skip to Main Content

Banca Popolare Di Bari

Tutte le incognite sulla Popolare di Bari (e i confronti con Popolare Vicenza e Veneto Banca). L’analisi di Liturri

Che cosa succederà alla Popolare di Bari dopo il decreto del governo, l'intervento di Invitalia tramite Mcc, la mossa del fondo interbancario Fitd e le frasi sibilline di Vestager. L'approfondimento dell'analista Giuseppe Liturri

Ci risiamo. Poco più di 4 anni dopo quella drammatica domenica di 22 novembre 2015, quando i risparmiatori di Banca Etruria, Banca Marche, Casse di Risparmio di Ferrare e Chieti, pur vedendo salvati i propri depositi, videro azzerato il valore delle loro obbligazioni subordinate, anche domenica 15 dicembre il Governo è nuovamente intervenuto con un decreto che dovrebbe risolvere i problemi di una banca in difficoltà.

Come noto, il decreto prevede la dotazione di €900 milioni a favore di Invitalia (agenzia di proprietà del Ministero dell’Economia) affinché quest’ultima capitalizzi la controllata Banca del Mezzogiorno-Mediocredito Centrale (Mcc). La banca così capitalizzata potrà assumere partecipazioni in istituzioni finanziarie (anche del Mezzogiorno) secondo “…criteri di mercato…”. Tali partecipazioni potranno poi confluire, previa scissione, in un una nuova società le cui azioni saranno direttamente di proprietà del Mef.

A questa decisione si è aggiunta quella del 18 dicembre del Comitato di gestione del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD) che ha espresso una valutazione favorevole affinché il Consiglio deliberi l’erogazione di un sostegno finanziario alla Banca Popolare di Bari, stimato nell’ordine di €350 milioni, attraverso la sottoscrizione di un’obbligazione subordinata AT1.

Queste decisioni avranno certamente un impatto sul destino di 70.000 soci che negli anni hanno apportato capitale per circa €1 miliardo, oltre a circa €285milioni di obbligazioni subordinate con scadenza prevista tra il 2020 ed il 2025, anche se bisognerà conoscere i dettagli secondo cui concretamente si articoleranno i due interventi, per capire l’effettiva sorte di azionisti ed obbligazionisti. Va sottolineato che le azioni della BPB sono illiquide da tempo ed hanno visto scendere il valore (puramente teorico, non essendoci di fatto scambi) da €9,53 a poco più di €2,5. Nella migliore delle ipotesi, gli azionisti sono attesi da una iperdiluizione del capitale che azzererà il valore della loro partecipazione e potranno rivedere il loro investimento solo se dimostreranno in sede giudiziaria (salvo istituzione di un apposito fondo da parte del governo) di essere stati truffati dalla banca. Non dovrebbero esserci dubbi sulla sorte dei depositanti, anche oltre €100mila, perché è davvero difficile credere che questo Governo voglia essere il primo in Eurozona a sperimentare gli effetti del bail-in anche sui correntisti, oltre che sugli obbligazionisti. Tale pericolo dovrebbe essere anche scongiurato dal fatto che la banca non si trova, almeno stando agli ultimi dati ufficiali al 30 giugno 2019, in una condizione di dissesto ma, a causa delle enormi perdite accumulate tra 2018 e primo semestre del 2019, ha visto scendere il proprio capitale regolamentare sotto i limiti di vigilanza. Dovrebbe quindi trattarsi di una ricapitalizzazione precauzionale. Per essere più chiari, non dovremmo essere nella situazione delle 4 banche mandate in risoluzione nel 2015 o delle 2 banche venete assoggettate a liquidazione ordinaria nel 2017. In entrambi i casi, giova ricordarlo, furono salvati i correntisti ma furono azzerate, formalmente o di fatto, le obbligazioni subordinate detenute da clientela al dettaglio.

Oltre ai dubbi sopra citati, restano sul tavolo dubbi e perplessità di varia natura.

  • Cosa ne è stato del cosiddetto decreto ‘salva Popolare di Bari’? Cioè dell’articolo 44-bis del D.L. 30 aprile 2019, convertito nella legge 58 del 28 giugno? Con quel decreto si disponeva che le attività per imposte anticipate, detenute da imprese aventi sede nelle regioni meridionali che avessero perfezionato un’operazione di aggregazione mediante fusione, conferimento, ecc., si sarebbero trasformate in crediti di imposta con il conseguente beneficio sul patrimonio netto di vigilanza. Quelle attività di cui si parla, sono iscritte dalle banche in bilancio in conseguenza del fatto che una perdita di conto economico genera un beneficio futuro, quando saranno conseguiti utili e quindi sarà possibile dedurre da quegli utili le perdite pregresse. Quella partita valeva per la banca barese un beneficio sul patrimonio netto pari a circa €350 milioni. Un contributo senza dubbio fondamentale per rinforzare il patrimonio netto della banca, che al 30 giugno scorso si era ridotto a poco più di €400milioni. Quell’articolo condizionava la misura al fatto che la banca beneficiaria non fosse in stato di dissesto o insolvenza.

