciò “intervenire sulle regole relative all’identificazione dei debitori come deteriorati (c.d. ‘definizione di default’). Il combinato disposto di una norma restrittiva, come quella che limita a 90 giorni il periodo di ritardo di pagamento ammesso, con l’applicazione, da gennaio 2021, di nuove e più restrittive soglie per gli importi scaduti, nonché i nuovi criteri per il trattamento dei crediti ristrutturati, rischiano di determinare la classificazione a default di un numero ingentissimo di imprese, comunque sane. Queste imprese perderebbero l’accesso al credito, con quello che ne consegue in termini di prospettive di ripresa”.

Bisogna poi “evitare che, alla classificazione di un credito come deteriorato, consegua in tempi troppo stretti e predeterminati l’imposizione di coperture a carico delle banche fino all’annullamento del valore del credito (c.d. “calendar provisioning”). Un approccio di questo tipo – che in generale induce le banche a restringere i criteri di concessione del credito – appare particolarmente dannoso in questo momento, in quanto introduce un incentivo perverso a favore della cessione del credito, al primo segno di deterioramento, al di fuori del circuito del mercato bancario regolamentato, invece di incoraggiare la banca ad accompagnare il cliente in un percorso di ristrutturazione. In ogni caso, queste norme debbono tenere conto dei rallentamenti, osservati in tutta Europa, nell’attività giudiziaria conseguenti alla crisi pandemica”.

Back To Top