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Intel, Mp Materials, Westinghouse e non solo: come funziona il capitalismo di Trump

L’amministrazione Trump ha investito oltre 10 miliardi pubblici in quote azionarie di Intel, MP Materials, US Steel e altre aziende strategiche, trasformando gli Usa nel primo esperimento di capitalismo di Stato in salsa Maga.

Lo Stato imprenditore è un fenomeno che in Italia conosciamo sin troppo bene. Ma in America sta succedendo qualcosa di ancora diverso. In sei mesi l’amministrazione Trump ha trasformato oltre 10 miliardi di dollari pubblici in quote azionarie di Intel, MP Materials, US Steel, Westinghouse e startup delle terre rare.

Lo Stato è ora il primo azionista di colossi strategici, e usa golden share e opzioni per controllarli.

Sicurezza nazionale e reindustrializzazione sono le parole d’ordine, ma il risultato è un capitalismo di Stato in versione MAGA che fa volare le Borse e copia apertamente il modello cinese dei campioni nazionali.

Quando lo Stato diventa azionista

Da giugno a novembre una sequenza ininterrotta di annunci ha cambiato per sempre i rapporti tra Washington e la grande industria americana.

Come fa notare il New York Times, in appena cinque mesi il governo federale ha investito più di dieci miliardi di dollari, trasformando prestiti, incentivi e contratti in quote azionarie, opzioni di acquisto e persino una golden share.

Intel, MP Materials, US Steel, Lithium Americas, Westinghouse, Vulcan Elements: nomi che assomigliano ad altrettanti capitoli di una rivoluzione.

In Intel e MP Materials, rileva la CNN, lo Stato è già il primo azionista. In Vulcan Elements due ministeri diversi hanno firmato lo stesso assegno, rimarca il Washington Examiner.

Secondo il Nyt, la lista sarebbe solo all’inizio: cantieristica navale e farmaceutica potrebbero essere già nel mirino.

La strategia

L’operazione parte in estate e non si ferma più. Il Pentagono strappa quote in MP Materials per ridurre la dipendenza cinese dalle terre rare.

Pochi giorni dopo gli aiuti del CHIPS Act, eredità di Biden, diventano equity in Intel, con Nvidia che segue a ruota con un investimento privato miliardario, come riporta Business Insider.

A ottobre Lithium Americas cede una partecipazione nella miniera di Thacker Pass in cambio di sgravi sul debito, sottolinea Reuters.

A novembre Westinghouse firma un accordo da ottanta miliardi per nuovi reattori nucleari: il Dipartimento dell’Energia si garantisce un’opzione sull’8 per cento e, se il valore arriva a trenta miliardi, potrà imporre la quotazione in borsa e prendersi un quinto della società.

Quanto a US Steel, Washington non mette soldi ma incassa una golden share che le consente di bloccare fusioni, delocalizzazioni o chiusure: è il prezzo pagato per autorizzare l’operazione con Nippon Steel.

Il nuovo volto del potere pubblico

A orchestrare tutto è un ente ad hoc, l’Office of Strategic Capital del Dipartimento della Difesa che, come ricorda Reuters, è stato creato nel 2022 ed è ora dotato di una task force di quaranta persone che setaccia le catene di approvvigionamento alla ricerca di anelli deboli.

Lo schema è sempre lo stesso: ciò che nasce come prestito, incentivo fiscale o contratto di fornitura si trasforma, totalmente o in parte, in azioni o diritti di acquisto.

Il risultato è uno Stato che non si limita più a sussidiare o regolare, ma investe, negozia e, quando serve, incassa dividendi.

America First o capitalismo di Stato?

L’amministrazione Trump presenta tutto ciò come la via americana alla sicurezza nazionale: a entrare nell’orbita dello Stato sono infatti minerali critici, acciaio, energia nucleare, semiconduttori.

I mercati sembrano crederci: da quando sono stati annunciati gli accordi, le quotazioni di Intel e MP Materials sono schizzate verso l’alto.

Ma fuori dalla Casa Bianca le definizioni si fanno più dure. C’è chi parla di capitalismo di Stato, chi di neo-dirigismo con bandiera MAGA, chi di socialismo per i ricchi.

In molti vedono soprattutto un manuale cinese riverniciato di stelle e strisce: lo Stato sceglie i campioni nazionali, decide chi vince e chi perde, e lo fa senza passare per il Congresso, rimarca Mint.

Le ombre

Il caso Intel è forse il più eloquente: subito dopo la firma dell’accordo, Donald Trump ha acquistato obbligazioni della società per un valore tra uno e cinque milioni di dollari, parte di un portafoglio corporate da 185 milioni.

Vulcan Elements, la startup dei magneti e delle terre rare, è sostenuta da 1789 Capital, fondo che annovera Donald Trump Jr. tra i partner.

Nvidia e AMD, per ottenere deroghe sulle esportazioni verso Pechino, hanno accettato di versare al Tesoro una percentuale dei loro ricavi cinesi.

La famiglia presidenziale era già sotto i riflettori per le criptovalute deregolamentate. Qui però il fenomeno è più profondo e duraturo: è lo Stato stesso che entra nei consigli di amministrazione delle imprese strategiche.

Un paradigma inedito

Difficile trovare le definizioni giuste. Non è il New Deal, non è il salvataggio delle banche del 2008, non è nemmeno la politica industriale di Biden.

Là si trattava di crisi temporanee o di incentivi generali. Qui gli interventi sono diretti, permanenti, mirati a singole aziende. Gli analisti ora temono la mancanza di trasparenza, la distorsione della concorrenza, il rischio che Washington decida da sola quali siano i campioni nazionali del futuro.

Le critiche arrivano da destra e da sinistra: il Council on Foreign Relations parla di uno Stato che fa l’investitore, il broker o il rentier; il Cato Institute bolla il fenomeno come populismo autoritario; il Wall Street Journal lo inquadra come un ibrido tra socialismo e capitalismo; la National Review lo etichetta addirittura come estorsione.

In un’epoca di rivalità con la Cina, questo trumpismo economico potrebbe ridefinire per decenni il capitalismo americano.

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