Inoltre, il comma 7 precisava che “…l’efficacia  delle  disposizioni  del  presente   articolo è subordinata…  alla  preventiva  comunicazione ovvero, se necessaria, all’autorizzazione della Commissione europea…”.

Per mesi si sono inseguite voci su una grande aggregazione di banche del sud (con la banca barese a fare da pivot) al fine di conseguire i benefici della norma qui citata. Poi il silenzio, interrottosi solo alcuni giorni fa, quando ci ha pensato la Banca d’Italia ha dissipare alcuni dubbi (e sollevarne numerosi altri) negli approfondimenti pubblicati il 16 dicembre, affermando che “…La compatibilità di tale previsione normativa con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato è tuttora al vaglio della Commissione Europea…”

Com’è possibile che una norma che era stata annunciata come risolutrice dei problema della banca, si sia persa nelle nebbie bruxellesi? C’entra forse qualcosa il fatto che la stessa Popolare di Bari avesse annunciato, all’indomani della sentenza del Tribunale UE che annullava la decisione della Commissione relativa al caso Tercas, un risarcimento danni ipotizzato in oltre 500 milioni, perché  “…Nel momento in cui è venuta fuori la storia è andato via un miliardo di raccolta…” , così come dichiarò pubblicamente a marzo scorso il presidente Jacobini? Si è ripetuto il calvario di quei lunghi mesi del 2015, quando il faro della Vestager sulla vicenda Tercas, finita come sappiamo, portò a temporeggiare il governo Renzi che finì per adottare poi il decreto di novembre adeguandosi al diktat Ue?

  • Connesso strettamente a questo tema c’è quello del rispetto delle condizioni di mercato. In linea di principio, l’Ue non vieta l’intervento pubblico, di fronte al quale è neutrale. Purché avvenga a condizioni alle quali un investitore privato sarebbe ugualmente intervenuto. È il principio applicato nel caso della banca tedesca NordLB, ricapitalizzata dai Lander proprietari della banca. Il mancato rispetto di questo principio, condiziona l’intervento pubblico al sacrificio degli obbligazionisti (ed azionisti ovviamente). Nessuno in giro per il mondo, nemmeno il Financial Times, ha creduto a questa finzione giuridica usata per la banca tedesca. Va sottolineato che però la banca tedesca è stata sottoposta ad una durissima cura dimagrante che la Vestager ha ritenuto essere qualcosa di somigliante a delle condizioni di mercato. Ma è altrettanto vero che non esistono operazioni recenti comparabili e quindi siamo sul terreno della massima discrezionalità e questo argomento si salda al contenzioso pendente sulla vicenda Tercas (sia l’appello che il risarcimento danni).

Le parole sibilline della Vestager, nell’intervista odierna sul Sole 24 Ore, non lasciano ben sperare:

“… Io cerco di non avere attese. Cerchiamo di permettere ai governi di perseguire i loro obiettivi, purché nel rispetto delle regole. Come lei sa, se criteri di mercato sono necessari, se il governo vuole creare certezza legale, dovrebbe lavorare con noi – per avere certezza legale ed evitare ricorsi giudiziari – e poi se possibile prenderemmo una decisione secondo la quale non vi è aiuto di Stato. Lo abbiamo fatto in vari casi: la tedesca NordLB o la portoghese CGD, per esempio. Può essere molto delicato effettuare questa valutazione, in particolare nel caso di una banca pubblica perché non abbiamo a che fare con un partner privato che opera secondo criteri di mercato. Ecco perché talvolta questi processi sono molto lunghi…”

Tutto ciò, sempre con l’assunto iniziale che la Bpb sia in bonis e che i Commissari non escano con dati terribili riguardanti le perdite sui prestiti alla clientela, al punto da veder azzerato o, peggio, reso negativo il patrimonio della banca.

A quel punto, la rilevanza sistemica della banca nell’economia di diverse regioni meridionali giustificherebbe la risoluzione anziché la liquidazione coatta amministrativa, ma l’intervento statale, per il rispetto delle condizioni di mercato e della BRRD, dovrebbe imporre il sacrificio formale degli azionisti ed obbligazionisti subordinati, sperando che siano sufficienti.

A meno che questa non sia la volta buona per dire a Bruxelles che il bail-in è da mandare in soffitta, senza averlo mai usato. Ma questa è un’altra storia, tutta ancora da scrivere.

Back To Top