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Tutte le malefatte del Credit Suisse svelate da un banchiere svizzero

Che cosa si dice e si scrive in Svizzera sul disastro Credit Suisse. L’approfondimento di Teo Dalaveracuras

 

Che sia un proverbio cinese, e non piuttosto napoletano o genovese, cambia poco. Per Thierry Lombard “Il pesce puzza sempre dalla testa”. Questo è il “proverbio cinese” che meglio illustra quel che prova “un banchiere svizzero orgoglioso del proprio mestiere e della piazza finanziaria in cui opera” riflettendo sull’origine e la scomparsa di una “gran bella banca, che porta anche il nome del nostro Paese e ha contribuito, all’inizio, a tutto ciò di cui uno svizzero può e deve sentirsi grato ai propri antenati. All’origine della scomparsa del Credit Suisse ci sono “le buone intenzioni del suo consiglio d’amministrazione e della direzione, mai seguite dai fatti, e una eccezionale capacità di fare sempre peggio, anno dopo anno”.

“Non occorreva essere indovini per vedere che la cultura del Credit Suisse era putrida, nella ricerca di scommesse e guadagni pericolosi, senza etica (…). Una volta di più abbiamo vissuto una discesa all’inferno, la distruzione dell’immagine di una banca che portava il nome del nostro Paese, l’inaccettabile arricchimento (42,6 milioni complessivamente nel 2022) dei suoi dirigenti, che nel frattempo erano intenti a distruggere un fior di banca del XIX secolo (senza contare i 12 miliardi di multe negli Stati Uniti e in altre giurisdizioni, a cui vanno aggiunte le gigantesche perdite). Per arrivare poi a dover salvare questo istituto a colpi di decine di miliardi, semplicemente perché si devono salvare le banche piuttosto che le aziende industriali e commerciali”.

L’opinione di Thierry Lombard, affidata alle pagine del ginevrino Le Temps, merita attenzione non solo perché riflette l’umore decisamente prevalente nella Confederazione ma anche perché Lombard parla con cognizione di causa: per decenni è stato socio amministratore di una delle più importanti e antiche banche private di Ginevra, la Lombard, Odier & Cie, appartiene insomma a una élite solitamente fedele a una rigorosa discrezione e tradizionalmente identificata col proprio Paese. Ma – tanto per proseguire con i modi di dire popolari – quando ci vuole ci vuole. E, per dare a ciascuno il suo, Lombard si avvia alla conclusione dell’invettiva con queste parole: “Vorrei sperare che tutte le persone presenti alla conferenza stampa di domenica sera (dal presidente della Confederazione a quello della Banca Nazionale e della Finma, dalla ministra delle Finanze ai presidenti delle due banche, ndr) si impegnino nel seguente esercizio: come spiegare, giustificare e far capire ai cittadini svizzeri che, per salvare una banca, non ci sono limiti di importo e che miliardi, o decine di miliardi, vanno messi a disposizione, mentre questi stessi miliardi non si trovano per il cambiamento climatico, la salute, l’educazione, l’innovazione, la sicurezza, i migranti, le questioni umanitarie e, soprattutto, per il futuro del nostro Paese con una visione per il XXI secolo come fu quella di Alfred Escher (il fondatore del Credit Suisse, ndr) per il XIX”.

Lombard parla con cognizione di causa ma anche con un linguaggio di inusitata veemenza, soprattutto se lo si confronta alla grigia comunicazione dei responsabili politici, amministrativi e aziendali nella conferenza stampa di domenica a cui, non a caso, l’ex banchiere ginevrino dedica un richiamo esplicito oggettivamente polemico: perché è evidente, per chiunque abbia seguito quella malinconica conferenza stampa, che nessuno degli intervenuti sarebbe in grado di offrire le spiegazioni sollecitate dal banchiere Lombard. Già il professor Carlo Lombardini, nell’intervista al Corriere del Ticino della quale si è riferito in un precedente articolo, parlava esplicitamente di “una certa arroganza” dell’élite zurighese.

Tutti segni che fanno pensare a quello che noialtri chiameremmo un imminente “regolamento di conti” al vertice delle istituzioni politico-economiche elvetiche ma che, anche nella pur felpata Confederazione, non sarà verosimilmente diverso da un ridisegno dei confini di poteri e influenze; che non è mai un esercizio indolore. Perché se Lombard anche nella veemenza centellina le parole, l’anziano pensionato del Credit Suisse invoca per amministratori e alti dirigenti della banca carcere senza processo: la garanzia del habeas corpus, in questo caso, è rappresentata dal sostanziale fallimento della banca sullo sfondo dei multimilionari emolumenti degli autori del disastro.

A modestissimo avviso di chi scrive lo sdegno e la rabbia, in questo caso, sono ampiamente giustificati: quel che la caduta del Credit Suisse racconta è la storia di un arrogante rifiuto di ogni accountability nei confronti del popolo (per usare un termine che in Svizzera è ancora rispettato, esente da risonanze “populistiche”) da parte di chi ne amministra la ricchezza.

 

(prima parte; la seconda parte dell’articolo sarà pubblicata domani)

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